No Heaven, But Love.

Film 2023 | Drammatico 112 min.

Anno2023
GenereDrammatico
ProduzioneCorea del sud
Durata112 minuti
Regia diJay Han
AttoriShin Gi-hwan, Kim Hyun-mok, Soo-Yeon Park, Lee Yoo-mi .
MYmonetro 2,75 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari.

Regia di Jay Han. Un film con Shin Gi-hwan, Kim Hyun-mok, Soo-Yeon Park, Lee Yoo-mi. Genere Drammatico - Corea del sud, 2023, durata 112 minuti. - MYmonetro 2,75 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari.

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Ultimo aggiornamento venerdì 22 marzo 2024

Due adolescenti diventano amici ma il loro rapporto si tramuterà presto in amore.

Consigliato sì!
2,75/5
MYMOVIES 2,50
CRITICA
PUBBLICO 3,00
CONSIGLIATO SÌ
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Critica
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Cinema
Trailer
Un delicato romance queer, che vira verso il thriller. Notevole l'interpretazione di Lee Yo-mi di Squid Game.
Recensione di Emanuele Sacchi
venerdì 22 marzo 2024
Recensione di Emanuele Sacchi
venerdì 22 marzo 2024

Corea, 1999. Ju-young è una promessa del taekwondo, costretta dalle circostanze a competere in una categoria di peso differente dalla sua. Per questo subisce le angherie di un allenatore sadico, che aizza tutta la squadra contro di lei. Una sera, dopo una colluttazione, in soccorso di Ju-young arriva Ye-ji, una ragazza orfana che lavora a un fast food e che casualmente finirà in affido proprio nella casa di Ju-young. Tra le due ragazze nasce una complice amicizia, che presto si trasforma in amore reciproco. Ma la relazione tra le due viene osteggiata dalla madre di Ju-young e dall'allenatore.

No Heaven, but Love ci riporta al 1999, un anno che per il mondo significa ansia da Millennium bug, mentre ricorre la domanda "cosa succederà quando si arriverà allo 00?

Una sorta di presagio pre-apocalittico, degno delle profezie Maya, che in Corea coincide con la difficile ripresa dal tracollo economico di pochi anni prima, che ha lasciato il segno su una cospicua fascia di povertà, vecchia e nuova.

In questo milieu sociale dissestato, la regista Han Jay colloca una tormentata love story queer, con un occhio al presente e alla radicale trasformazione dei costumi degli ultimi 25 anni. La Corea di fine millennio si mostra più chiusa che mai da questo punto di vista e la relazione tra Ju-young e Ye-ji appare come scandalosa e proibita, osteggiata da tutti. Una stagione di violenza e di paranoia, incarnata da personaggi timorosi e problematici - le madri, le insegnanti - e da un allenatore paradigmatico della mascolinità tossica. In questo senso la regista Han Jay gioca la carta dell'eccesso, alternando le sfumature pastello del romance delicto e impossibile tra le ragazze all'esasperazione violenta di chi le circonda, che sfocia nella caricatura grottesca.

I maschi sono nel migliore dei casi - l'amico di Ju-young - puerili e inadeguati, nel peggiore - l'allenatore Park - pericolosi psicopatici, liberi di muoversi a piacimento in un mondo di sopraffazioni e imposizioni, in cui il sesso estorto è merce di scambio e la legge a cui doversi attenere, soffocante e ancestrale, è quella del più forte. Per Ju-young e Ye-ji trovarsi e poi amarsi sembra quasi una conseguenza naturale della situazione. Ognuna reca con sé il fardello di un passato drammatico e infelice: Ju-young fatica a integrarsi con le colleghe di taekwondo e a liberare la sua natura autentica; Ye-ji viene dal riformatorio e cerca faticosamente un'indipendenza economica in un mondo patriarca che la valuta solo per l'avvenenza. Sono due solitudini che si incontrano, finalmente capite e protette, in un contesto desolante e sull'orlo del baratro morale.

La necessità di spettacolarizzare e di adeguarsi al malvezzo del cinema popolare sudcoreano recente, che chiede eccesso su eccesso e colpo di scena dopo colpo di scena, spinge Han Jay verso una deriva thriller, che tinge di giallo la vicenda e pone il romance in secondo piano. L'ultima mezzora è una escalation di suspense girata con troppa enfasi - una lunga e pretestuosa sequenza muta e in ralenti - che ha il fine di svegliare le coscienze, ma finisce per smarrire lo spirito mélo della prima parte. Notevoli le interpretazioni delle due protagoniste, con la Lee Yo-mi di Squid Game a dare un volto a Ye-ji.

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FOCUS
INCONTRI
venerdì 29 marzo 2024
Giovanni Bogani

Si chiama No Heaven, But Love (disponibile in streaming su MYmovies ONE) – “niente paradiso, ma amore”. È un racconto vivido e toccante su un amore giovane e puro in una società intollerante. Un amore fra due ragazze raccontato in modo delicato, attento, profondo.

