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Stéphane Brizé

Stéphane Brizé è un attore francese, regista, produttore, co-produttore, sceneggiatore, è nato il 18 ottobre 1966 a Rennes (Francia). Oggi al cinema con il film Le occasioni dell'amore distribuito in 23 sale cinematografiche. Stéphane Brizé ha oggi 58 anni ed è del segno zodiacale Bilancia.

Tra i diritti traditi dei lavoratori e quelli degli innamorati

A cura di Fabio Secchi Frau

Drammi sociali e umani della classe lavoratrice (ma non solo), stretta tra dinamiche familiari e lotte personali. Il realismo di Brizé parla così di economia, morale, emotività in una narrazione estetica cruda e autentica.
Immerso in una luce naturale, sorretta da una fotografia sobria spesso firmata da Antoine Heberlé o da Éric Dumont, questo regista francese compone un approccio visivo che permette agli spettatori di sentirsi nell'immediatezza come i suoi operai, i suoi cinquantenni, i suoi disoccupati, le sue nobildonne e i suoi innamorati, spiati nelle loro esperienze quotidiane, in luoghi scelti con cura per riflettere la realtà della loro rispettiva classe sociale.
Le inquadrature lunghe e fisse sono il buco della serratura da cui osserva le loro storie negli ambienti naturali, con uno stile di ripresa che ha tutta la grammatica del cinema documentaristico, riuscendo a far percepire le intense emozioni che muovono la trama dietro dettagli e piccoli gesti. Dettagli e piccoli gesti che sono ovviamente carichi di significato e che evidenziano battaglie contro un sistema impietoso, associato a immagini strette e claustrofobiche riflettenti il senso di oppressione e isolamento dei protagonisti.
Ed ecco poi, immancabile, arrivare anche la ribellione, con riprese di proteste e manifestazioni. La collettività che si fa solidarietà tra uomini e donne in rivolta, spesso contrapposti a quelle sequenze più intime che ritraggono i leader sindacali o ai padroni delle fabbriche nel tentativo (riuscito) di evidenziare la spaccatura tra il collettivo e l'individuale.
È grazie a questi elementi che Brizé è considerato un maestro nel creare un cinema visivamente potente ed emotivamente coinvolgente. In grado di catturare la complessità delle problematiche sociali francesi che diventano necessari spunti di riflessione.

Studi
Figlio di un postino e una casalinga, Stéphane Brizé cresce e studia a Rennes, ottenendo un diploma universitario di tecnologia in elettronica.
Dopo uno stage di fine corso nell'emittente regionale France 3 Rennes, si orienta verso il settore audiovisivo, trovando lavoro come tecnico all'interno della televisione francese. Parallelamente, segue un corso d'arte drammatica che lo mette a contatto con alcuni registi e attori teatrali, fino a diventare lui stesso il regista di alcuni spettacoli.

I primi film
All'inizio degli Anni Novanta, si impone anche come regista cinematografico, firmando inizialmente cortometraggi e mediometraggi (Bleu Dommage, L'oeil qui traîne), che lo porteranno poi a debuttare sul grande schermo con il film Le Bleu des villes (1999), storia di una donna che affronta una crisi esistenziale, causata dal rimpianto di non aver seguito quelle che potevano essere le sue reali opportunità di una vita diversa, e forse migliore.
Il film passa quasi inosservato in Italia, ma ha un buon riscontro in madrepatria.
Ci vorranno però diversi anni perché Brizé torni al cinema con una nuova fatica. Nel 2005, arriva infatti Je ne suis pas là pour être aimé (2005), una pellicola dove invece un uomo solitario rivoluziona la propria quotidianità frequentando una scuola di tango.
Da questi primi due titoli, si evince che il primo approccio al mezzo cinematografico del regista è estremamente "leggero". Leggero per la tipologia di genere scelto per presentarsi al grande pubblico, sfiorando un po' la commedia romantica che ha l'intento di far riflettere sull'estraneità della propria vita, ma anche sulla riscoperta della stessa attraverso desideri che si credevano non condivisibili. Leggero anche perché sono storie che, pur riflettendo sulla condizione dell'uomo e della donna contemporanei, non affondano nettamente in quelle insoddisfazioni e in quelle redenzioni che l'individuo cerca per se stesso, pur descrivendole benissimo.
Tanto che, per rimarcare ancora di più questo aspetto, chiuderà questo gruppo tematico di titoli con Entre adultes (2006), dove metterà coppie e individui a confronto tra loro, analizzando quanto le scelte altrui possano influenzarci.


