FERNALDO DI GIAMMATTEO
Se tutti i grandi comici sono unici e inimitabili, fra tutti il russo-olandese-italo-francese Tati (nipote dell'ultimo ambasciatore zarista a Parigi) è il più inimitabile e inclassificabile. Non parla, borbotta, è lungo come una pertica, veste un trench troppo corto, regge ombrello e pipa, ha in testa un cappelluccio, cammina piegato in avanti, saltellando morbido come stesse per cadere. Fa cabaret, dopo aver fatto sport (rugby), trasferisce su film le sue macchiette. Con il primo lungometraggio - Giorno di festa (1949) - impersona un postino che «vuol fare l'americano» seminando pasticci e confusione nel villaggio. Quattro anni dopo - è lunghissima e ossessiva la preparazione di Tati - inventa il suo personaggio, che chiama Monsieur Hulot, uno qualunque, un po' strampalato, umano e ragionevole in un mondo di matti sempre di corsa. A uno dei grandi miti francesi - le «sacrées vacances» - dedica sornione Le vacanze di Monsieur Hulot (1953), dove il lungagnone svagato sparge panico e divertimento. Passano altri cinque anni ed ecco, a colori, Mio zio (1958), dove la vita moderna - così incomprensibile per Hulot e così insopportabile per il nipotino - si concentra, e si disumanizza, nella villa «superaccessoriata» di un industriale che vorrebbe affibbiare un lavoro al lunare cognato.
Nel 1967, dopo un altro lunghissimo intervallo, Tati realizza quello che si può considerare il suo capolavoro: Playtime. Ora Hulot, serafico e pieno di buona volontà, si confronta con la punta più avanzata del progresso tecnologico, imbattendosi in un gruppo di turisti americani, prelevandoli all'aeroporto («mistificato» mirabilmente per un ospedale) e portandoli a spasso per una Parigi che sembra New York (la vera Parigi la si scorge di sfuggita nei cristalli delle porte a vetri): tutto quasi sempre in campo lungo, fra incidenti e sorprese surreali. Ancora più concitato e antimodernista è il successivo Monsieur Hulot nel caos del traffico (1974), dove uomini e automobili girano in tondo, follemente e tranquillamente, senza più meta. È la fine del mondo: solo Hulot si salverà. Per noi.
Fernaldo di Giammatteo, Dizionario del cinema. Cento grandi registi,
Roma, Newton Compton, 1995