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La politica degli autori: Aki Kaurismäki

Un finlandese noir, serissimo, ma dall'ironia spietata.
di Mauro Gervasini

In foto Aki Kaurismäki, regista di Miracolo a Le Havre.
Aki Kaurismäki (67 anni) 4 aprile 1957, Orimattila (Finlandia) - Ariete. Regista del film Miracolo a Le Havre.

mercoledì 23 novembre 2011 - Approfondimenti

Un grand hotel di Milano, 11 del mattino. Qui intervistammo Aki Kaurismäki, in Italia per il lancio di L'uomo senza passato (2002). Sul tavolino una dozzina di birre, tutte consumate, e un'infinità di mozziconi di sigarette. Un'ora di parole fitte, senza mai neanche avvicinarsi al vero oggetto della conversazione, il film. Il finlandese noir, all'epoca residente in Portogallo, serissimo ma dall'ironia spietata, incrocia i nostri furori cinefili, in particolare il noir americano, il polar francese, Bresson, Melville... Sa tutto, ricorda tutto, non lo freghi su nulla, mentre la birra scorre e l'odore di Marlboro allontana gli altri ospiti dell'albergo, finché non si rimane soli, come su un'isola deserta, mentre scatta il capitolo rock'n'roll. Qui si combatte di più, i gusti non sono del tutto affini, l'uomo, sempre imperturbabile, sospetta che Springsteen sia un'entità di derivazione commerciale, o addirittura nazionalistica, ma di fronte allo sgomento che ci attraversa lo sguardo si fa quasi gentile, e ammette di conoscerlo poco... Però condivide la riscoperta dei Blasters, sciorina le decine di canzoni che avrebbe voluto nei suoi film o che ha considerato imprescindibili nel processo creativo, ma senza i soldi per acquistare i diritti. Una specie di cahiers de doléances ricco di desiderata destinati a restare così, sulla carta.

Kaurismäki musicalmente è un gigante, un punto di riferimento per una generazione di rocker almeno da Leningrad Cowboys Go America (1989). Road movie di una vera band finlandese (nella realtà si chiamano Sleepy Sleepers) che viaggia negli States con la salma del bassista. Tra scenari surreali, a farsi carnali sono gli umori che rifulgono di reminiscenze rockabilly, o balcaniche, tra icone californiane e tex mex. Un film esilarante, travolgente ma in fondo malinconico, la presa di coscienza che nonostante il rock'n'roll certi mondi restano inconciliabili, e le marginalità irriducibili. Mentre parla, Kaurismäki gioca con un accendino tra le mani, e un brivido ci assale. Una volta, molti anni prima, scommise che era possibile realizzare un film partendo da un fiammifero (La fiammiferaia, 1989); chissà mai che ora non stia pensando a un serial basato su un Bic blu. Ricordiamo, di quella mattina, una stretta di mano franca e la gioia di avere avuto conferma dell'autenticità di un artista. Aki è esattamente come ti aspetti che sia dopo avere visto i suoi film. Non capita spesso.

Vorremmo rincontrarlo oggi, davanti ad altre birre, nonostante si sia nel frattempo smesso di fumare (almeno noi, lui chissà). Vorremmo parlare del suo straordinario Le luci della sera (2006), un puro noir che potrebbe benissimo essere nato guardando gli arzigogoli del fumo in aria. Dietro la sigaretta una bionda pericolosa dagli zigomi alti, con occhi che non fanno prigionieri. Ne sa qualcosa il povero Janne Hyytiäinen, guardiano notturno. Lei (Maria Jäarvenhelmi) è amante di un bandito che la costringe a sedurre il metronotte per farsi aprire una gioielleria. Il romanzo criminale finisce con il poveraccio in galera per non avere denunciato il suo angelo azzurro, perché gli amori non si tradiscono mai, anche se Kaurismäki crede nella redenzione degli ultimi e degli umili e come nelle fiabe, forse, c'è un lieto fine. Musica maestro: Le luci della sera è dominato dal tango (ne esiste anche una formidabile variante finlandese) mentre lo sguardo spazia da Hopper e i suoi infiniti, desolanti locali notturni alla serie B americana, in una città come al solito amara. E con Aki vorremmo parlare finalmente di Miracolo a Le Havre, suo ultimo titolo in sala dal 25 novembre dopo la presentazione il 24 al Torino Film Festival, che al regista finlandese assegna un premio alla carriera. Storia di Marcel che conosce Idrissa, giovane migrante braccato, e di Arletty, moglie di Marcel gravemente malata, e di una comunità dove forse i miracoli succedono veramente, e importa poco se ci si crede o meno. L'importante è che accadano. Qualcosa - l'inestinguibile fiducia nella solidarietà popolare, l'umanesimo resistente – ricorda il cinema di Guédiguian, con meno sole (Marsiglia è decisamente lontana) e più freddo nelle ossa. E con di nuovo il rock'n'roll. Il grande regalo di Aki a questo giro si chiama Little Bob, un desperado di quelli veri, chiamato a interpretare se stesso (anche quale icona rock blues di Le Havre). Post scriptum. Ce n'è un altro di regalo, in Miracolo a Le Havre. Il dottor Becker è interpretato dal grande Pierre Étaix. Un comico francese geniale, del quale consigliamo caldamente il capolavoro Io e la donna (1962).

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