Portobello

Primi anni Ottanta. Enzo Tortora è un conduttore televisivo molto amato dal pubblico. La sua trasmissione, Portobello, è campione di ascolti e riunisce davanti ai piccoli schermi una platea variegata che comprende salotti buoni, conventi di suore e celle di prigione. Fra i suoi fan c'è appunto un carcerato ndranghetista, Giovanni Pandico detto lo Scribacchino perché redige le lettere di Raffaele Cutolo, il boss della camorra rinchiuso come lui a Poggioreale. Pandico scrive ossessivamente a Tortora, inviandogli anche dei centrini da mettere all'asta a Portobello e cercando la sua attenzione, ma non riceve risposta. Dunque quando il criminale deciderà di diventare "dissociato" si vendicherà facendo, fra molti altri, anche il nome del conduttore, e dando così inizio all'odissea giudiziaria di Tortora durata anni di detenzione in attesa di giudizio e una serie di processi a catena.

Marco Bellocchio affronta la "piccola storia ignobile" che ha segnato la coscienza degli italiani ricostruendola in modo tanto fattuale quanto metaforico, e facendo leva sugli elementi surreali e onirici che hanno caratterizzato l'intera vicenda.

Tortora si fa cartina di tornasole di un modo tutto italiano di intendere la legge, la lotta al crimine e la popolarità mediatica. La serie inizia con l'inquadratura di scaffali di maschere e manichini, e l'immagine della maschera, da indossare o da gettare, ricorrerà lungo tutto il corso della narrazione: in particolare quella di Pulcinella, non solo perché la camorra è napoletana, ma perché il "caso Tortora" è stato un affare tragicomico, in bilico fra opportunismo, anche politico, e amara ironia.

Bellocchio non si trattiene dall'addentrarsi anche nelle contraddizioni del personaggio Tortora, araldo di una televisione popolare e deriso da chi, appena sono iniziati i suoi guai, l'ha tacciato di falsità a ipocrisia nella messa in scena dei "buoni sentimenti", definendolo un imbonitore e "un imbroglione di massa".

"Noi portiamo la croce e tu passi alla cassa", dirà Pandico, alludendo alla messa in scena a Portobello delle disgrazie altrui a favore di camera. C'è anche un interessante confronto in carcere fra il conduttore e un attivista politico di estrema sinistra (interpretato da Piergiorgio Bellocchio) che compara le loro opposte scelte "demagogiche".

Fabrizio Gifuni è magistrale nel dare corpo e anima a Enzo Tortora, non imitandolo ma evocandolo con la stessa capacità medianica con cui aveva "canalizzato" Aldo Moro in Esterno Notte, in qualche misura trasportando quel fantasma in questo, entrambi simboli allucinati e allucinanti di una infingardia tutta italiana. Accanto a lui un monumentale Lino Musella nel ruolo di Pandico, e molti interpreti che lasciano il segno pur nella brevità del loro ruolo: uno per tutti Gianfranco Gallo nei panni di Raffaele Cutolo.

Bellocchio gestisce gli spazi in cui sono incastonati i suoi personaggi come architetture metafisiche, palchi teatrali di una tragedia ridicola della quale Tortora ha sofferto (al punto di perderci la vita) perché "la faccia era la sua", e su quella faccia si giocava la sua intera esistenza, oltre che carriera.

Anche il pappagallo di Portobello diventa il simbolo di un Paese di quaqquaraqquà, in una trasmissione che i suoi detrattori descrivevano come "paccottiglia sentimentale". Le simpatie di Tortora per il Partito Liberale lo ha reso (politicamente) scoperto in un momento in cui solo chi faceva parte della DC o del PC poteva contare su pubblici difensori d'ufficio: Bellocchio ha parole dure anche per la RAI nella sua ignavia al momento di sostenere il suo conduttore di punta.

Gli altri "cattivi" sono i mass media cui la vicenda Tortora è stata data in pasto fin dall'inizio, in barba al segreto istruttorio (e dunque anche il sistema giudiziario è messo all'indice). Alla fine "chi ha avuto ha avuto ha avuto", come canta Pucinella nella serie, e davvero in Portobello ce n'è per tutti, nel resoconto impietoso di una vicenda infame in cui Bellocchio ficca il muso come ha fatto con il caso Moro, il caso Dalser e tante altre perversioni della nostra Storia recente, sapendo che sviscerare il passato significa avere la possibilità di riconoscerne le conseguenze sul presente. 