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Rassegna stampa di Lars von Trier

Lars von Trier è un attore danese, regista, produttore, produttore esecutivo, scrittore, sceneggiatore, musicista, è nato il 30 aprile 1956 a Copenhagen (Danimarca). Lars von Trier ha oggi 68 anni ed è del segno zodiacale Toro.

ROBERTO SCHINARDI
Film Tv

Il dogma è morto, viva il dogma. sono passati dieci anni da quando il regista danese Lars von Trier, il 20 marzo del 1995 all’Odéon di Parigi, intervenne a un dibattito sul centenario del cinema dal titolo il cinema verso il suo secondo secolo leggendo il manifesto del dogma e poi andandosene gettando volantini rossi sul pubblico con le dieci regole del noto “Voto di castità”. In seguito spiegò, nel perfetto stile della sezione giovanile del Partito Comunista Danese, che «aveva il permesso del gruppo di presentare il testo ma non di discuterlo». Il 20 marzo 2005 i quattro registi fondatori (oltre a Von Trier, Thomas Vinterberg, Søren Kragh-Jacobsen e Kristian Levring) si sono riuniti in un cinema di Copenaghen per sottoscrivere un ultimo manifesto, di addio. Sala affollata in attesa delle dichiarazioni di un collettivo che, qui ma non solo, è una specie di feticcio. Ma a sorpresa non c’è stato alcun commento, solo la lettura nuda e cruda del testo: «Sono trascorsi dieci anni da quando Dogma ‘95 ha visto la luce del giorno e il buio dei cinema. E in questo tempo sono stati prodotti 40 film dogma. In futuro il certificato insieme al Manifesto e all’Impegno di Purezza si troverà in

MAURO GERVASINI
Film TV

Lars von Trier è l’iperbole della postmodernità: il migliore e il peggiore, il modernizzatore e l’evocatore di immaginari rimossi (alle radici della cultura puritana), il pornografo e il casto esaltatore del rigore dreyeriano del cinema. Nessuno come lui ha saputo costringere anche gli altri - colleghi e spettatori, critici e attori - a riflettere sui dispositivi di messa in scena, riportando la discussione sul “come” e non solo sul “cosa come ai tempi di quelle avanguardie così spesso saccheggiate nei suoi primi film. Ha saputo scatenare pandemoni culturali attraverso prese di posizione esagerate e solo apparentemente gratuite; ha creato a propria immagine e somiglianza un “manifesto”, il Dogma, che è come lui tutto e il suo contrario, così irritante e fasullo da essere ovviamente preso sul serio. A metà degli anni ‘90, mentre la Settima Arte subisce i contraccolpi di un altro genio “ignorante“, Quentin Tarantino - anch’egli esaltato dall’odore del sangue di un cinema in avanzato stato di decomposizione - Lars ribalta la tendenza dominante. Invece di evidenziare i meccanismi spettacolari restituendo del mondo un disorganico surrogato, lui cerca la verità, disprezza i suoni finti, gli effetti speciali, i generi, e predica il ritorno del cineasta in strada, a contatto con una realtà che agli altri è sfuggita di mano. Predica, insomma; in una sorta di litania liturgica che non a caso si conclude con un voto di castità: «Giuro come realizzatore d astenermi da qualunque gusto o tocco personale, il mio fine supremo è quello di forzare la verità affinché esca dai miei personaggi e dalle situazioni». E mentre predica il ritorno allo stato edenico del cinema, quello rigorosamente in pellicola 35 mm, la sua testa ragiona già con formati altri: il digitale di Dancer in the Dark (2000), per esempio. Così per lo spazio. Se il Dogma lo impone naturale, non ricostruito in studio, addirittura senza oggetti che non si trovassro lì prima dell’arrivo della troupe, le sue geometrie dello sguardo già tracciano sagome di gesso sulla pelle di un film-set come Dogville (2003), dove l’artificio ha il sopravvento. Rispettoso dei Dogma è solo Idioti (1998), il cui congegno di provocazione si basa sul ricatto morale che lo spettatore subisce alle reazioni di chi prova disagio di fronte agli “idioti” del titolo, un gruppo di ragazzi che si fingono disabili mentali per confutare attraverso comportamenti alieni i valori borghesi. L’ideologia del film è di un’ ingenuità disarmante, il primo a non prenderla su] serio è proprio l’autore: «Idioti è un piccolo gioco ideato dal piccolo Lars». E mentre il bambino dispettoso pensa a come rubare altra marmellata sotto gli occhi di tutti, boccaloni di varie parti dei mondo aderiscono a un manifesto che non esiste e realizzano nuovi Dogmi destinati a non lasciare tracce.

