fogazzaro
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giovedì 11 febbraio 2016
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tarantino all'ennesima potenza
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Ecco uno dei film che rappresenta al meglio la tanto discussa affermazione del regista Tarantino, quando sosteneva che. "Il mio cinema o si ama, o si odia". Infatti ritengo che lo spettatore medio non apprezzerà a pieno questa opera cinematografica senza essere già un fan affermato di Quentin o senza essere cosciente di come "fa" cinema Tarantino. Che sia un regista (ed uno sceneggiatore) eclettico è risaputo. Con "The Hateful Eight" compie un altro passo avanti. Il film è chiaramente western, sebbene mostri in certe sequenze una tendenza al crime, innovazione che senza dubbio non guasta al fine del film. Per chi ha visto i precedenti film, l'ottava opera di Tarantino sembra una community degli attori che l'hanno accompagnato negli anni: l'immenso Samuel L.
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Ecco uno dei film che rappresenta al meglio la tanto discussa affermazione del regista Tarantino, quando sosteneva che. "Il mio cinema o si ama, o si odia". Infatti ritengo che lo spettatore medio non apprezzerà a pieno questa opera cinematografica senza essere già un fan affermato di Quentin o senza essere cosciente di come "fa" cinema Tarantino. Che sia un regista (ed uno sceneggiatore) eclettico è risaputo. Con "The Hateful Eight" compie un altro passo avanti. Il film è chiaramente western, sebbene mostri in certe sequenze una tendenza al crime, innovazione che senza dubbio non guasta al fine del film. Per chi ha visto i precedenti film, l'ottava opera di Tarantino sembra una community degli attori che l'hanno accompagnato negli anni: l'immenso Samuel L. Jackson, il ritrovato Michael Madsen, il sapiente Kurt Russel, e l'abile Tim Roth (più qualche personaggio minore già visto comunque nei suoi film passati). Gli altri sono nuovi membri della famiglia, come Jennifer Jason Leigh o Channing Tatum. Cosa assume grande importanza in questo film? L'intervallo. Tranquilli non è un insulto sarcastico atto a screditare il film, bensì è un omaggio a quei minuti di pausa che in questo film rappresentano una pausa narrativa incredibilmente tattica. Voluto dallo stesso Tarantino, l'intervallo è posto a dividere le due diverse "ora e mezzo" che compongono il film. La prima, composta solo quasi esclusivamente di dialoghi e presentazioni degli "odiati otto" (che potrebbero essere considerati nove invero inizialmente); la seconda, il puro e perverso macello "Tarantiniano". Sebbene io sia un inguaribile fan del regista devo ammettere che avevo l'impressione che il film scricchiolasse prima dell'intervallo, poichè forse ha osato troppo il regista ad allungare la prima parte del film. Ma gli si perdona suvvia! Era tanto che Tarantino agognava un'opera western di 3 ore alla Sergio Leone! (Django non bastava). Ma quando inizia la senconda parte è libidine pura, e rivaluta tutto ciò che hai visto in precedenza. Tutto ciò accompagnato da un'altrettanto sapiente musica di Ennio Morricone, mai banale.
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francesto70
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giovedì 11 febbraio 2016
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3 ore di noia !!!!
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Un film noioso e ripiegato su stesso.
Ore di dialoghi banali mascherati da temi sociali.
Non ci siamo.
Indispettisce.
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samuelemei
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giovedì 11 febbraio 2016
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8 ombre (rosse) nell'inferno bianco
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Vento gelido, neve, desolazione: un Cristo in croce deformato dal dolore. In lontananza l’ultima diligenza per Red Rock, che avanza sul crescendo cupo e disperato della magnifica ouverture di Ennio Morricone. Schermo nero, titoli gialli sulla neve: così ha inizio l’ottavo film di Quentin Tarantino. Un film inquietante, come solo alcuni capolavori sanno essere. Una pellicola che ha fatto e farà discutere: un’opera che non sarà forse la più bella, ma senza dubbio la più coraggiosa, scomoda e politica dell’inimitabile sceneggiatore-regista americano.
Wyoming, inverno. Qualche anno dopo la fine della guerra civile. Inseguiti dalla bufera, otto personaggi si ritrovano, apparentemente per caso, sotto il tetto dell’emporio di Minnie.
