Louis Malle è un attore francese, regista, produttore, scrittore, sceneggiatore, è nato il 30 ottobre 1932 a Thumeries (Francia) ed è morto il 23 novembre 1995 all'età di 63 anni a Los Angeles, California (USA).
Grande borghese nemico della borghesia, in venti film narrativi e otto documentari importanti, da Les amants (1958) a Il danno (1992), con calma eleganza Malle ha violato i tabù inviolabili: l'alta condizione sociale e la mistica della maternità sconfitte dalla passione carnale improvvisa, l'incesto tra madre e figlio raccontato come un gioco occasionale e lieve, la naturalezza d'una prostituta dodicenne in un bordello americano, la scelta fascista durante l'occupazione in Francia da parte d'un contadino diciassettenne descritta come un percorso comprensibile, le pulsioni rivoluzionarie borghesi del Sessantotto irrise, l'Edipo capovolto. Nato nel Nord della Francia, terzo dei sette figli d'una famiglia di ricchi industriali d'origine alsaziana, educato in un collegio di Gesuiti e nel collegio di Carmelitani vicino a Fontainebleau evocato in Arrivederci ragazzi, obbligato nell'adolescenza a vivere isolato e protetto a causa d'una insufficienza cardiaca (Soffio al cuore), Malle è precoce: “Ho letto Gide a tredici anni”. A diciassette anni si iscrive all'Idhec, la scuola parigina di cinema (il suo film-diploma di cinque minuti mostra, come La mia cena con André, due persone in attesa di qualcuno che non arriva) e comincia presto a lavorare come assistente di Jacques Cousteau per Il mondo del silenzio. A venticinque anni dirige il suo primo film, Ascensore per il patibolo: è già sposato con Anne-Marie Deschodt, da cui divorzia per poi risposarla e infine separarsene; nel 1980 ha sposato Candice Bergen, madre di sua figlia Chloe; altri due figli, Manuel Cuotemoc e Justine, li ha avuti da due attrici, Gila von Weitherhausen, Alexandra Stewart, e i rapporti nella vasta famiglia sono tra i più amorosamente solidali. Malle è cosmopolita, inquieto, curioso di altre culture, ha viaggiato in Algeria, Vietnam e Thailandia, in India, Italia, Messico, Brasile, soprattutto negli Stati Uniti dove ha diretto anche Atlantic City, Alamo Bay e documentari bellissimi: “Amo essere in esilio, essere fuori posto. Ho sempre avuto passione per Conrad...”. Ha orrore della “organizzazione artificiale della realtà” e della routine mortifera: “Quando mi sono accorto che nello stesso teatro di posa, nello stesso studio, sette o otto anni prima avevo fatto la stessa carrellata...”. Flavio Vergerio divide i film di Malle in cinema diretto, i documentari sull'India o sull'America che gli servono per andare alla scoperta di aspetti sconosciuti della realtà nel presente, e il cinema di finzione che si applica a una realtà nota, innanzi tutto autobiografica, al passato. Stilisticamente, scrive, tutta l'opera può essere letta sotto il segno d'una contestazione più o meno palese, ma sempre corrosiva, sottile e inquietante, di una scrittura omogenea e in qualche modo ''classicà”; continuità e discontinuità si legano e si contraddicono, i cambiamenti di stile e di tono rappresentano altrettanti interrogativi posti allo spettatore; insomma l'atteggiamento di Malle nei confronti della forma stilistica dei suoi film è stato sempre quello di un rifiuto delle convenzioni e della ricerca di un adeguamento funzionale alla materia narrativa, mentre lo guidava la coerenza d'una idea, l'ambiguità e la casualità della condizione umana. Adesso è commovente ripensare a Louis Malle tra i cineasti contestatori del Festival di Cannes nella primavera del 1968, fermo, pacato e ironico quanto altri erano euforici, assolutisti e insieme incerti; è commovente ripensare alla qualità speciale del suo impegno politico forte, orientato verso le libertà e i diritti più che verso le ideologie o i partiti, come sarebbe nella tradizione d'una borghesia intellettuale che tanto spesso ha tradito se stessa. “Non so cosa sia il cinema politico. Credo che i film d'autentica importanza politica non siano quelli militanti, il cui unico scopo è confermare una posizione già acquisita, una retorica già esistente, ma quelli che scuotono, che turbano, che obbligano alla riflessione”, afferma Louis Malle. Il regista lo diceva nel 1976. Diceva anche: “Io non credo alla democrazia, non ci ho mai creduto. è una parola che corrisponde a una realtà in cui la classe dominante può permettersi il lusso di dare l'impressione che sia il popolo a governare. Ma non è il popolo che governa, si sa benissimo...”.
Da La Stampa, 14 Ottobre 1995
Uscito da una famiglia ricca e religiosa, che lo fa studiare dai gesuiti e lo manda alla Sorbona, si ribella scegliendo la via del cinema (si diploma all'I.D.H.E.C.*, assiste Yves Cousteau per Il mondo del silenzio, 1955). E, dentro il cinema, si dedica all'infrazione sistematica dei tabù moralistici. Dopo un thriller di normale confezione e di qualche perfidia (Ascensore per il patibolo, 1958) scandalizza i benpensanti della Mostra veneziana con una esibizione di erotismo esplicito -Les amants, 1958 - ma ne ricava anche un premio, perché possiede uno stile soffice, insinuante, ricco di sfumature, efficace sempre. L’erotismo sarà il suo filo conduttore. Se all'inizio ci si stupisce, dopo si accetta, con facilità sempre maggiore, per il mutare dei costumi. Così, i giochi sessuali presenti in Viva Maria (1965) già turbano meno, e ancor meno colpisce l'incesto fra madre e figlio adolescente in Soffio al cuore (1971). Solo Pretty Baby (1978) solleva qualche dubbio perché vi si racconta di una bambina (Brooke Shields) prostituta in un bordello di New Orleans. Il danno (1992), infine, esce nell'indifferenza. Il piglio rimane quello provocatorio, senza cadere nel compiacimento.
