Anno | 2018 |
Genere | Documentario |
Produzione | Italia |
Durata | 56 minuti |
Regia di | Yvonne Sciò |
Attori | Susanne Bartsch, Alba Clemente, Fran Drescher, Bethann Hardison, Patricia Field, Rula Jebreal, Rosita Missoni . |
MYmonetro | 3,06 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento venerdì 6 marzo 2020
Un racconto di storie, talvolta, difficili ma anche di riscatti, di sogni e di passioni; un viaggio privato nella vita delle protagoniste attraverso la loro voce.
CONSIGLIATO SÌ
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Ha l'andamento di un raffinato videoclip, musica elettronica e immagini patinate, le luci di New York by night e una calda voce fuori campo a tenere unite le storie. Sette storie di donne: ma che donne.
Seven Women di Yvonne Sciò - seconda prova da regista per l'artista romana dopo Roxanne Lowit Magic Moments - non rivoluziona la forma del documentario, tutto giocato su un'estetica cool da shooting di moda, ritmo serrato e luce bianca, interviste ora "sedute" ora realizzate nella quotidianità dei soggetti raccontati. Eppure, alla semplicità basica della forma, il film riesce a opporre una grande ricchezza di contenuti, attraverso la selezione di storie di resilienza, resistenza, rivoluzione e dolcezza, capaci di raccontare, senza eccessiva retorica, una parte complessa del mondo femminile.
Giuste le storie e giustissimo l'approccio, con la regista che scompare dietro alle immagini scavando "da invisibile" nei caratteri: il rapporto diretto di fiducia con le intervistate - giornaliste, attrici, stiliste, modelle, artiste - si traduce, in alcuni momenti illuminati, in piccoli, schietti, quadri di straordinaria normalità.
Ne è un esempio il rapporto che Sciò costruisce con Fran Drescher, ex parrucchiera diventata negli anni Novanta star del telefilm La Tata, la cui vita, proprio all'apice del successo, fu sconvolta da una terribile rivelazione: seguendola nel tour promozionale di Hotel Transylvania 2, mentre prepara la sua cena a base di papaia, uovo e bacon (incredibile come l'estetica flou del film riesca a rendere accattivante persino questa ricetta), Drescher parla di sé e della propria intimità con una serenità quasi disarmante, innegabile frutto della complicità instaurata con la regista.
Più severa Rula Jebreal, la giornalista palestinese incontrata e conosciuta da Sciò ben prima che Sanremo la catapultasse nelle case degli italiani, con la sua storia di rivincita legata all'istruzione: "L'alternativa sarebbe stata sposarmi - racconta nel documentario - O diventare uno strumento nelle mani di qualche fazione politica".
L'approccio di Sciò, amichevole e "dal basso", riesce a umanizzare storie di grandissimo successo, come quella di Rosita Missoni, che ripercorre la nascita dell'azienda fondata col marito Ottavio, o di Patricia Field, la rossa costumista di Meryl Streep, pur mantenendo il fuoco anche su storie di femminilità combattente: così viene raccontata la prima top model di colore, Bethann Hardison, attivista e amica di Andy Warhol - personaggio che ricorre anche nei ricordi di un'altra donna, Alba Clemente, musa e modella per la Factory.
Un film onesto, dal cuore sincero, che sfiora con gentile leggerezza i grandi temi del femminismo senza pretese di womensplaining - un feel good movie su sette grandi donne arrivate a ricoprire esattamente il posto che volevano nella storia.