Rigoletto al Circo Massimo

Film 2021 | Opera lirica 120 min.

Regia di Damiano Michieletto. Un film Da vedere 2021 con Roberto Frontali, Rosa Feola, Ivan Ayon Rivas, Riccardo Zanellato, Martina Belli. Cast completo Genere Opera lirica - Italia, 2021, durata 120 minuti. Valutazione: 3,5 Stelle, sulla base di 1 recensione.

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Ultimo aggiornamento martedì 19 ottobre 2021

La celebre opera torna in scena a Roma dopo mesi di lockdown. Il film attinge a tutto il materiale visivo girato dentro e fuori dal palco.

Consigliato assolutamente no!
n.d.
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Una lettura profondamente originale che restituisce la forza drammatica dell'opera di Verdi.
Recensione di Marzia Gandolfi
martedì 19 ottobre 2021
Recensione di Marzia Gandolfi
martedì 19 ottobre 2021

Se è vero che forme di cinema operistico dimorano nelle cinematografie internazionali, il film-opera è ascrivibile soprattutto al cinema italiano, per durata, per quantità, per qualità. Il fenomeno non sorprende se pensiamo al rilievo dell'opera lirica nella nostra cultura. Cavalcando un luogo comune socio-culturale, possiamo quasi affermare che gli italiani siano antropologicamente votati al melodramma, fatalmente attratti dall'ineluttabilità sentimentale o esistenziale, che proprio l'opera lirica si fa carico di drammatizzare. Il cinema si è sovente definito in rapporto ad altre forme d'arte, non sempre giovandone. Ma il più delle volte questa commistione di forme diverse ha prodotto oggetti di confine, come il musical americano o il film-opera italiano, che dimostrano la dinamicità del cinema e la sua capacità di assimilare espressioni culturali e artistiche diverse.

Considerato un genere minore, tuttavia il film-opera percorre buona parte del nostro cinema, dal muto ad oggi, passando per la stagione d'oro degli anni Cinquanta.

È in questo contesto e dentro questa storia nobile, che allaccia la musica lirica al cinema, che va inserito e letto Rigoletto al Circo Massimo di Damiano Michieletto. Regista teatrale affatto consueto, ha deciso di far fronte alla crisi sanitaria con un décor essenziale dove i cantanti si muovono come note musicali. Contro il riflesso conservatore di una parte del pubblico operistico, schiera una lettura profondamente originale di "Rigoletto", una visione personale che restituisce la forza drammatica dell'opera di Verdi.

Non è nuovo l'autore all'approccio non convenzionale. Per restare 'in tema', nel 2017 ambienta il "Rigoletto" in un ospedale psichiatrico, dove la follia ha condotto il padre di Gilda e dove il rimorso di averne causato involontariamente la morte lo divora. La confusione mentale è sovente alla base delle sue (ri)letture ("Sigismondo"). Nel 2020, in piena pandemia, risponde all'appello dell'Opera di Roma che reagisce alla chiusura forzata montando "Rigoletto" e provando nuove vie.

I tempi bui e le costrizioni indotte lo sollecitano (letteralmente) a uscire, a tentare congiuntamente linguaggi diversi dentro lo spazio aperto e gigantesco del Circo Massimo. Il buffone di corte ha decisamente lasciato Mantova e gli spazi abituali del teatro. Se ieri era internato e costretto a rivivere il suo dolore nel buio della mente, oggi è una bestia tragica che serve un volgare boss di quartiere e sopravvive perché tutti lo stanno ancora calpestando. Con Daniele Gatti, direttore d'orchestra alla ricerca dell'imperfezione nella perfezione dell'esecuzione, Damiano Michieletto risale il tempo fino al romanzo di Victor Hugo ("Il re si diverte"), alla ricerca di un dettaglio che possa, con la musica verdiana e il libretto di Francesco Maria Piave, nutrire gli eccessi, i nodi e le ferite che il melodramma implica sul piano del linguaggio filmico e teatrale.

