Mexico 86

Guatemala 1976. Maria è una militante della resistenza al regime ed è costretta, dopo che il proprio compagno è stato assassinato, a prendere una decisione. Per continuare la lotta deve abbandonare Marcos, il figlio neonato, e fuggire in Messico. Sarà la nonna ad occuparsene. Quando, dieci anni dopo, le sembrerà possibile tenere Marcos con sé non tutto sarà semplice.

Partendo da elementi autobiografici Cèsar Diaz descrive con partecipazione i dilemmi che affronta una madre che non vuole, nonostante tutto, rinunciare ad esserlo.

Dal 1954 al 1996 il Guatemala visse sotto una feroce dittatura, sostenuta dagli Stati Uniti, che portò all'uccisione di circa 200.000 civili. È in questo contesto che si colloca la vicenda narrata in questo film dal regista che ha avuto una madre che aveva aderito alla resistenza e che, quando lui chiedeva le ragioni del suo impegno riceveva la risposta: "Perché vogliamo creare un mondo diverso per te e la tua generazione".

Per tornare sul tema della repressione violenta già trattato in Nuestras madres Diaz aveva bisogno di un'attrice che desse un'adesione non solo professionale al personaggio della protagonista. L'ha trovata in Bérénice Bejo che nel 1979, a soli tre anni, lasciò con la famiglia l'Argentina per sfuggire alla dittatura militare. L'accettare questo ruolo l'ha portata a rileggere anche la propria storia familiare.

Di film in cui la scelta della clandestinità impone in particolare alle donne una scelta tra la maternità e l'impegno politico ne sono passati molti sullo schermo. A titolo di esempio si pensi ad Anni di piombo o a La meglio gioventù dove il tema, seppure non centrale, veniva affrontato. Dove si colloca allora l'originalità di quest'opera? Innanzitutto nel fatto che non veniamo collocati nella vicenda facendo nostro il punto di vista di Marcos. Finiremmo con il giudicare Maria e l'esito sarebbe negativo nei suoi confronti. Veniamo invece messi in condizioni di comprendere la complessità del suo rapporto con un figlio che ha ormai dieci anni e non viene vissuto come un peso ma come una persona con cui costruire un rapporto.

È interessante poi vedere come Diaz, che è anche sceneggiatore del film, abbia mostrato come anche in ambito rivoluzionario e progressista le istanze materne vengano messe, seppure con valide motivazioni, in secondo piano. Maria, che in Messico ha trovato una copertura lavorando nella redazione di un periodico, 'deve' lasciare che il bambino le venga nuovamente tolto e sia inviato a Cuba, Bejo riesce a offrire al personaggio tutte le tensioni ideali e affettive che creano un inevitabile contrasto interiore mentre il figlio compie un processo di crescita e di avvicinamento che non può non essere messo in discussione a causa degli eventi. Ancora una volta il cinema d'impegno civile contro le repressioni, da qualsiasi parte provengano, ci consente di rivisitare il passato per guardare ad un futuro in cui fare in modo che simili scelte non debbano più compiersi. 