Jane Campion è un'attrice neozelandese, regista, produttrice, scrittrice, sceneggiatrice, è nata il 30 aprile 1954 a Wellington (Nuova Zelanda). Jane Campion ha oggi 70 anni ed è del segno zodiacale Toro.
Regista neozelandese il cui primo film, Sweetie (1989), raccontava la storia di una ragazza afflitta da una congenita incapacità a limitare la propria sensibilità e dalla voglia di comunicare e di esprimere la fantasia di cui è dotata. La sua famiglia, però, è un contesto piatto, che azzera ogni tentativo di espressione individuale: vorrebbe da Sweetie - è anche il nome della protagonista - un modo di fare «normale», che non crei problemi. Nessuno dei membri della famiglia è violento o cattivo: sono semplicemente penpensanti, ordinari, dotati di una mentalità gretta, secondo cui le tensioni e i desideri di una ragazza che sta divenendo donna devono necessariamente «inquadrarsi» in uno schema precostituito. A questa piattezza Sweetie risponde con un simbolico gesto di rottura: sale su un albero e non vuol sapere di venirne giù. L'albero, emblema tradizionale del capriccio della fantasia infantile, in questo caso diventa l'elemento «elevato» in grado di sollevarsi dalla monotonia che appiattisce ogni sentire umano. Il padre, nel tentativo disperato di farla scendere, rompe il ramo che Sweetie aveva eletto a propria dimora. Cadendo a terra, la ragazza batte la testa e muore, ma il suo coraggio e la sua determinazione si trasmetteranno alla sorella minore. Un angelo alla mia tavola (1990), invece, era la trascrizione cinematografica di alcuni romanzi autobiografici di una delle maggiori scrittrici neozelandesi, Janet Frame. La storia inizia descrivendo la casa in cui viveva Janet ancora adolescente, in compagnia di tre sorelle e un fratello epilettico. Già in quell'età, però, la piccola scopre la passione per i libri e la sua inclinazione per la scrittura. La morte di una sorella maggiore costituisce il primo momento di crisi, il primo difficile rapporto con la realtà. Ma altri problemi nasceranno. Divenuta più grande, infatti, il suo conflitto con l'ambiente che la circonda diventa chiaro: tutti la vorrebbero una brava maestra e non una possibile scrittrice. E così anche lei comincia a sentire la sua vocazione letteraria come qualcosa di anormale, non coerente alle aspettative che le vengono imposte. Comincia cioè a farsi strada in lei uno scarto incolmabile tra la voce della sua sensibilità artistica e della sua vita interiore e quella che ascolta all'esterno, che la richiama ad un'esistenza comune. Alla fine finirà per accettare i consigli, farà la maestra, ma si sentirà sempre più gravata da una sensazione di incompletezza, che si manifesta, non a caso, soprattutto davanti ai simboli dell'autorità e dell'istituzione. Un giorno, chiamata a tenere una lezione alla presenza di un ispettore scolastico sentirà le gambe cedere, il fiato mancare e diverrà incontrollabile il desiderio di fuga.
Purtroppo la sua fuga sarà indirizzata all'interno di un ospedale psichiatrico, dove il suo dissidio verrà giudicato come schizzofrenia e curato, per otto lunghi anni, con oltre duecento elettroshock. Ancora una volta, nei film della Campion, la sensibilità femminile diviene vittima di un'istituzione e di un'organizzazione sociale che procede per categorie mentali in grado di annullare il pensiero e la libera espressione.
Janet, poi, uscita dall'ospedale psichiatrico, troverà un aiuto per tornare a scrivere, per mettere su un foglio bianco tutte le sue difficoltà, per ricominciare. Vorrà di nuovo affrontare l'ospedale e lì, la vecchia diagnosi viene smentita clamorosamente.
