kronos
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venerdì 26 febbraio 2016
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interminabile rosario di chiacchiere
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Al suo ottavo film Tarantino rafforza l'innata tendenza alla prolissità linguistica e narrativa, consegnandoci uno dei peggiori esiti della carriera, in buona compagnia di "A prova di morte" col quale condivide la quasi unità di tempo e luogo.
Dopo una prima interessante, seppur molto diluita, mezz'ora ambientata sulle piste innevate del Wyoming (il cui riferimento più evidente è "Il grande silenzio" di Corbucci) la pellicola si siede in un interminabile gioco al massacro nel chiuso d'un Trading Post sperduto nel nulla, nel tentativo di porsi a metà strada tra il Carpenter di "La cosa" e il Cult tarantiniano d'esordio "Le iene".
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Al suo ottavo film Tarantino rafforza l'innata tendenza alla prolissità linguistica e narrativa, consegnandoci uno dei peggiori esiti della carriera, in buona compagnia di "A prova di morte" col quale condivide la quasi unità di tempo e luogo.
Dopo una prima interessante, seppur molto diluita, mezz'ora ambientata sulle piste innevate del Wyoming (il cui riferimento più evidente è "Il grande silenzio" di Corbucci) la pellicola si siede in un interminabile gioco al massacro nel chiuso d'un Trading Post sperduto nel nulla, nel tentativo di porsi a metà strada tra il Carpenter di "La cosa" e il Cult tarantiniano d'esordio "Le iene".
Ma la mancanza di tensione è evidente, complici un interminabile rosario di chiacchiere gratuite e una fastidiosa aria da finto west ricostruito in studio (le scenografie degli interni sono più da sit-com televisiva che da cinema).
Gli attori fanno del loro meglio, ma a parte il solito mefistofelico Samuel Jackson incidono poco.
A scuotere dal torpore generale non bastano le impennate splatter della parte conclusiva, che anzi corrono il rischio d'apparire involontariamente ridicole.
Una vera delusione per chi ha amato il Tarantino prima maniera.
Voto Reale: Una stellina e mezzo (di stima)
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parieaa
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venerdì 26 febbraio 2016
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benvenuti in america
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Con questo suo ottavo film Tarantino esprime tutto sè stesso e la sua idea di cinema, prendendo un po' da Le Iene, un po' da Pulp Fiction, un po' da Agatha Christie, un po' da John Carpenter, un po' da Sergio Leone, un po' da Sergio Corbucci e chi più ne ha più ne metta. Il risultato è comunque un film estremamente personale e, per la prima volta, apertamente politico: il cineasta rappresenta con estrema lucidità e cinicità la sua idea di America, ossia violenta, egoista ed estrememente razzista, alla faccia dei benpensanti e ipocriti illusi, che pensano altrimenti. Non sorprende che negli States non sia piaciuto poi molto, visto che sbatte loro in faccia qualcosa che vogliono chiaramente ignorare, o peggio, negare.