Questo vale per tutto ciò che il regista tocca. Se si diverte con le capriole linguistiche di Raymond Queneau; sconvolge il tessuto del racconto per suscitare a forza l'ilarità (Zazie nel metrò ,1960). Se si avvicina all'intimismo e all'analisi psicologica spinge lo sguardo fino in fondo, a costo della sgradevolezza (Fuoco fatuo, 1963: come matura un suicidio). Se impiega le modalità narrative del melodramma, lo fa esasperando le tinte e i contrasti, sino a scadere negli atteggiamenti patetici o nel furore gratuito (Cognome e nome: Lacombe Lucien, 1973, Au revoir les enfants, 1987). Ma quando trova l'equilibrio, la sua provocazione si placa, come nell'appuntito ritratto di vecchio gangster in Atlantic City USA (1980), con un commovente Burt Lancaster, o come nella radiografia di famiglia borghese squassata dal '68 (Milou a maggio, 1989). In fondo, Malle rappresenta l'ala destra di una nouvelle vague ormai superata. La sua faccia è elegante e snob. Ha raccolto premi ovunque. Ha sposato, in seconde nozze, Candice Bergen.
* Institut Des Hautes Etudes Cinématographiques
Fernaldo di Giammatteo, Dizionario del cinema. Cento grandi registi,
Roma, Newton Compton, 1995
Classe 1932, figlio di una famiglia altoborghese (glielo rimprovereranno sempre), uscito dall’Idhec il ventunenne Louis Malle viene ingaggiato dal comandante del “Calypso”, Yves Cousteau. Lo segue per tre anni nelle sue imprese sottomarine (è appassionato di caccia subacquea), che forniranno materiale per il film Palma d’oro 1956 Le monde du silence, di cui Malle firma la coregia. Dopo un apprendistato così intenso e inusuale, Louis è pronto a girare il suo primo film, che si coproduce: Ascenseur pour l’échafaud (1957). È un film senza precedenti, un anno prima dell’esordio di Chabrol e due prima di quello di Truffaut. Malle il solitario, estraneo ad ogni gruppo, si autoproduce la sua opera prima, che ottiene anche un discreto successo. La carriera di Malle è ormai tracciata: Les amants (1958), Zazie dans le métro (1960), Vie privée (1962). Due successi, e due relativi insuccessi. Prima del quinto film (Feu follet, 1963, il suo primo capolavoro) Louis gira un bellissimo cortometraggio, Vive le tour (1962). Riaffiora qui la seconda vocazione di Louis, la passione per il documentario, di cui ci darà degli esempi eccellenti in futuro: Humain trop humain, Place de la République (1973), God’s country, And the pursuit of happiness (1987). Dopo una parodia di western (Viva Maria, 1965) e un bel film d’epoca (Le voleur, 1966), l’inquieto ricercatore Louis parte per l’India, dove realizza un memorabile film-fiume, L’Inde fantôme (1968)... La prossima avventura sarà l’America. Una partenza polemica: «Ero stufo della Francia» ci disse all’epoca.
Negli anni trascorsi oltreoceano ci darà alcune opere stimolanti: Atlantic city (1980), My dinner with André, Vanya on 42end Street, destinato ad essere purtroppo il suo canto del cigno. Tra un film americano e l’altro continuerà però ad arricchire il cinema francese: basti citare Milou en mai, Au revoir les enfants.
Curioso di tutto, narratore eclettico, classicamente sobrio e raffinato, Malle occupa – accanto a Resnais – un posto di primo piano nel cinema francese del secondo dopoguerra, e merita una rivalutazione. Se si fosse iscritto ai “Cahiers du Cinéma”, l’autore di Feu follet, Lacombe Lucien, Au revoir les enfants (tre opere magistrali) avrebbe avuto un destino più glorioso, una carriera più facile. «Quello che non mi convince nella Nouvelle Vague – ci diceva, vedi il catalogo “France Cinéma 2002” – è quella specie di realismo un po’ laido e sporco, da cui ho cercato sempre di stare lontano… Il cinema francese è ossessionato dal romanzesco e dalla psicologia, io mi sento più “visivo”, un po’ nella linea della grande tradizione pittorica del cinema italiano. Gli italiani sono figli di Giotto e Monteverdi. Debbo molto agli italiani: a Venezia mi hanno premiato ben cinque volte!». Purtroppo il film che si apprestava a girare a Cinecittà (su Marlene Dietrich) poco prima di morire (1996) rimarrà un sogno; come Truffaut, Malle è partito troppo presto.
La eccezionale statura di questo cineasta fuori del coro traspare anche solo da un film, un tempo ritenuto “sperimentale”, come Zazie dans le métro che oggi si rivela una delle commedie grottesche più geniali del cinema moderno.
Da France Cinema 06