EMANUELA MARTINI
Film TV

Mi piace Lars von Trier, anche se è un piacere nutrito dal sospetto. Non un classico “piacere colpevole”, di quelli viscerali e istintivi, incontrollabili dal gusto e dalla ragione (che so, gli horror della Hammer, la serie American Pie, i mélo con Bette Davis), ma un piacere guastato dal dubbio della sua (di von Trier) intelligentissima disonestà. In pratica sono abbastanza d’accordo con i critici che gli rimproverano tendenze sadiche e un’impeccabile tecnica manipolatoria: von Trier è bravo, molto bravo, e porta il pubblico dove vuole, sul sentiero della lacrima e del ricatto morale. Porta anche me dove vuole, anche se non piango per i suoi film, come invece davanti a quelli di Eastwood, Almodóvar, Amelio, Burton (per parlare solo dei contemporanei); probabilmente perché ho affinato nel cervello e nella pancia gli strumenti per difendermi da una commozione prevista (esecuzioni capitali, sacrifici, miracoli delle campane). Ma non capisco perché non debba ugualmente godere della sua intelligenza cinematografica (dote non proprio comune, oggi): del metodico, dilatato gioco al massacro di Dogville (versione integrale), della demenza programmatica di Idioti, dell’ironia nerissima di The Kingdom (senza dubbio, il suo lavoro migliore, forse perché i più “disimpegnato”), della finezza di L’elemento del crimine e della “grana grossa” (se proprio vogliamo chiamarla così) di Le onde del destino e Dancer in the Dark. Certo, in questi due film, von Trier ha calcato la mano sull’emozione melodrammatica e non ha risparmiato, alle protagoniste e agli spettatori, umiliazioni e spasmi. Ma questa è davvero una colpa, o non piuttosto una delle tante maniere di intendere il cinema? Questo furioso miscelare Sirk e Dreyer (ma anche il cinema di genere, il naturalismo americano, il musical...) e perciò fuoco e gelo, non significa anche cercare una strada personale, e cinematografica, nella contaminazione che ci divora? Meglio von Trier, l’antipatico manipolatore, di tanti registi asettici o carini. Se proprio una colpa mi sento di imputargli è quella di usare troppo la macchina a mano e di aver inventato il Dogma, che ha immediatamente disatteso, ma che troppi giovani registi senza fantasia hanno “sposato” con esiti insopportabili.

MARCO BORRONI
Film Tv

Io me lo vedo, Lars, immerso nella penombra del suo studiolo di dreyeriana austerità, mentre lavora febbrilmente alla sua ultima sceneggiatura. Da dove avrà cominciato? Forse dall’idea di far raccontare alla povera Selma un sacco di balle, nascondendo il suo segreto a tutti affinché, alla resa dei conti, lo spietato ingranaggio della giustizia potesse fare il proprio corso sorretto dall’evidenza di prove schiaccianti. Oppure esaminando con certosina accuratezza il regime penale di ciascuno degli stati dell’Unione negli anni 50, scegliendo poi - o inventandoselo, che è anche peggio - di situare la vicenda in uno di quelli in cui la pena di morte veniva eseguita per impiccagione (mica con la sedia elettrica o con la più moderna e “umanitaria” iniezione letale, roba già vista e stravista).

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