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Con questo suo ottavo film Tarantino esprime tutto sè stesso e la sua idea di cinema, prendendo un po' da Le Iene, un po' da Pulp Fiction, un po' da Agatha Christie, un po' da John Carpenter, un po' da Sergio Leone, un po' da Sergio Corbucci e chi più ne ha più ne metta. Il risultato è comunque un film estremamente personale e, per la prima volta, apertamente politico: il cineasta rappresenta con estrema lucidità e cinicità la sua idea di America, ossia violenta, egoista ed estrememente razzista, alla faccia dei benpensanti e ipocriti illusi, che pensano altrimenti. Non sorprende che negli States non sia piaciuto poi molto, visto che sbatte loro in faccia qualcosa che vogliono chiaramente ignorare, o peggio, negare...in nessuno stato occidentale un buffone pagliaccio xenofobo come Trump verrebbe preso seriamente in considerazione per diventare presidente (al confronto il Silvio nazionale è un premio Nobel per la pace), per non parlare della disgustosa campagna sabotatoria del NYPD verso questa pellicola, roba da terzo mondo. Passato lo sfogo, il film si apre benissimo con un lungo piano sequenza accompagnato dalla superba colonna sonora di Morricone, che fa già presagire le atmosfere horrop\thriller che ci aspettano. Poi si prosegue con una serie di dialoghi ,forse un po' prolissi (che capisco possano stancare un po'), tra i primi quattro protagonisti, durante i quali vengono chiariti fatti e relazioni che diverranno poi essenziali per il resto del film. Finalmente si arriva al vero cuore pulsante del film: l'emporio di Minnie (probabilmente un nome "disneyano" non a caso), in cui si svolgerà tutto il resto del film, e da qui in poi sarà paranoia e suspance costante, fino allo scoppiattante e violentissimo finale che ci ripaga della lunga attesa (per la cronaca è persino più violento di quanto prevedessi...e più "divertente"...sono sicuro che Tarantino era euforico mentre lo girava). Il cast è perfetto, come al solito con questo regista (unica pecca forse Tatum...non tanto Tarantiniano secondo me), con Jackson che si meritava almeno la nomination all'oscar e la Leigh meritatamente nominata. Il 70mm fa una sua certa differenza rispetto al digitale, su questo non c'è dubbio. La sceneggiatura è il vero cardine su cui si regge tutto: molto verbosa, ma mai gratuita, in cui tutto ha un suo perchè (per l'inciso anche questa si meritava la candidatura). Fotografia cupa e volutamente spenta. Io l'ho adorato dall'inizio alla fine, nonostante sia molto meno "commerciale" dei due precedenti e, come già detto molto più personale. Forse è stato proprio questo aspetto che lo ha penalizzato un po' troppo in termini di godibilità al grande pubblico e quindi di incassi (comunque è ampiamente in attivo visti i costi relativamnete bassi). Non è assolutamente un film per tutti i gusti.Attendo con ansia il nono, e spero non penultino, (capo)lavoro.
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no_data
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giovedì 25 febbraio 2016
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una noia mortale
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Adoro Tarantino, mi sono piaciuti alla follia tutti i suoi film ma questo... Bellissime scenografie, un inizio da grandissimo maestro, la musica di Morricone un sogno e credo pure che Quentin si sia divertito - alla faccia nostra - a filmare questa ottava fatica. Mi sono addormentata a più riprese, ho addirittura ipotizzato di uscire alla fine del primo tempo vista la noia mortale che mi era calata addosso. Nel secondo tempo il ritmo riprende ma qui, apriti cielo, sangue senza scopo schifosissimo ovunque. Certo mi rendo conto che questa non è una recensione di quelle da cultori cinefili ma che si debba parlar bene di questo film solo perché l'ha filmato LUI e ci si faccia prendere per i fondelli.
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Adoro Tarantino, mi sono piaciuti alla follia tutti i suoi film ma questo... Bellissime scenografie, un inizio da grandissimo maestro, la musica di Morricone un sogno e credo pure che Quentin si sia divertito - alla faccia nostra - a filmare questa ottava fatica. Mi sono addormentata a più riprese, ho addirittura ipotizzato di uscire alla fine del primo tempo vista la noia mortale che mi era calata addosso. Nel secondo tempo il ritmo riprende ma qui, apriti cielo, sangue senza scopo schifosissimo ovunque. Certo mi rendo conto che questa non è una recensione di quelle da cultori cinefili ma che si debba parlar bene di questo film solo perché l'ha filmato LUI e ci si faccia prendere per i fondelli... bah, sono davvero molto perplessa, le due stellette le metto solo perché un suo film non può avere meno. Che delusione.
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andrea alesci
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giovedì 25 febbraio 2016
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sangue e menzogne senza esclusione di colpi
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Era difficile ripetere Django Unchained. Era difficile (ri)scrivere e dirigere una storia dopo le traversie passate da The Hateful Eight. Era difficile realizzare un altro western, usare la neve come pretesto per rinchiudere gli spettatori dentro una stanza insieme a otto detestabili personaggi. Era difficile ma Quentin Tarantino ce l’ha fatta. Di nuovo.