Anche la protagonista di Lezioni di piano, Ada, è una donna dell'epoca vittoriana impossibilitata a decidere della propria sorte e della propria vita. La società patriarcale in cui vive le impedisce di crescere e la condanna a sposare un uomo che non conosce e a lasciare la Scozia per emigrare in Nuova Zelanda, in un mondo che, ai suoi occhi, presenta tutti i simboli della difficoltà: foreste, fango, piogge e asperità di ogni tipo. La mentalità dell'epoca ha stabilito che solo lì, lontano dagli occhi della gente, può trovare l'uomo che, sposandola, le restituisca la dignità perduta diventando una ragazza madre. A questa repressione ambientale così forte, Ada risponde con una personalità altrettanto determinata. Il suo agire controcorrente, però, finisce per indirizzarsi solo contro se stessa. Dura, caparbia, senza mezzi termini, verificata l'impossibilità di esprimersi come donna in un mondo ostile, smette di comunicare nella maniera più comune per quel mondo: cessa di parlare, di proferire parola e rimane muta per lunghi anni.
I suoi stati d'animo, le sue sensazioni, la sua rabbia vengono espressi solo attraverso la musica. É solo suonando il pianoforte che riesce a manifestare fino in fondo la sua coscienza; è solo ascoltandola suonare che un uomo a cui impartisce lezioni di piano, si innamora di lei. Finalmente amata per quello che è, troverà la forza per ricambiare l'amore, per tradire il marito, per seguire i suoi istinti e spezzare quella catena di mentalità e di falsa cultura che le impediva di crescere.
E tutto questo grazie alla musica. Non è casuale, allora, che quando il marito, accortosi dei suoi tradimenti, la rinchiude in casa, lei invia messaggi d'amore al suo amato incidendoli sui tasti del pianoforte; così come non è casuale che quando il marito vuole reprimere quella parte di lei che non si è piegata alla logica della società maschilista, le taglia un dito della mano necessaria per suonare, vale a dire l'ultima corda vocale della sua voce di donna indipendente.
Per riacquistare la parola, per tornare finalmente ad esprimersi dovrà affrontare questi tragici avvenimenti che la condurranno ad un simbolico tentativo di suicidio: in mezzo al mare, su una barca che rischia di affondare se non viene buttato in acqua il suo pesante pianoforte, Ada si lega il piede allo strumento. É come cioè se in quel momento decida di far morire la sua vecchia condizione per farne nascere una nuova: mentre il piano sprofonda negli abissi marini qualcosa la richiama alla vita, qualcosa la farà improvvisamente crescere e trovare l'equilibrio e la forza necessaria per divenire padrona della propria esistenza. A quel punto potrà vivere serenamente con un uomo che non è quello predestinato dal padre e potrà tranquillamente ricominciare a parlare.
Vale la pena, però, di definire meglio questo qualcosa che richiama Ada alla vita e che le richiede di manifestarsi completamente per quello che è. Al fianco di Ada, infatti, per tutto il film, c'è la figlia Flora, il segno del suo peccato, il motivo per cui, disonorata, è stata mandata in una terra lontana. Tra le due si è instaurato un rapporto di specchi, che riflettono però in un'unica direzione: Ada non parla, lo abbiamo detto, ma la piccola Flora traduce le sue sensazioni, parla per lei, diventa completamente il suo doppio, con tutti i limiti che questo può comportare. Flora, infatti, non dice mai quello che pensa ma sempre e soltanto quella che dice sua mamma. É una delle colpe maggiori di Ada-donna, ma è soprattutto la colpa di Ada-madre: la condizione di «subalterna» a cui è stata costretta la riproietta in maniera totale sulla figlia. Cerca il suo riscatto, ma finisce per farne pagare il prezzo anche alla piccola. La Campion sottolinea in maniera intensa questa proiezione: le due donne, malgrado l'età, appaiono sempre uguali, hanno lo stesso viso, la stessa acconciatura di capelli, lo stesso cappello, la stessa gonna. Quando si inoltrano nella foresta eseguono gli stessi passi, procedono sempre una dietro l'altra.