This Must Be the Place |
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Un film di Paolo Sorrentino.
Con Sean Penn, Frances McDormand, Eve Hewson, Harry Dean Stanton, Joyce Van Patten.
continua»
Drammatico,
durata 118 min.
- Italia, Francia, Irlanda 2011.
- Medusa
uscita venerdì 14 ottobre 2011.
MYMONETRO
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BELLISSIMO
di Lord WellsFeedback: 237 | altri commenti e recensioni di Lord Wells |
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sabato 15 ottobre 2011 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
This Must Be The Place è un film atipico. Le immagini del primo trailer diffuse in rete, con la triste “Spiegel Im Spiegel” di Arvo Pärt in sottofondo parlavano chiaro: Sorrentino ha fatto un nuovo film curioso e originale, che poco ha a che fare con l'attuale cinema italiano. Fa indubbiamente sorridere vedere Sean Penn trasformato in uno pseudo goth anni ottanta, con tanto di look alla Jim Reid/Wayne Hussey e viene da chiedersi che tipo di film ci si deve aspettare questa volta dal maestro napoletano. Per quanto mi riguarda, la lunga attesa è stata in gran parte ripagata. Si può dire che Sean Penn, nei panni di Cheyenne è sicuramente il centro del film. È un personaggio terribilmente nostalgico: popstar alternativa dal passato glorioso, è caratterizzato splendidamente in ogni minimo dettaglio (il nome della sua band “Cheyenne and the Fellows” è un probabile tributo a formazioni dark d'annata come Jesus and Mary Chain, Siouxsie and the Banshees o Echo and the Bunnymen). Dalla camminata lenta e molleggiata, sempre appesa ad un trolley o ad un carrello per la spesa, è un uomo bambinescamente dispettoso, dal biascicare monocorde e dall'animo attento e curioso, come può esserlo un bambino. Anzi, probabilmente è proprio un un bambino arrivato alla vecchiaia senza aver attraversato l'età adulta. Dopo averne lette di tutti i colori in rete, perché ad una prima occhiata può ricordare Robert Smith dei Cure, ma in fondo più per attitudine che per look, (ha passato i cinquant'anni e continua a fare dischi come quando ne aveva venti), a me ricorda di più l'annoiato Ozzy Osbourne dell'età televisiva: un conservatore, un uomo di un'altra epoca impiantata a forza nel presente. Come Titta di Girolamo, personaggio che nascondeva un segreto inconfessabile, qui Cheyenne va alla ricerca di un segreto, la cui lenta e progressiva scoperta farà maturare non solo lui, ma anche alcune persone che incontrerà. Il tema dell'olocausto è marginale a questo punto. Più che un contributo mi pare lo spunto abbozzato per arrivare al bel finale che, se non arriva a commuovere, almeno riesce a sorprendere (una storia analoga, ma che si svolge in modo diverso è obliquamente raccontata nel film “Anvil! The Story of Anvil”, uno dei più bei documentari sul rock mai realizzati, ovviamente inedito in Italia). Il cinema di Sorrentino è un cinema sottile, profondo, ironico, caratterizzato spesso da scelte fotografiche di altissimo livello, da un'attenta e varia colonna sonora (qui oltre ai Talking Heads, è stata la scelta di alcuni brani di Julia Kent a farmi sobbalzare dalla poltrona, a dimostrazione che il regista è molto attento anche all'attuale scena indipendente, oltre che ai classici del passato). Ma This Must Be The Place non è solo un film drammatico, un viaggio di crescita. È soprattutto un film ironico, divertente, che non si prende troppo sul serio (il viaggio di Cheyenne in America a questo punto è il viaggio di Sorrentino?) e, se per pochissimo non arriva ad essere un capolavoro entra a pieno diritto nei classici della sua filmografia. Per quanto mi riguarda: questo è vero cinema.
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