Il César per il Miglior adattamento

Tre anni più tardi, esce Mademoiselle Chambon, che ottiene un César come miglior adattamento nel 2010. Il film è infatti la trasposizione dell'omonimo romanzo di Éric Holder, all'interno del quale si sfrutta il sentimentalismo di un innamoramento per parlare di connessioni tra classi sociali diverse.
A questo punto, è pronto per aprire un nuovo capitolo della sua filmografia e, nel 2012, firma Quelques heures de printemps, scritto assieme a Florence Vignon.
Un cinquantenne disoccupato (Vincent Lindon) è costretto a tornare a vivere da sua madre (Hélène Vincent), che scoprirà essere gravemente malata, pur sapendo che la forzata convivenza riporterà a galla le sanguinose violenze psicologiche del loro rapporto.
Con un pudore molto attento, Brizé mette l'asflato per un nuovo genere di pellicole che, pur parlando di problemi comuni, riesce a fare anche una forte critica sul mondo del lavoro in Francia, mettendone a nudo la drammatica attualità, ma senza necessariamente fare una morale allo spettatore.

La Trilogia del Lavoro
Nel 2015, parte quella che è considerata la sua "trilogia del lavoro", ovvero tre pellicole che hanno come fine principale (ma non unico) quello di restituire al pubblico un affresco del mondo dell'occupazione francese.
Comincia con La legge del mercato, coadiuvato nella scrittura da Olivier Gorce (che collaborerà con lui negli script di tutta la trilogia) e di nuovo interpretato da Vincent Lindon (e da una serie di attori non professionisti) nei panni di un cinquantenne disoccupato che, dopo anni di inoccupazione, trova un posto come guardia di sicurezza in un supermercato, dove però gli viene chiesto di spiare i suoi colleghi.
Menzione speciale al Premio della Giuria Ecumenica di Cannes, La legge del mercato è secco, affilato e serrato come un'opera dei fratelli Dardenne o di Philippe Lioret.
Con crudeltà e impassibilità, senza usare toni melodrammatici, scende in basso tra le bolge di un orrore economico, tormentato da dubbi, ambiguità, etica professionale, umiliazioni, comprensioni reciproche e fattori umani consumati nel sospetto.
I giornalisti cinematografici francesi elogiano l'amarezza del racconto di declassamento sociale, che si poggia su ottimi lunghi piani-sequenza, strettissime inquadrature ravvicinate e più raramente su riprese in semi-soggetiva. Quelli europei danno segni di approvazione per quello che credono sia un emulatore del cinema di Ken Loach contro l'atteggiamento sadico e ingiusto del sistema capitalista occidentale.
Siamo davanti al primo tratto di uno stile che abbraccia il dramma sociale, non necessariamente così rigido alla formalità che la tipologia di film pretende.
Aggiunge un secondo capitolo nel 2018 con In guerra, su un gruppo di operai che si battono per non far chiudere la fabbrica all'interno della quale lavorano, impegnandosi in una lotta sindacale che non esclude colpi bassi. Tutto pur di difendere i propri diritti e la propria dignità.
Di un realismo cupissimo, lo stesso che possiamo trovare in Norma Rae (1979), Sfida a Silver City (1954), Sciopero! (1925) e I compagni (1963) di Mario Monicelli, in In guerra si ritrae la lotta dei giusti attraverso un'immersione nelle moderne relazioni sindacali, prefigurando il classico motto: "Chi combatte può perdere; chi non combatte ha già perso".
Deprimente e alternativamente edificante, Brizé mostra le menzogne del management, la pusillanimità del governo, il pregiudizio di classe dei tribunali e l'abilità smisurata degli attivisti sindacali, che tentano di inchiodare la logica capitalistica. Ma soprattutto crea un momento di insegnamento, con la sua visione chiara delle relazioni industriali, rivelando l'economia internazionale e la sua fede quasi fondamentalistica basata sull'incremento dei dividendi azionari, a discapito delle esigenze di sopravvivenza dei dipendenti.
La critica internazionale lo capisce immediatamente e plaude alla scelta lapidaria e diretta di non spiegare mai del tutto ogni cosa, perché ogni cosa debba essere percepita attraverso i parametri e le indignate conseguenze che i pochi hanno sulla vita dei lavoratori.
Chiude la trilogia con l'ottimo Un altro mondo (2021), dove la pressione lavorativa mette in crisi due coniugi fino alla separazione. Questo perché l'eminenza grigia del "superiore" pretende dal marito della coppia l'esecutorietà, anche lì dove gli ordini si fanno più incoerenti. Un vero e proprio processo di spersonalizzazione e alienazione che sono molto comuni nel mondo di oggi.

