Titolo originale | Ang babaeng humayo |
Anno | 2016 |
Genere | Drammatico |
Produzione | Filippine |
Durata | 226 minuti |
Regia di | Lav Diaz |
Attori | Charo Santos-Concio, John Lloyd Cruz, Shamaine Buencamino, Nonie Buencamino, Michael De Mesa . |
Tag | Da vedere 2016 |
Distribuzione | Microcinema |
MYmonetro | Valutazione: 3,50 Stelle, sulla base di 1 recensione. |
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Una donna vive imprigionata in un'esistenza che non le piace più. Mentre il mondo esterno sembra non dare speranza, Horacia dovrà cavarsela da sola. Il film è stato premiato al Festival di Venezia,
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1997. Trent'anni dopo la sua incarcerazione per un delitto che non ha commesso, Horacia viene rimessa in libertà. Inizia così il percorso della donna alla ricerca del suo passato: il marito, la figlia ormai adulta, il figlio scomparso e l'uomo che l'ha fatta arrestare ingiustamente. Non sarà facile per Horacia rimettere insieme la propria esistenza, frammentata come quella del suo paese, le Filippine, in un momento storico dominato dalla paura, dalla violenza e dallo smarrimento identitario.
Lav Diaz si è ispirato al racconto di Tolstoj "Dio vede la verità ma non la rivela subito" per raccontare il modo in cui la casualità dell'esistenza ci conduce in direzioni impreviste senza che alcuno possa arrogarsi il diritto di stabilire ciò che per noi è davvero positivo. Ancora una volta il regista-sceneggiatore-montatore-direttore della fotografia filippino prende possesso del tempo e dello spazio e lo dilata a seconda delle esigenze della storia che racconta, e che si dipana davanti ai nostri occhi con la calma dell'attesa: quella di Horacia, ma anche la nostra, nell'aspettare la materializzazione degli innumerevoli piccoli miracoli.
L'illuminazione delle scene è, ancora una volta, pura filosofia della luce, la composizione delle inquadrature mette al centro (o ai margini, se serve alla narrazione) i corpi (o i loro frammenti) che si incarnano lungo il cammino di Horacia e che diventano figure archetipali, all'interno di scene che non diventano mai scenografie. In un bianco e nero fortemente contrastato Diaz segue le stazioni della sua misericordiosa (e mariana) protagonista attraverso le sue consuete riprese interminabili per restituire allo spettatore il privilegio di un tempo sconfinato e l'ebbrezza di una libertà assoluta (anche) dalle convenzioni cinematografiche.
Quella di Horacia, e di tutti coloro che la circondano, è una storia di redenzione e trascendenza che ha al suo centro una figura femminile generosa e paziente, conscia del fatto che non esistono risposte assolute alla mancanza di spiegazioni che la vita ci offre. La prigionia reale alla quale è miracolosamente sfuggita non è peggiore di quella delle figure che incontra e la sua epopea minima (ma gigantesca per portato morale) si snoda all'interno di una struttura a metà fra il melodramma e la commedia umana.
Il cinema di Lav Diaz è materia organica vivente e pulsante, visivamente incantevole, tentacolare nel suo snodarsi attraverso lo spaziotempo espanso che il regista le concede, abbandonandosi al flusso interiore della narrazione e confidando nel potere magico dell'attesa. Un cinema che si dilata sullo schermo alla velocità del nostro sguardo più profondo (non un attimo prima) e non subisce imposizioni ma risponde solo alle sue leggi, etiche ed estetiche.
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