Painkiller

Edie Flowers ha indagato a lungo su Purdue Pharma ma si è scontrata con un muro eretto dagli avvocati e soprattutto dai potenti contatti della compagnia responsabile dell'antidolorifico OxyContin. Ora le viene proposto di collaborare a una nuova indagine, che punta direttamente al magnate Richard Sackler, ed Edie racconta così la sua storia, che si incrocia con quella di una giovane rappresentate di Purdue, Shannon Schaeffer. Irretita dai soldi facili che le promette Britt Hufford, Shannon entra nel mondo di Purdue e si guadagna presto la sua parte, ma rimane via via più segnata dagli effetti del farmaco che sta spingendo sul mercato. Nel mentre il meccanico Glen Kryger, vittima di un infortunio alla schiena, viene medicato con OxyContin e finisce per diventarne dipendente, mandando a rotoli la propria vita e quella della sua famiglia.

L'ascesa e caduta di OxyContin e della Big Pharma che l'ha diffuso sono al centro di una nuova miniserie che non aggiunge nulla di nuovo a lavori come Dopesick e anzi spinge il pedale del j'accuse come se trattasse uno scandalo da denunciare con urgenza.

La miniserie di Peter Berg Painkiller arriva quindi non poco in ritardo sui fatti e pure su altri titoli che hanno trattato la questione. Di per sé non sarebbe una gran colpa ma il suo tono aggressivo sembra frutto di equivoco, come se la questione fosse una rivelazione da urlare a pieni polmoni quando invece è cosa ormai ben nota pure fuori dagli States.

Oltretutto si ferma esattamente dove si fermava Dopesick, senza quindi affrontare come la "crisi" dei farmaci oppiacei abbia avuto tutta una serie di fasi successive a quella di OxyContin e ora sia, per esempio, dominata dalla diffusione del micidiale Fentanyl. A differenza di Dopesick però ci risparmia almeno un finale dai toni trionfalmente fuori luogo e resta invece amara nonostante la sconfitta in tribunale - e soprattutto nei confronti agli occhi dell'opinione pubblica - di Richard Sackler.

Berg sceglie un registro aggressivo e al tempo stesso didascalico, con il personaggio di Uzo Aduba che ha il compito ingrato di ricapitolare tutta la vicenda e fornire chiarimenti di ogni sorta, risultando umanamente schiacciato dalle proprie parole.

Siamo dalle parti dei film di Adam McKay come La grande scommessa e Vice - L'uomo nell'ombra, in particolare nel montaggio con inserti di materiale d'archivio, oltre che in una interpretazione grottesca e caricaturale dei personaggi della famiglia Sackler. Su tutti l'agitatissimo e paranoico Mortimer, che grida terrorizzato in ogni situazione, e il quasi autistico Richard, interpretato da Matthew Broderick in un ruolo per lui molto insolito. Si aggira per una casa enorme e deserta, preoccupato del suo cane e dell'allarme antincendio che suona a sproposito non lasciandolo dormire, inoltre è perseguitato dal fantasma di Arthur Sackler Sr., che ha il volto di Clark Gregg con una vistosa parrucca. Il fondatore del successo della compagnia gli ricorda continuamente che non deve cedere alla legge, ma allo stesso tempo gli dice che, con OxyContin, ha esagerato e rischia di distruggere la fama immortale che lui ha cercato di dare alla famiglia attraverso la filantropia e il mecenatismo.

A far da contraltare a questa fantasiosa ricostruzione biografica ci sono, in apertura di ogni episodio, i genitori di una vittima che leggono il disclaimer per cui i fatti rappresentati sono in parte fittizi, ma subito dopo aggiungono che la morte di loro figlio o figlia è invece tragicamente reale.

A rappresentare nella serie le loro storie c'è il personaggio di Taylor Kitsch, il cui tragico cammino verso la tossicodipendenza è raccontato con un taglio più naturalistico che non risparmia dettagli miserabili. La sua è sola storia credibilmente umana, giustapposta all'ingenua crociata di Edie, alla mostruosa trasformazione di Shannon e allo stralunato Sackler. Allo stesso tempo però è anche troppo riduttiva, risaputa e sacrificata dal peso delle altre storie: finisce per essere fin troppo essenziale, senza raccontare per esempio il tipico percorso in centri di rehab che non riescono a risolvere il problema. Inoltre il modo in cui il personaggio è rappresentato come capo di una piccola impresa, circondato da un figlio che si comporta come uno strafumato e da dipendenti ciccioni e pigri, lascia assai perplessi nel suo schematismo.

Nonostante i suoi limiti, Painkiller è in ogni caso almeno un utile e ben ritmato promemoria di come questa epidemia quasi suicida, in cui l'America ha cannibalizzato se stessa, sia figlia del capitalismo più bieco. 