Altri film
Tra questi film, inserisce una pellicola del tutto estranea, ma non meno critica. Dirige infatti Una vita, adattamento cinematografico del bellissimo romanzo omonimo di Guy De Maupassant, dove si descrivono le insopportabili delusioni e mortificazioni di una ragazza aristocratica nella società degli uomini.
Premio FIPRESCI alla Mostra Internazionale del Cinema di Venezia nel 2016, scritto con l'aiuto di Florence Vignon, Una vita è melodrammatico il tanto giusto per far riflettere sullo straordinario veleno dei rapporti umani, lì dove avidità e illusioni li imbruttiscono.
Con un moderno stile rigoroso e formalmente puro (che ricorda un po' i grandi Oliveira e Rohmer), si disegna la lenta decadenza nobiliare ottocentesca francese, affascinante ed esasperante proprio perché morente, all'interno della quale una donna fa un percorso inverso a quello di Madame Bovary, da illusioni a disillusioni, nell'accettazione totale dello stato della propria vita, del proprio mondo, uscendone infragilita, inerte, a volte schiacciata o prigioniera, ma mai del tutto libera.
Poi, riprendendo i temi sentimentali dei suoi primi film, realizza Le occasioni dell'amore (2023), scritto assieme a Marie Drucker, dove mischierà lo stile documentaristico a quello elegante da melò per dare spazio a una storia romantica tra Guillaume Canet e Alba Rohrwacher, innamorati nel passato e che forse possono esserlo anche in un futuro prossimo, un po' come nei film...
Ma siamo proprio sicuri che la vita sia come un film?, si domanda Brizé.
E ce lo domanda anche a noi, mettendo in chiaro che il film è una finzione, ma il realismo della vita, invece, non lo è. E quindi, magari, non siamo gli straordinari protagonisti di grandi storie, ma solo di quella che è la nostra semplice esistenza, lì dove anche l'incontro fortuito con una fiamma del passato è solo una coincidenza.
Esperienze come attore
Anche attore, Stéphane Brizé ha recitato in Al piccolo Margherita di Laurent Bénégui, in Le nostre vite felici (1999) e in Le Nouveau Protocole (2008).

Vita privata
Stéphane Brizé è sposato con Florence Vignon, una sceneggiatrice con cui collabora spesso. I due hanno una figlia, Emma, che è comparsa in alcuni film paterni.

Ultimi film

Drammatico, (Francia - 2021), 96 min.
Drammatico, (Francia - 2018), 105 min.
Drammatico, (Francia, Belgio - 2016), 119 min.

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martedì 17 dicembre 2024
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