Così ci troviamo nel Wyoming post-guerra civile, immersi nel biancore mentre un Cristo di legno geme nel gelo dell’Ovest, stritolato dall’inquietante crescendo musicale di Ennio Morricone ma presto lontano ricordo nel campo lungo che si apre dentro la maestosa orizzontalità dell’Ultra Panavision 70mm.
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Era difficile ripetere Django Unchained. Era difficile (ri)scrivere e dirigere una storia dopo le traversie passate da The Hateful Eight. Era difficile realizzare un altro western, usare la neve come pretesto per rinchiudere gli spettatori dentro una stanza insieme a otto detestabili personaggi. Era difficile ma Quentin Tarantino ce l’ha fatta. Di nuovo.
Così ci troviamo nel Wyoming post-guerra civile, immersi nel biancore mentre un Cristo di legno geme nel gelo dell’Ovest, stritolato dall’inquietante crescendo musicale di Ennio Morricone ma presto lontano ricordo nel campo lungo che si apre dentro la maestosa orizzontalità dell’Ultra Panavision 70mm.
Il Maggiore Marquis Warren (Samuel L. Jackson) sta immobile lungo la strada percorsa da una diligenza; e così ci imbattiamo nel suo cocchiere-aviatore O.B. Jackson (James Parks) e nei passeggeri che porta: il cacciatore di taglie John Ruth “Il boia” (Kurt Russell) e la sua irriverente prigioniera Daisy Domergue (Jennifer Jason Leigh). Un trio che diventa quartetto e poi pentacorteo allorché vi si unisce il (presunto) neosceriffo di Red Rock, Chris Mannix (Walton Goggins).
Cinque anime decise a lasciarsi alle spalle il candido Purgatorio di uno spietato blizzard per mettersi in salvo nell’emporio di Minnie, ospitale ricovero che ancora non sanno diverrà il più allucinante degli Inferni, rinchiudendoli tra le pareti di legno in compagnia di altri quattro viaggiatori anch’essi (all’apparenza) bloccati su quel palcoscenico di legno.
Sì, perché ora ha inizio la grandiosa messinscena Tarantiniana, scandita come sempre dai canonici capitoli del regista di Knoxville. E su quelle assi in mezzo alla tormenta si dipana un intrigante gioco delle parti: tra i garbati melliflui discorsi di Oswaldo Mobrey (Tim Roth), gli enigmatici silenzi di Joe Gage (Michael Madsen), gli smozzichi di parole del generale Sandy Smithers (Bruce Dern), le strozzate battute del “messicano” Bob (Demián Bilchir).
Le menzogne intridono l’aria dell’emporio di Minnie, le domande cominciano ad affollarla (dove sono Minnie e suo marito? Perché lasciare il locale in gestione a un messicano? E il cocchiere dei quattro che fine ha fatto?). I dilemmi prendono corpo fra una tazza di schifoso caffè e un sorso di cognac, si distendono attorno alla canzone arpeggiata da Daisy Domergue, prima che John Ruth distrugga la chitarra e l’allucinata atmosfera di tesa calma.
Prima che la sua profezia (“Probabilmente nessuno qui dentro è chi dice di essere”) si avveri. Prima che egli stesso (insieme al nono e incolpevole O.B.) muoia tra conati di vomito e sangue per un caffè avvelenato. Prima che il generale Sandy Smithers venga “legittimamente” ucciso dal Maggiore Marquis Warren, mastro d’armi, fine parolaio e onnisciente lettore di ciò che non è e ciò che non va in quella maledetta storia che sta per volgersi in carneficina.
Prima che ogni inganno si riveli. Prima che Bob, Oswaldo Mobrey, Joe Gage e l’imboscato Jody (Channing Tatum) finiscano con cervella e cuore spappolati. Prima che Daisy Domergue pencoli insanguinata e tumefatta dal soffitto, mentre i sopravvissuti (?) Chris Mannix e Marquis Warren la guardano esalare l’ultimo respiro, sventolando la (finta) lettera del presidente Abraham Lincoln come epitome di un male che mette tutti contro tutti, che parla di un’America sfilacciata come corpi che eruttano il proprio maligno in chiazze rosso sangue sul pavimento dell’emporio di Minnie. E di una truce barbarie dalla quale non si salva nessuno.
