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Rassegna stampa di René Clair

René Clair (René-Lucien Chomette) è un attore francese, regista, scrittore, sceneggiatore, è nato il 11 novembre 1898 a Parigi (Francia) ed è morto il 15 marzo 1981 all'età di 82 anni a Neully-sur-Seine (Francia).

ROBERTO ESCOBAR
Il Sole-24 Ore

Piacere alla maggioranza è abbastanza facile: basta non mirare in alto. Né è difficile conquistare la minoranza: il segreto è sottrarsi alle tegole. Più arduo è ottenere successo di pubblico con film di qualità. Così sosteneva René Clair, pseudonimo di René Lucien Chomette, nato a Parigi fle11998, e quasi coetaneo dei cinema. Quanto ai suoi film, certo furono insieme popolari e belli, da quelli girati prima della guerra (Paris qui dort, Un cappello di paglia di Firenze, Sotto i tetti di Parigi, Il milione, A nous la liberté, Quatorze juilet), a quelli della maturità (Il silenzio è d’oro, La bellezza del diavolo, Le belle della notte, Grandi manovre, Quartiere dei lillà).In tutti cercò di tener fede al suo impegno poetico, e insieme a quel “Chiaro” che s’era scelto come nome d’arte.

PIETRO BIANCHI

Secondo i francesi, ciò che distingue l’intelligenza è la «clarté», la chiarezza. Forse è per questa ragione che il più intelligente dei registi del cinema, René Lucien Chomette, dovendo scegliersi uno pseudonimo, si scelse quello di Clair. Con il nome di battaglia di René Clair, il nostro è dunque da circa trent’anni, con Chaplin, con Ford, con Stroheim (ma quest’ultimo non lo fan più lavorare che come attore) uno degli intramontabili principi dello schermo. Ford è l’ingenuo «epos»; Chaplin la semplice poesia delle cose; Stroheim la forza selvaggia dell’io. Clair non è che l’intelligenza sicura di sé, attenta ai trabocchetti, nemica dell’enfasi, dell’empietà, dell’errore. È difficile non amare René Clair, com’è facile porgli dei limiti, accusarlo, come s’è fatto sin dagli inizi, di «sécheresse», di aridità. Eppure le cose non son così semplici. René Clair è infatti l’autore del Cappello di paglia di Firenze, ma anche di Per le vie di Parigi: del Milione e de L’ultimo miliardario, ma anche del Silenzio è d’oro e di quel film sui ragazzi, Aria pura, che fu interrotto dalla guerra.
Forse le accuse di «intelligenza» hanno un’altra ragione. Nel cinema, come ognun sa, l’intelligenza puzza di bruciato, conserva qualcosa di eretico. Ci sono quei signori che sanno tutto sui «gusti» del pubblico, e che decretano a priori il successo o l’insuccesso di un film. Per questi tali Clair, il quale ha osato scrivere che il film d’arte è in parte una faccenda da iniziati, è un nemico sicuro. Così è accaduto che il più francese, e il più limpido, dei registi è dovuto andare a lavorare all’estero dopo il più intelligente, ma anche il più secco, dei suoi film, L’ultimo miliardario. Così come è accaduto che, senza scandalo per nessuno, il grande Chaplin ha potuto mettere del vino sentimentale nell’orcio razionalistico del maestro dei Due timidi: a noi la libertà si è trasformato agevolmente in Tempi moderni.

FERNALDO DI GIAMMATTEO

Vive con la famiglia (il padre è un commerciante) nel quartiere delle Halles. Non termina gli studi, parte volontario, a 17 anni, per la guerra. Torna a casa ferito alla spina dorsale. Si avvicina alla sinistra, trova lavoro nel cinema, dapprima come assistente alla regia poi come attore. Ma più che recitare, gli interessa la manipolazione del linguaggio cinematografico. Comincia con una favoletta imperniata sui trucchi ( Paris qui dort, 1923) e con una variazione surrealista da utilizzare come intervallo (s'intitola appunto Entr'acte) per uno spettacolo di balletti. Nel 1927 realizza - non ha ancora compiuto 30 anni – il suo primo lungometraggio, Un cappello di paglia di Firenze, da un testo di Labiche e Michel, imperniato sul classico tema (cinematografico) dell'inseguimento.

MARIO GROMO
La Stampa

Il cinema è «scoperto» dai Lumière nel 1895; ed è riscoperto dai parigini fra il 1921 e il '26. È quasi un «movimento», iniziato da Louis Delluc, il pioniere della critica cinematografica francese. Per intellettuali e intellettualoidi il cinema diventa l'argomento di rito. Tutti ne parlano, molti ne scrivono. Intervengono anche Maurois e Gide, Bloch e Cocteau; accanto a quella teatrale i quotidiani inaugurano una rubrica cinematografica; riviste ospitano saggi, La Nouvelle Revue e il Mercure de France non sono ultimi a capitolare. Si aprono i primi Cine-Club e si crea tutta una letteratura, in gran parte improvvisata. Si inneggia, e giustamente, a Chaplin; si riconosce a Shakespeare, o gran bontà, un certo «taglio» cinematografico; si discute sul ritmo; si tenta un'estetica; si condannano film notissimi, se ne esaltano altri ignoti. Il cinema comincia ad avere su di sé lo sguardo di spettatori esigentissimi, disincantati; ed è anche con questa platea d'eccezione, nella capitale dell'arte contemporanea, che dovrà d'ora in poi fare i suoi conti.

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