Sei vetture, una roulotte e una giostra da fiera sono gli 'ornamenti' agili ed efficaci che reggono il mondo di Rigoletto e regolano la prossemica degli attori, che il rischio di contagio tiene lontani. A ridurre la distanza fisica pensano le steadicam, sostenute 'a vista' dagli operatori, che proiettano il girato live e mantengono alta e prossima l'attenzione del pubblico. L'off screen convive col live action, mettendo in campo quello che ringhia, rantola, si contorce, si dimena, emerge o esulta nella testa dei protagonisti.

Dai pensieri ossessivi di Rigoletto ai sogni sognati di Gilda, dalle premonizioni di un padre ai ricordi di una figlia. Se l'opera lirica è impronta della propria incontenibile invadenza, Michieletto proietta su tre schermi e dentro la scena tutta la sua dismisura. La sua opera, che è insieme film-opera, è una partitura di forme che traboccano e di linee temporali che si incrociano come in un film di Nolan, a cui l'autore 'ruba' le maschere di lattice dei cortigiani, che devono più ai clown-rapinatori del Cavaliere oscuro che ai pagliacci di Leoncavallo. Perché Michieletto interpreta l'opera (anche) attraverso la sensibilità (e la memoria) cinematografica. Il cinema non fa da supporto allo spettacolo teatrale, è parte in causa, si fa e si monta sulla scena, colmando lo iato tra i corpi e lavorando altresì sulla discrepanza tra corpo e ruolo degli interpreti. Come al cinema, l'autore insiste sulla drammaturgia dell'attore, risolvendo le incongruenze tra la presenza scenica dei cantanti e la loro caratterizzazione narrativa. Per Michieletto non è sufficiente la voce a salvare la coerenza drammatica. Per servire meglio la musica vuole cantanti-attori come Roberto Frontali (Rigoletto), sofisticata interazione tra voce e corpo che dona un senso teatrale a ogni nota e segue la parabola fatale di un eroe di polar.

Mai così stanco, solo e ossessionato, Rigoletto si prende gioco dei deboli ma lusinga il duca finendo divorato da tutto quello che voleva divorare. Criminale tra i criminali, trascina con sé sua figlia, una Gilda (Rosa Feola) emancipata piuttosto che fanciulla ingenua, pronta ad amare (e a pagare per quel "caro nome") il duca fanfarone e depalmiano di Iván Ayón Rivas, la cui emissione agile alleggerisce un universo terribile. Una corte alla periferia del mondo, un coro di cortigiani, preparato da Roberto Gabbiani, che "scorre unito" sostenendo la complessità della partitura e della messa in scena. Tra le 'nebbie' del ghiaccio secco e di una 'maledizione', che incombe su Rigoletto e percorre l'opera e la vita di Verdi, resiste l'amore. Prima del destino, è il sentimento dominante e celebrato. Quella figlia, unica gioia terrena per il buffone, è la molla nascosta dell'opera e di un'apocalisse senza trascendenza. Sul brulicante libertinaggio del duca e le arie tenorili, che rimandano alle sue fantasie e al suo godimento immediato, si impone, il tempo di un'aria gentile, il duetto baritono-soprano (Rigoletto-Gilda). E in quell'amore paterno ritroviamo di colpo l'umanità, quella del personaggio e quella che rimane alla fine del mondo. Del mondo prima della pandemia. A terra restano i fiori recisi e la risata metafisica del buffone sulla condizione umana.