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des esseintes
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giovedì 25 febbraio 2016
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bello, ma si ferma un passo prima della verità
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La cosa che sorprende sono le critiche degli interpreti autorizzati. Un sacco di parole messe molto bene insieme per dire non si sa bene che. In sostanza nulla, come sempre quando non sanno cosa dire ossia nella maggior parte dei casi.
Di che diavolo parla questo film? Secondo loro non si sa.
E non si sa davvero, non è chiarissimo.
Di certo c'è che è fatto molto bene, che finalmente è cinema "parlato" in cui il dialogo ha la parte più importante e dove le scene grandguignolesche sono solo di complemento, non servono solamente a vellicare gli istinti animaleschi dei bovini che pagano il biglietto per provare "la sensazione forte", sono anzi la drammatica rivelazione del non significato di fondo delle azioni umane quali che siano le loro motivazioni.
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La cosa che sorprende sono le critiche degli interpreti autorizzati. Un sacco di parole messe molto bene insieme per dire non si sa bene che. In sostanza nulla, come sempre quando non sanno cosa dire ossia nella maggior parte dei casi.
Di che diavolo parla questo film? Secondo loro non si sa.
E non si sa davvero, non è chiarissimo.
Di certo c'è che è fatto molto bene, che finalmente è cinema "parlato" in cui il dialogo ha la parte più importante e dove le scene grandguignolesche sono solo di complemento, non servono solamente a vellicare gli istinti animaleschi dei bovini che pagano il biglietto per provare "la sensazione forte", sono anzi la drammatica rivelazione del non significato di fondo delle azioni umane quali che siano le loro motivazioni.
Perché nel gelo desolato del Wyoming non hanno più senso gli ideali, i sentimenti, la lealtà, la famiglia e l'amicizia, nemmeno il riscatto razziale.
Là dove il Cristo crocifisso è abbandonato e negletto in mezzo all'indifferenza del paesaggio da dantesco inferno ghiacciato nulla significa più nulla e la motivazione vera di fondo, l'unica giustificabile, la lettera di Abraham Lincoln, è solo un misero falso da accartocciare e buttare senza rimpianti di fronte alla crudezza di una realtà dei rapporti umani ormai senza radici, che si aggrappa a inesistenti tradizioni e in cui anche i rapporti familiari si riducono a semplici scuse per potere liberamente esercitare quella menzogna e quella violenza di chi non sa più quali siano i suoi scopi, di chi ha definitivamente perso "il senso" del mondo e della propria esistenza.
Un messaggio nichilista? Non come può essere nel caso dei fratelli Coen cioè con un compiacimento estetizzante della intuizione del non senso dell'esistenza e della imminenza del redde rationem ("Non è un paese per vecchi" e "A Serious Man") ma come rivelazione hard boiled, sbattuta brutalmente in faccia allo spettatore.
E poi?
Manca qualcosa, manca una prospettiva e questo è il limite del film, il solito limite dei film contemporanei.
E' fatto bene comunque e vale la pena di vederlo, la colonna sonora di Morricone è molto discreta in mancanza di un'idea melodica importante e rispetto al livello attuale è una piacevole sorpresa.
La chiave secondo me è la lettera di Lincoln e il suo destino finale ossia per le azioni umane non è restato nulla di valido se non la fittizia giustificazione fornita dal potere ma solo per i propri fini che ovviamente non sono quelli autentici dei subalterni che li hanno persi irrimediabilmente; il popolo non riesce a immaginare nulla di più se non il permesso dell'autorità per sentirsi in grado di concepire un significato per la propria esistenza che si ridurrà all'esercizio di una violenza assurda, apparentemente liberatoria ma che intrinsecamente è il suggello della propria condizione alienata di schiavi senza redenzione.
Se fosse veramente così sarebbe interessante perché in sostanza si tratterebbe della rivelazione del misterioso contenuto della valigetta che non viene mai mostrato in "Pulp Fiction".
Bravo Tarantino ma si è fermato a un passo dal dire ciò che davvero andrebbe detto e forse è questo il motivo del profluvio di sangue e vomito che in sostanza serve a nascondere il timore di compiere l'ultimo passo verso la verità.
