Anno | 2016 |
Genere | Documentario |
Produzione | Italia |
Durata | 45 minuti |
Regia di | Andrea Bellati |
Tag | Da vedere 2016 |
MYmonetro | 3,25 su 2 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento venerdì 16 dicembre 2016
"Lo spettacolo-culturale del Teatro, secondo gli auspici iniziali è stato alla portata di tutti, attraverso diversi piani di lettura", Pino Farinotti.
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L'ottavo volume del percorso tra passato e presente ideato da Pino Farinotti ha al centro il Piccolo teatro e la sua storia.
Claudio Abbado affermava: "La cultura è un bene primario come l'acqua; i teatri, le
biblioteche, i cinema sono come tanti acquedotti." Pino Farinotti, che li frequenta
assiduamente, ha deciso in questa occasione di porre al centro della sua ricerca un
poderoso 'acquedotto' che ha fatto conoscere Milano anche in Paesi in cui non la si era
mai sentita nominare e lo ha fatto dandole lustro. Basta pensare a uno spettacolo su tutti, "L'Arlecchino servitore di due padroni", per averne la prova. Il testo è di Goldoni, come è noto. Ma è altrettanto noto che è diventato nel corso del tempo di Strehler e Soleri nonché del Piccolo. Perché tante produzioni del Teatro milanese per antonomasia sono entrate nella storia della cultura teatrale tout court.
Farinotti questa volta lascia ampio spazio alle voci più diverse (è lui stesso a sottolinearlo) e lo fa come un bravo regista teatrale che, quando è consapevole di avere dinanzi a sé un'opera e un cast straordinari, sa come sia necessario e saggio fare un passo indietro.
Ecco allora che Giorgio Strehler e Luca Ronconi occupano il proscenio con significativi
interventi per ricordarci che il passato dei Grandi non è mai alle spalle ma continua ad
alimentare il presente. Insieme a loro ci sono le testimonianze di chi li ha potuti conoscere calcando le assi del palcoscenico e di chi ha goduto i frutti di quelle collaborazioni sentendosi venire la pelle d'oca, come ricorda Maurizio Porro. Farinotti non dimentica poi che l'Arte ha bisogno di mecenati e di organizzatori e quindi rievoca la figura del sindaco Greppi, che volle fortissimamente il Piccolo Teatro (anche contro chi già allora pensava che la cultura non sfamasse e quindi avesse un valore secondario) facendolo ricordare da chi oggi siede al suo posto, Giuliano Pisapia. Aleggia poi su tutti la figura di quel grande manager culturale (anche se allora questo termine non era d'uso comune) che è stato Paolo Grassi, capace di grandi liti con l'amico Giorgio Strehler da cui scaturivano splendidi spettacoli. Farinotti ricorda due volte la canzone di Strehler/Carpi "Ma mi" che si conclude con "Mi parli no! (Io non parlo)". È il modo giusto per riaffermare valori di coerenza e coraggio onorando un'istituzione in cui invece la parola si è fatta vita e proposta di riflessione.
Introduce il racconto sul Piccolo Teatro di Milano e d'Europa Andrea Camilleri, che, 22enne si trovava in città proprio nel momento della sua nascita. Farinotti contestualizza il primissimo dopoguerra, quando Antonio Greppi, uomo illuminato, diventa sindaco e usa le poche risorse disponibili non solo per le necessità primarie ma anche per la cultura, rimettendo in piedi la Scala e dando vita, nel 1947, al Piccolo Teatro. I fondatori sono Paolo Grassi, Giorgio Strehler e Nina Vinchi. Dopo gli interventi di Giuliano Pisapia, e di Ferruccio De Bortoli, il racconto prosegue attraverso le parole di chi il teatro lo "fa": Sergio Escobar direttore generale, Stefano Massini consulente artistico, Maurizio Porro, critico del Corriere, Giulia Lazzarini, attrice, Ornella Vanoni, che "nacque" al Piccolo e racconta la sua vicenda personale con Strehler.
Sono presenti attraverso filmati concessi dal Piccolo, tutti i suoi "eroi", a cominciare da Luca Ronconi. E poi, letteralmente tutti, gli autori, attori, registi, artisti. Marco Eugenio Di Giandomenico inquadra l'aspetto economico.
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