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FOCUS
INCONTRI
mercoledì 29 dicembre 2021
Luigi Coluccio

Giovedì 30 dicembre RaiTre propone in prima serata Rigoletto al Circo Massimo, con la regia di Damiano Michieletto e la direzione di Daniele Gatti, a cui seguirà il documentario di Enrico Parenti Rigoletto 2020. Nascita di uno spettacolo, più che un backstage una fonte diretta dell’eccezionalità della messa in scena di questa opera lirica. Nel giugno 2020, infatti, dopo le riaperture post-lockdown, il Teatro dell’Opera di Roma (con la collaborazione di Indigo Film e Rai Cinema) inizia una rincorsa frenetica e gioiosa per riportare il pubblico in sala, rispettando ogni norma sanitaria e allo stesso tempo soddisfando la sete di spettacoli dal vivo. Così nasce questo Rigoletto al Circo Massimo, originale e necessaria commistione tra lirica e cinema, tra evento live e visione mediata.
Ne abbiamo parlato con il regista, Damiano Michieletto.

Il Rigoletto che andrà in onda sulla Rai è stato il primo spettacolo post-lockdown, il primo palco riaperto nell'intera Europa – un'impresa registica, musicale e produttiva che ha segnato un momento particolare. Oggi, a un anno e mezzo di distanza, cosa ci si porta dietro da quell'esperienza? Ipotesi di lavoro, metodi produttivi, esplorazioni di spazi differenti, qualcosa insomma di positivo che è nato lì e che può essere riproposto.
Una cosa che ci ha insegnato quell’esperienza è la flessibilità. La possibilità di non essere così rigidi nelle nostre categorie mentali e quindi poter vedere con più elasticità un racconto. La pandemia ci ha costretto ad avere l’orchestra posizionata in diversi spazi con più distanziamento, a mettere i cantanti in un’altra situazione. Nonostante questo le “connessioni” funzionavano benissimo, e questo ci ha dato delle prospettive diverse. Come l’aver potenziato e fatto capire che il rapporto tra lo spettacolo dal vivo e il digitale è molto importante, che non è un impoverimento, perché il teatro ha la sua forza nel fatto di essere un evento live.

Però allo stesso tempo penso che sia importante per il teatro aprirsi e comunicare attraverso il digitale, per fare in modo che più persone possano conoscere e godere degli spettacoli che vengono fatti. Perché molte volte ci sono spettacoli teatrali e operistici che la gente non sa nemmeno che sono stati fatti, o ti compri il biglietto della tournée o non lo vedi più per sempre. Questo è un grande peccato, anche io avrei voluto vedere diversi spettacoli e non ho potuto, e se fossero trasmessi in maniera accurata, con una ripresa accurata, su una piattaforma o su un canale Rai, anche a pagamento, io pagherei quel biglietto per vederli. So benissimo che non è lo spettacolo dal vivo, ma mi dà la possibilità di conoscere quello che è stato fatto. La pandemia dovrebbe farci riflettere sul fatto che è necessario potenziare questo rapporto, per fare avere più visibilità al teatro dal vivo, che così potrò essere più a contatto con il pubblico.

Lei spesso lavora con un linguaggio tecnico e formale che è quello del cinema – penso ai suoi Cavalleria rusticana e Pagliacci dall’influenza leoniana, a La damnation de Faust con le riprese live, l'ipotesi stessa di realizzare un film dal Rigoletto. E in questo caso il ponte che ha tenuto insieme distanziamento e resa artistica è stato proprio quello delle immagini cinematografiche, con le riprese live di tre steadycam e gli inserti realizzati precedentemente in studio.
Questo Rigoletto era in un palcoscenico molto grande, al Circo Massimo, così grande proprio per rendere possibile il distanziamento tra i cantanti che era necessario per rispettare le regole sanitarie. Allo stesso tempo volevo riuscire a mantenere un’intimità fra i personaggi, ad avere una “vicinanza” con il pubblico. E da lì è nata l’intuizione di provare a fare lo spettacolo e allo stesso tempo riprenderlo con delle steadycam, non in maniera televisiva, nel senso di posizionarsi all’esterno e avere dei quadri, ma con un movimento, con dei cameraman che diventano quasi dei performer, perché sono continuamente sul palcoscenico, addosso ai cantanti, restituendo una prospettiva e dei dettagli che altrimenti si perderebbero.

