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Federigo Tozzi

Federigo Tozzi. Data di nascita 1 gennaio 1883 a Siena (Italia) ed è morto il 21 marzo 1920 all'età di 37 anni a Roma (Italia).

Perde la madre a soli dodici anni, ha col padre - un uomo burbero, collerico, violento, assai poco propenso a sopportare l'interesse del figlio per la letteratura - un rapporto difficile, la salute precaria gli rende l'infanzia ancor più infelice. Affianca a studi saltuari e disordinati - che abbandona per sempre nel 1902 - un'intensa attività di autodidatta, anche se riesce a frequentare solo saltuariamente la biblioteca di Siena. Inizia a collaborare ad alcune riviste e debutta con un volume di versi, La zampogna verde (1911), nel quale è evidente l'influenza di D'Annunzio. Irrequieto finanche nelle idee, trascorre dalle prime simpatie socialiste ad un cattolicesimo di netta matrice reazionaria, forse per l'influsso esercitato su di lui dallo scrittore Domenico Giuliotti (col quale fonderà, nel 1918, il quindicinale La Torre). Intanto, trasferitosi a Roma nel 1914, è redattore del Messaggero della domenica e conosce Pirandello e Borgese, quest'ultimo destinato a diventare il curatore della pubblicazione delle sue opere. Appare nel 1919 - pur se scritto sei anni prima - il suo romanzo d'esordio, Con gli occhi chiusi: la palese filiazione verghiana non esclude tratti di originalità, laddove i vinti del Tozzi - nella fattispecie, il Pietro protagonista della vicenda -sembrano erosi da una insidiosa forza disgregatrice insita nella loro natura, diversamente da quelli del Verga, sconfitti dalla società o dalla sorte. Un analogo tipo umano ritroviamo al centro dei romanzi successivi del Nostro, Tre croci (1920) e Il podere (1921): una figura travolta e "macerata in una vita immonda e strangolatoria, che tuttavia non prevale fino a scancellare in fondo all'anima un segno di superiore umanità" (Cecchi), una persona offesa nella volontà e in balia degli avvenimenti, del tutto inadeguata ad esistere e di ciò dolorosamente consapevole. Innervata di traumi personali, con echi di Zola e Dostoevskij, la poetica tozziana sembra apparentabile a quella di Franz Kafka (come sottolineato, ad esempio, dal Debenedetti), pur se la metafisica del praghese si alimenta di più vaste suggestioni; e anticipa, fatte le dovute differenze, atmosfere e tematiche dipoi sviluppate, per fare solo un nome, da Moravia. Tra le altre opere, vanno ricordate la raccolta di prose Bestie (1917), le novelle di Giovani e L'amore (1920), il dramma L'incalco (1923, il più riuscito fra i sedici lavori teatrali da lui licenziati), il commiato de Gli egoisti (1923), i postumi Novale (1925, lettere alla futura moglie Emma Palagi del periodo 1902-1903 e 1906-1908), Ricordi di un impiegato (1927) ed il romanzo Adele (1979).
Courtesy of RAI

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