“Attento! non schiacciare quel ragno! potrebbe essere Lon Chaney”. La battuta si rincorre dietro le quinte dei teatri popolari, nei cinemini da un nickel che riempiono le strade delle cittadine del Midwest. Passa di bocca in bocca: attrezzisti, costumisti, registi, fino agli spettatori, veri sudditi di quel sovrano oscuro, misterioso, affascinante, capace di trasformarsi in qualunque cosa. Leonidas Lon Chaney è un fenomeno irripetibile della storia del cinema. Uno scultore del proprio corpo: longilineo, muscoloso, eppure plasmabile come l’argilla. Un mago perverso (perché compiacuto, morboso) del “trucco” in ogni sua accezione morale e materica. Pochi sanno che la voce “Make-up” dell’Enciclopedia Britannica fu scritta da lui.
La parabola di Chaney la si può raccontare in poche righe. Nato nel 1883 da genitori sordomuti, sin da piccolo per farsi capire in casa si esprime a gesti. Diventa un attore, nel 1912 approda al cinema, nel 1923 interpreta Quasimodo in Nostra Signora di Parigi (ovvero Il gobbo di Notte Dame)
e diventa una celebrità. Due anni dopo il ruolo che gli darà l’immortalità, quello di Il fantasma dell’Opera, definito da “Variety” “il più grande incentivo ad avere terribili incubi”. Costretto ad adattarsi al “cinema che diventa piccolo”, parla in un solo film sonoro, l’ultimo, The Unholy Three, quindi muore di cancro alla gola per un perfido detour del destino.
Ma Lon Chaney nella notte della mente di ogni cinefilo, nei fuori orario delle visioni ad occhi chiusi, vive. È la figura incappucciata, sciancata, mutilata, sfregiata, feroce e commovente che si aggira tra gli angoli più bui della nostra memoria cinematografica. A parte Quasimodo e il Fantasma, che sono i volti mainstream patrimonio dell’umanità, sono i suoi lavori con Tod Browning il valore aggiunto, le opere d’arte da avere e riguardare avidamente. Lo sconosciuto (1927) è senza dubbio il più delirante film che chi scrive abbia mai visto. Chaney si innamora della figlia di una sua vittima. La fanciulla, per un trauma del quale lo stesso protagonista è responsabile, non sopporta di essere abbracciata da nessuno. L’amore dell’uomo è così grande che si fa amputare le braccia. Per poi scoprire che lei è innamorata di un altro. Se la domanda è: dove finisce l’uomo e comincia la bestia, e quali sono i confini visibili e filmabili della deformità, Chaney e Browning hanno la risposta. Il film è un immenso capolavoro. E non finisce qui. Anche il precedente The Unholy Three (1925, quello il cui remake negli anni del sonoro sarà fatale) in fondo non era da meno. La storia di tre fenomeni da baraccone - un ventriloquo, un forzuto e un nano - che approfittano dei rispettivi talenti circensi per rapinare appartamenti. Il terzetto è formidabile: Chaney è Echo, l’uomo dalle mille voci; il mitico irlandese Victor McLaglen (“Gypoooooo!!”) è Hercules; Harry Earles, il biondino innamorato e poi vendicatore implacabile di Freaks, è il micidiale nanetto. Indimenticabile la trasformazione di Chaney in tenera vecchietta che coccola il nano-bebè. Terzo capitolo di un’ideale trilogia browninghiana (ma purtroppo non abbiamo mai visto Il fantasma del castello) è La siepe di Zanzibar (1928, anche conosciuto come Il serpente di Zanzibar). Chaney interpreta il prestigiatore Phroso reso storpio da un uomo del quale si vorrebbe vendicare. Grazie alle sue capacità, riesce ad abbindolare una tribù del Congo per asservirla ai propri voleri. Poi plagia e martirizza una povera fanciulla che crede figlia del nemico. Ma la vendetta - OId Boy ce l’ha recentemente ricordato - rende ciechi, perché quella è figlia sua.
Così è Lon Chaney. Multiforme artista di un’epoca lontana, nervoso genio della difformità, violento trasformista convinto di poter sconfiggere i propri demoni interiori trasformandoli in personaggi, in maschere turpi. Alla fine degli anni ‘50 anche Hollywood, in piena decadenza, non poté fare a meno di consacrare questo suo figlio inquieto. Lo fece con un (ottimo) biopic, L’uomo dai mille volti, interpretato da James Cagney.
Da Film Tv del 23 agosto 2005