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La politica degli autori: Frederick Wiseman

Leone d'oro alla carriera a Venezia, uno dei migliori documentaristi viventi.
di Mauro Gervasini


mercoledì 20 agosto 2014 - Approfondimenti

A Frederick Wiseman, classe 1930, uno dei due Leoni d'oro alla carriera della 71. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia (l'altro a Thelma Schoonmaker, storica montatrice di Martin Scorsese). Una scelta sofisticata che premia uno dei migliori documentaristi viventi. I suoi film in Italia si sono visti soprattutto a Fuori orario su Rai3, anche se l'ultimo, National Gallery, sarà finalmente distribuito nelle sale da I Wonder Pictures. Wiseman racconta molte cose, dalle più piccole (la vita quotidiana nella cittadina dove va in vacanza in Belfast, Maine, del 1999) alle più grandi (lo stato sociale Usa in Hospital, 1970, o Welfare, 1975) ma invece di cominciare dai titoli, partiamo dal metodo. Lavora più o meno così: piazza le sue macchine da presa in punti strategici, a volte una se la mette in spalla, e riprende tutto quel che accade, pedinando i personaggi attento a non tralasciare una sola sfumatura della loro esistenza in quel momento. Poi monta, per mesi. E salvo eccezioni, i suoi film sono molto lunghi, tre o quattro ore, perché gli interessa ricreare l'impressione del "normale" fluire della realtà. Ad esempio: per realizzare National Gallery (180 minuti) Wiseman ha girato 170 ore. Poi si è chiuso in sala di montaggio per oltre un anno, lavorando di sottrazione, concentrandosi sulle "candidate sequences" (le scene secondo lui più significative), facendo esperimenti su esperimenti per vedere alla fine l'effetto che fa.

Premiando Wiseman e Schoonmaker la Mostra fa una scelta anche teoricamente radicale, come a voler richiamare l'attenzione su un procedimento comune, il montaggio, che va al di là della natura dei film (docu o finzione, non cambia). Il senso delle cose sta nel rapporto tra l'artista e le immagini una volta che sono state girate. Se paragonate il pugilato mitologico di Toro scatenato (per il quale Thelma ha vinto il suo primo Oscar) a quello realistico, faticoso, didattico, minuzioso di Boxing Gym (2010, il mio preferito tra i film di Wiseman finora visti), nella differenza vi accorgerete di una comune verità. Quella del cinema. Ma torniamo alle istituzioni sanitarie, culturali, pedagogiche alle quali il regista si dedica dal 1967 (Titcut Follies, ambientato in un manicomio, è il suo sorprendente esordio; chissà se l'ha visto quell'altro geniale cineantropologo di Wang Bing per il suo Feng Ai). Wiseman riprende il loro funzionamento, sempre riferendosi alle persone che le "abitano". I docenti e gli allievi di At Berkeley (2013), opera fiume (244 minuti) all'interno di una delle principali università americane, oppure i pazienti di Hospital. O ancora le vittime delle violenze domestiche che fanno spola tra il distretto di polizia e il consultorio in Domestic Violence (2001). Non giudica, ma il suo pensiero è tutto lì, "montato" tra le immagini.

Esiste però anche un Wiseman "ludico" non meno significativo di quello "impegnato". Meraviglioso è in questo senso Crazy Horse (2011): 134 minuti nel tempio degli spogliarelli artistici di Parigi, seguendo le ragazze e i coreografi. In cerca di cosa? Forse, anche lì, di una idea assoluta di bello, la stessa che più facilmente cattura in National Gallery (nell'omonimo museo) oppure in La danse (2009), dentro l'Opéra. Il suo prossimo lavoro, ancora senza titolo, in un locale del Bronx dove si sfidano tutti i giorni rapper e band di rock'n'roll latino. Lo sta girando proprio ora, di notte, a 84 anni. Instancabile.

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