Titolo originale | Van Gogh & Japan |
Titolo internazionale | Exhibition on Screen: Van Gogh & Japan |
Anno | 2019 |
Genere | Arte, Documentario, |
Produzione | Gran Bretagna |
Durata | 85 minuti |
Regia di | David Bickerstaff |
Uscita | lunedì 16 settembre 2019 |
Distribuzione | Nexo Digital |
MYmonetro | 3,07 su 2 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento venerdì 20 settembre 2019
Un viaggio tra le bellezze della Provenza, l'enigma del Giappone e le sale della mostra ospitata nel 2018 al Van Gogh Museum di Amsterdam. In Italia al Box Office Van Gogh e il Giappone ha incassato nelle prime 12 settimane di programmazione 125 mila euro e 119 mila euro nel primo weekend.
CONSIGLIATO SÌ
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L'arte al cinema non può che rappresentare un segnale positivo. Raccontare immagini pittoriche di artisti moderni o contemporanei attraverso il mezzo cinematografico è sempre una scelta coraggiosa, ma anche di impatto sullo spettatore. Una scelta dunque vincente, già dalla maniera naif ma spettacolare, ad esempio, di un Luciano Emmer sin dagli anni Cinquanta. Invece di vedere una mostra, un museo, o un'opera d'arte di persona, magari dall'altra parte del mondo, si può fruire da un grande schermo, approfondendone diversi aspetti. Il caso di Van Gogh al cinema è proprio questo: lo studio approfondito di un autore che è noto nella cultura generica già dai tempi di scuola.
In tanti conosciamo la storia di Vincent: i girasoli, il dipinto che rappresenta la sua stanza con una sedia e un letto spoglio, il gesto drammatico dell'orecchio tagliato, il rapporto e lo scambio epistolare con il fratello Theo che lo ha sempre sostenuto; e poi la frustrazione di non essere compreso e non avere mai venduto un'opera d'arte da solo, le amicizie con i colleghi pittori come Paul Gauguin, le distese naturali di Arles... Insomma, la vita di Van Gogh è stata raccontata in tutti i modi, perfino attraverso una novella noir realizzata interamente da dipinti e grafiche disegnate a mano - Loving Vincent (2017) -.
Nonostante questa prolifica popolarità del pittore, per gli sguardi curiosi e attenti, ci sono ancora aspetti da scoprire e approfondire. Come in Van Gogh e il Giappone.
Distese floreali dai toni lilla e color pesca; gli alberi di ciliegio ripetuti all'orizzonte o in primo piano; un giallo che brilla, che non esiste in natura da quanto è reso vivido dal pittore; animali esotici come eleganti uccelli dipinti come ornamento della scena; l'acqua che scorre; una geisha al centro completamente ornata da dettagli minuziosi. Questi elementi dal forte richiamo estetico al Giappone sono tra i più ricorrenti e noti di un periodo produttivo di Vincent Van Gogh legato allo studio e alla dedizione nei confronti di questa cultura così lontana, così diversa.
Nell'anno 1887 in particolare Van Gogh inizia un processo di studio del Giappone e delle sue peculiarità. Questo mondo esotico lo attrae perché lontanissimo dalla sua cultura europea, anche geograficamente, infatti non andrà mai, ma la raggiungerà attraverso il suo immaginario.
Il film documentario di David Bickerstaff analizza questo periodo specifico, focalizzandosi su alcuni dettagli estrapolati dalle lettere tra il pittore olandese e il fratello Theo, tra annotazioni personali e attingendo alle stampe e libri giapponesi che Van Gogh collezionava e che sono state messe in mostra lo scorso anno presso il Van Gogh Museum di Amsterdam e, successivamente, al Museo d'arte contemporanea di Kyoto.
Il regista fa raccontare Van Gogh anche da due artisti contemporanei giapponesi, il performer Tatsumi Orimoto, e la pittrice calligrafica Tomoko Kawao. Vincent inizia copiando i soggetti giapponesi tratti da libri e stampe in voga in Francia a fine Ottocento. Tanti suoi colleghi - da Bonnard a Manet, da Gauguin a Monet fino a Renoir - sono influenzati da questi temi e ornamenti esotici. Il pittore olandese, trasferitosi da Parigi ad Arles, dove trova un po' di pace spirituale e lavorativa, riproduce alcuni soggetti tipicamente giapponesi, aggiungendo il suo stile fatto da gesti veloci e pennellate forti, a contrastare invece quello più calmo e piatto della grafica orientale. Dipinti vivaci e unici come l'emblematico "Courtesan (after Eisen)" del 1887, o il precedente "In the cafè: Agostina Segatori in le Tambourin", dove il soggetto è una donna italiana, ma lo sfondo ha già elementi e colorati più orientali, rappresentano questa perfetta mescolanza tra Van Gogh e il Giappone.
L'immaginazione dell'uomo può giungere a una documentazione di qualcosa di reale. Van Gogh è stato in Giappone con la sua mente e ne ha riportato suggestioni e impressioni che ha combinato con il suo approccio pittorico, creando colori e campiture nuove. Il giallo della "Courtesan" ne è un esempio straordinario. Il periodo giapponese di Vincent è apprezzato da amatori dell'arte come l'amico mercante Pere Tanguy, da cui il pittore espone alcuni lavori dedicati al Giappone, ed è talmente rappresentativo che apre il percorso permanente del suo museo ad Amsterdam, dove "Ramo di mandorlo in fiore" (1890) dipinto a Saint Remy - dunque una mescolanza perfetta tra il paesaggio romantico francese e quello equilibrato giapponese - è uno dei primi protagonisti che si incontra.
Il sogno giapponese di Van Gogh si accende nel 1885, quando s'imbatte nelle stampe importate, come risultato delle nuove politiche moderniste in seno alla restaurazione Meiji, dal Sol Levante all'Occidente. Non è il solo a rimanere affetto dal japonisme, che colpisce plurimi impressionisti (Monet, Manet, Degas...), ma per l'olandese l'arte nipponica, con la sua unità compositiva, il rigore limpido [...] Vai alla recensione »