È il film che è stato presentato in anteprima italiana martedì 26 marzo al Korea Film Fest di Firenze. Ambientato nella Corea del sud al tramonto degli anni ’90, racconta un primo amore fra una adolescente, atleta di taekwondo, che subisce prepotenze e umiliazioni da un allenatore autoritario e violento, e una ragazza orfana, con un passato problematico: più libera, più “moderna”, più disinibita dell’altra. Ma in definitiva anche più indifesa, più sola. Una storia di amicizia e di amore, un filo d’erba al vento di un maschilismo tossico.

A dirigere il film è la regista coreana Han Jay, 37 anni, laureata in sceneggiatura alla Dankook University, da anni impegnata nel raccontare storie LGBTQIA+. In questo film, Han Jay racconta una Corea nella quale le punizioni corporali fanno ancora parte della prassi educativa, e nel quale i maschi sono sopraffattori, ottusi, prepotenti. Abbiamo intervistato la regista.

Han Jay, nel suo film vediamo giovani atlete di taekwondo prese a bastonate dal loro allenatore. Il film è ambientato nella Corea del 1999: quella delle punizioni fisiche è una pratica ancora in uso?
In Corea oggi certe situazioni non emergono alla luce del sole, come accadeva negli anni ’90. C’è un clima generale per il quale le punizioni corporali non sono più tollerate nel mondo dell’educazione e in quello dello sport. Tuttavia, anche mentre scrivevo la sceneggiatura del film, nel 2020, uscivano notizie di violenze nel mondo dello sport. Temo che in qualche modo non si tratti di un problema limitato al passato.

Tema centrale del film è il rapporto di amicizia, complicità e amore fra le due ragazze. Una relazione che trova ostacoli praticamente ovunque. Come è la situazione oggi in Corea?
Oggi i mass media promuovono una grande apertura mentale verso l’omosessualità; ma le sensazioni che prova chi vive con una persona dello stesso sesso sono ancora sensazioni negative. Le persone che hanno relazioni omosessuali non sono le benvenute nella società coreana.

Delle due protagoniste del film, Lee Yu-mi – che interpreta la ragazzina orfana – è la più celebre. Ha interpretato il ruolo di Ji-yeong in Squid Game, arrivando a vincere un premio Emmy, prima donna coreana nella storia a vincere questo riconoscimento. In poco tempo, i suoi follower su Instagram sono diventati, da poche centinaia, oltre sei milioni. 

Come ha scelto le due, bravissime, protagoniste?
Per l’attrice Lee Yu-mi, molti aspetti del personaggio che avevo scritto mi ricordavano proprio lei.. Nonostante l’apparenza delicata, Yu-mi è un’attrice con una grande forza, una grande indipendenza. E volevo l’insieme di queste due caratteristiche. L’altra attrice, Park Soo-yeon, doveva rappresentare un’immagine del tutto diversa. È una ragazza gentile, il tipo di ragazza di cui ti innamori. Ha un sorriso che illumina tutto, che spinge gli altri a sorridere a loro volta. In generale, tutti gli attori sono stati fondamentali. Li ho contattati tutti personalmente, ho fatto provini personalmente, ad uno ad uno: era importante che ognuno di loro mostrasse passione per il progetto.

Come avete lavorato, per rappresentare le scene più violente?
Per le scene di violenza, abbiamo discusso molto a lungo, prima di girare, riguardo al livello di violenza da mostrare, e su come rappresentarlo. Per le scene di taekwondo, c’era sempre sul set un maestro di arti marziali, e abbiamo fatto molte prove prima del ciak. Riguardo alla violenza emotiva, abbiamo parlato a lungo con gli attori e le attrici prima di girare.

Lei ha spesso trattato temi collegati alle discriminazioni verso persone LGBTQIA+. Che cosa, secondo lei, è più necessario e più urgente fare, per superare discriminazioni e barriere? 
Alla fine, penso che la cosa più importante è cambiare la percezione delle persone. Così come c’era un tempo in cui le persone di colore venivano discriminate, le minoranze sono tuttora marginalizzate e discriminate. C’è un grande bisogno di riconoscimento delle diversità di ciascuno, e di rispetto per ogni individuo.

Come vorrebbe che il suo film fosse visto dal pubblico italiano?
Non pretendo niente in particolare. Spero che il pubblico possa entrare in sala e sentire un po’ delle gioie e dei dolori che racconto. Ho girato il film con la speranza che fosse un film capace di ricordarmi il mio primo amore; e spero che il film sia capace di far tornare alla mente il primo amore di ciascuno, quel tempo in cui eri innamorato o innamorata in modo semplice e puro.

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