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tatiana micaela truffa
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martedì 23 febbraio 2016
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i bastardi vanno impiccati
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Sottolineare la superba colonna sonora firmata dal maestro Ennio Morricone, sarebbe superfluo.
La firma di Tarantino c'è. Dall'inizio alla fine. Nella maestria delle in quadrature, nello splatter, ma, soprattutto, nella continua contaminazione fra il surreale e la cruda realtà, il filo che lega il vero protagonista della storia: ovvero, l'introspettiva psicologica degli otto personaggi protagonisti.
Fuori la neve, un rigido inverno, la bufera.
E dentro all'Emporio dell'ospitale Minnie... Loro. Nessuno o quasi è davvero chi dice di essere. Ma poi... La realtà, qual è? Quella che viviamo, o forse quella che vediamo, oppure quella che percepiamo.
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Sottolineare la superba colonna sonora firmata dal maestro Ennio Morricone, sarebbe superfluo.
La firma di Tarantino c'è. Dall'inizio alla fine. Nella maestria delle in quadrature, nello splatter, ma, soprattutto, nella continua contaminazione fra il surreale e la cruda realtà, il filo che lega il vero protagonista della storia: ovvero, l'introspettiva psicologica degli otto personaggi protagonisti.
Fuori la neve, un rigido inverno, la bufera.
E dentro all'Emporio dell'ospitale Minnie... Loro. Nessuno o quasi è davvero chi dice di essere. Ma poi... La realtà, qual è? Quella che viviamo, o forse quella che vediamo, oppure quella che percepiamo... O le intenzioni?
Ancora una volta, i dialoghi sono eccezionali, e danno il vero senso alla vicenda, di per sé, surreale; eppure, torno a dirlo, crudamente reale.
Bravissimi anche tutti gli attori.
Noi, amanti di Quentin, non possiamo perdere questo suo ottavo film.
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graisano
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martedì 23 febbraio 2016
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ancora un film di tarantino riuscito.
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Scrive G.King in LA NUOVA HOLLYWOOD che il fenomeno del "regista come celebrita', che deve parte della sua fama al solo fatto di essere famoso, e' una categoria che comprende esponenti della generazione dei "ragazzacci del cinema" da F.F.Coppola a Quentin Tarantino.". In questo film tutte le derivazioni del cinema di Tarantino sono evidenti, da Sergio Leone a Peckinpah ed addirittura, nella sequenza iniziale della diligenza, al Ford di OMBRE ROSSE. Eppure il film risulta prodotto originale, esattamente come il precedente DJANGO UNCHAINED, strutturato in alcuni episodi e soprattutto nel lungo capitolo centrale all'"emporio", nella classica unita' di tempo-luogo-azione.
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Scrive G.King in LA NUOVA HOLLYWOOD che il fenomeno del "regista come celebrita', che deve parte della sua fama al solo fatto di essere famoso, e' una categoria che comprende esponenti della generazione dei "ragazzacci del cinema" da F.F.Coppola a Quentin Tarantino.". In questo film tutte le derivazioni del cinema di Tarantino sono evidenti, da Sergio Leone a Peckinpah ed addirittura, nella sequenza iniziale della diligenza, al Ford di OMBRE ROSSE. Eppure il film risulta prodotto originale, esattamente come il precedente DJANGO UNCHAINED, strutturato in alcuni episodi e soprattutto nel lungo capitolo centrale all'"emporio", nella classica unita' di tempo-luogo-azione. Ottima l'interpretazione di Russell e del solito istrionesco S.Jackson.
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zeruel97
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sabato 20 febbraio 2016
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l'altra faccia del western firmato tarantino
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Dopo il grande successo di django in cui tarantino rimaneggia radicalmente un classico degli spaghetti western il regista di kill bill ritorna con un western originale in cui ritroviamo le tipiche sceneggiature sboccate ed irriverenti. Il film inizia con una parte molto lenta e prolissa che analizza le caratteristiche dei protagonisti e soprattutto contestualizza l'azione per poi concludersi con un crescendo di violenza tipico delle pellicole di tarantino e ciò che lo distingue dagli altri registi del 21esimo secolo.Un film per gli amanti del pulp-western.