Oltre a questo abbiamo mescolato le riprese con una serie di filmati girati precedentemente sulla spiaggia a Ostia e negli studios a Cinecittà dove stavamo facendo le prove, dei video che costituiscono un ulteriore salto narrativo mostrando quello che sta succedendo da un’altra parte, dei flashback dal passato, sogni, visioni, ossessioni. Questi ingredienti hanno reso la tessitura dell’opera, mescolando la performance dal vivo dell’orchestra e dei cantanti con il racconto cinematografico. Quello che si vedrà il 30 dicembre sulla Rai è un montaggio solamente delle riprese fatte dagli operatori steadycam, un linguaggio radicale che nella sua radicalità mostra tutti i limiti, perché è evidente che non c’è una ricerca della cura fotografica, dell’inquadratura, che potresti avere con i vari ciak.

Qui non ci sono ciak, è tutto dal vivo. Gli inserti cinematografici vanno a illuminare le zone d’ombra del libretto operistico di Francesco Maria Piave, anche riprendendo "Le Roi s’amuse", il testo teatrale di Victor Hugo che ha ispirato Verdi per Rigoletto. Ma questi flashback, nella maggior parte dei casi, non hanno un impianto narrativo, lavorano più sul piano estetico, simbolico.
Sì, un livello meno narrativo e più visionario. C’è Gilda che immagina di essere su una giostra vestita da sposa, il suo sogno un po’ ingenuo di sicurezza, di amore, di felicità. E anche i flashback più narrativi sono comunque sublimati, come quello della bambina che gioca sulla spiaggia con la madre, quasi un video amatoriale girato dallo stesso Rigoletto con immagini mosse, sgranate, la camera a mano. Oppure quando Rigoletto apre il baule dell’automobile e lo trova pieno di fiori, i fiori che poi andranno a costituire la tomba della figlia. Questi inserti servivano per “spaccare” la narrazione e mantenere un ritmo più sostenuto laddove l’opera magari diventa più melodrammatica, concedendosi dei tempi più lunghi.

Come è avvenuto l’“assemblamento” delle immagini dello spettacolo live, compresi tutti questi ulteriori livelli di visione, con il girato finale che andrà in onda sulla Rai?
È un lavoro che abbiamo fatto insieme con un montatore di grande esperienza e carriera come Giogiò Franchini, scegliendo tra il materiale che è stato girato in tre sere. Poi c’è stato l’apporto di Gian Enrico Bianchi per ripulire l’immagine e presentarla per la messa in onda, ma il girato di partenza era quello, senza ciak, senza direttore della fotografia, con solo il disegno luci del palco e l’evento live.

Il contemporaneo è la lente principale con cui lei mette in scena un'opera lirica. Ma come si fa oggi a portare avanti una pratica artistica il cui repertorio è abbastanza limitato rispetto al teatro di prosa, sia nel numero delle opere che nella loro vicinanza temporale?
Quest’impasse si supera solo scrivendo nuove opere. Registicamente si può leggere il passato e reinterpretarlo, come faccio io e tanti altri autori. Ma poi il vero e unico modo non è quello di reinterpretare il passato ma cercare di scrivere le storie di oggi con la musica di oggi. Ci sono teatri che hanno il coraggio di farlo, compositori che sono in grado di scrivere il teatro musicale senza distanziarsi dal pubblico, senza chiudersi in una sorta di autoreferenzialità. Nel corso del secolo scorso, e anche di questi primi due decenni del XXI°, sono state realizzate tante opere, che però spesso vengono messe in scena una volta e poi niente più. Il motivo è che non riescono a parlare al pubblico. Ed è necessario che la critica lo dica. Al pubblico questa cosa qua non arriva, non si farà più dopo, come è successo tante volte nel Novecento con opere che sono andate in scena e contemporaneamente si celebrava il loro funerale. L’unico modo è scrivere oggi delle opere nuove, emozionanti, coinvolgenti, in grado di raccontare non solo la vita contemporanea ma anche il teatro contemporaneo.

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