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elpanez
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venerdì 19 febbraio 2016
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tarantino è tornato ai vecchi tempi!
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NO SPOILER: Tarantino ci porta in un mondo violento, estremo, fuori dagli schemi, folle e delirante. Una pellicola di tre ore ambientata in un unica sala che da vita a colpi di scena mozzafiato, ad un improbabile susseguirsi degli avvenimenti e ad una caratterizzazione dei personaggi pressoché tridimensionale e profonda come solo LUI sa fare. Siamo tornati ai vecchi tempi de Le Iene e di Pulp Fiction, con un tocco di novità perfette e incalzanti.
La regia è magistrale e curata fino al dettaglio; molto lenta e troppo pesante, ed è questo il cinema Tarantiniano, è questo ciò che volevo prima di vedere il film.
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NO SPOILER: Tarantino ci porta in un mondo violento, estremo, fuori dagli schemi, folle e delirante. Una pellicola di tre ore ambientata in un unica sala che da vita a colpi di scena mozzafiato, ad un improbabile susseguirsi degli avvenimenti e ad una caratterizzazione dei personaggi pressoché tridimensionale e profonda come solo LUI sa fare. Siamo tornati ai vecchi tempi de Le Iene e di Pulp Fiction, con un tocco di novità perfette e incalzanti.
La regia è magistrale e curata fino al dettaglio; molto lenta e troppo pesante, ed è questo il cinema Tarantiniano, è questo ciò che volevo prima di vedere il film. Piani sequenza lunghissimi che trasmettono emozioni fortissime di ansia e tensione. Quella regia che ti porta in un baratro ove non si sa che cosa succede dopo, che ti lascia sospeso, poiché il film gira e rigira la trama così tante volte da non sapere assolutamente che cosa accadrà successivamente.
La sceneggiatura regge per tutta la durata, movimenti e dettagli fatti con cura e sempre significativi (ovvero che tutto ha un senso), i dialoghi sono profondissimi, lunghi e lenti, ma assai efficaci, con una cinepresa che ti immedesima perfettamente nel film. Inoltre gli aforismi toccano e trattano temi molto delicati, e lo fanno con quella maestria unica che solo Tarantino riesce a portarci in sala; semplicemente fantastici, tali da entrarti in testa.
La colonna sonora di Moricone dà potenza al film e nei momenti che sembra spegnersi, essa lo tira sù con musiche incalzanti e perfette nel contesto. Inoltre bellissimo il rapporto tra di essa e la trama: i personaggi ci interagiscono, suonando strumenti, che sembrerà strano ma è importantissimo come tale potenza sonora riesca ad evocare, insieme alla sceneggiatura, quei dialoghi profondi.
Il rapporto fra i personaggi è profondo, fatto di milioni di dimensioni, essi subiscono un’ evoluzione con l' avanzare della trama e il regista riesce a farci affezionare ad essi in modo così forte in così poco tempo, riusciamo a vederne le varie sfaccettature e il modo in cui si comportano in determinate azioni, mai prevedibile e mai scontato.
Gli attori naturalmente, come ogni film di Tarantino, riescono a dare il meglio di sé, così immersivi e carismatici, fantastici: Goggins e Roth insuperabili.
La fotografia è stupenda ed è uno spettacolo per gli occhi nelle poche scene all’aperto, e trasmette intensità e carattere negli spazi chiusi.
L’unico errore che ho riscontrato sono forse le eccessive battute ripetitive in alcune (pochissime) parti del film e la prima parte ci mette un po' ad ingranare, ma nulla di grave.
Infine Tarantino è tornato alla grande, portandoci un capolavoro e facendo una miscela riuscitissima delle sue vecchie e nuove opere, con un film suddiviso in 6 capitoli, ordinatissimo e mai sottotono. Violento, esplicito, azzardato e spudorato, una perla del cinema che non vediamo tutti giorni, ed ora che è disponibile non bisogna perdere l’occasione.
Per ulteriori recensioni, il mio canale youtube: elpanez!
Buona serata!
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