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Vento gelido, neve, desolazione: un Cristo in croce deformato dal dolore. In lontananza l’ultima diligenza per Red Rock, che avanza sul crescendo cupo e disperato della magnifica ouverture di Ennio Morricone. Schermo nero, titoli gialli sulla neve: così ha inizio l’ottavo film di Quentin Tarantino. Un film inquietante, come solo alcuni capolavori sanno essere. Una pellicola che ha fatto e farà discutere: un’opera che non sarà forse la più bella, ma senza dubbio la più coraggiosa, scomoda e politica dell’inimitabile sceneggiatore-regista americano.
Wyoming, inverno. Qualche anno dopo la fine della guerra civile. Inseguiti dalla bufera, otto personaggi si ritrovano, apparentemente per caso, sotto il tetto dell’emporio di Minnie. Si tratta di un vero ensemble di presunti stereotipi western, sulla falsa riga del microcosmo di frontiera disegnato magistralmente in “Ombre rosse” di John Ford. Dalla diligenza scendono quattro pellegrini poco rassicuranti: John Ruth il Boia (Kurt Russell) inseparabile dalla prigioniera Daisy Domergue (una straordinaria J. Jason Leigh) condannata alla forca; un bizzarro campagnolo sudista che si presenta come il futuro sceriffo di Red Rock (Walton Goggins); e infine il maggiore nordista Marquis Warren, cacciatore di taglia senza scrupoli e uomo nero (S. L. Jackson). All’interno dell’emporio li attendono altrettanti loschi figuri, braccati dalle intemperie.
Nella trappola per topi della baita, in un’atmosfera sempre più claustrofobica (che ricorda lo scantinato di “Bastardi senza gloria”), tensioni, odi e rancori mai sopiti di un’America violenta e crudele riemergeranno all’improvviso, rivelando un’occulta quanto inesorabile connessione mortale tra gli otto maledetti.
Il film non lascia spazio a buoni sentimenti e a principi morali. Non ci sono eroi né lieto fine. I corpi smembrati e gli schizzi di sangue colpiscono lo spettatore, come proiettili roventi. Ma ciò che colpisce davvero è la visione pessimistica, cruda e brutale dell’America, ritratta come un inferno di sangue e neve. Il controcanto della lettera di Lincoln dopo la carneficina è uno degli atti di denuncia politica più potenti e sconcertanti nella storia del cinema western.
Tutto questo odio racchiuso in un’architettura narrativa formidabile, assorbito nel tessuto di una sceneggiatura originale da Oscar scandita in sei capitoli e farcita da dialoghi cesellati con verve geniale, taglienti più di un rasoio, letali più di una Colt. A livello strutturale il film, pur nella sua lunghezza, è articolato con una misura esemplare, costruita dalla precisione maniacale di un burattinaio cinefilo nel pieno della sua maturità artistica: lo confermano l’uso chirurgico della colonna sonora, l’espediente giallistico del narratore onnisciente e il ricorso al flashback nel quinto capitolo, meccanismo perfetto per sospendere e investigare nello stesso tempo.
Si tratta di un film difficile, che colpisce come un pugno nello stomaco. D’altra parte, al di sotto della superficie cruenta della pellicola, Tarantino sviluppa con forza un tema ormai classico nel suo cinema, ma sempre più connotato in chiave letteraria e teatrale: un tema che potremmo definire la “finzione della maschera”, la rappresentazione del personaggio che recita un altro personaggio in un metateatro che diventa a tutti gli effetti il motore di quel funambolico crescendo di tensione claustrofobica che tanto caratterizza l’universo poetico tarantiniano. Non bastano più i rimandi postmoderni al cinema del passato. Tarantino sembra puntare ormai alla grande letteratura, allo scandaglio dell’animo umano, dove nessuno è in realtà ciò che dice di essere. In questo modo Quentin continua la sua ricerca artistica, confermandosi uno tra i più grandi scrittori della storia del cinema. Purtroppo di Tarantino ce n’è uno solo.
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ludwigzaller
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giovedì 11 febbraio 2016
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scioglimento mancato
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Tarantino costruisce con estrema cura lo sfondo su cui far muovere un numero limitato di personaggi, una locanda immersa in un paesaggio innevato, luogo claustrofobico da cui non si può uscire esattamente come l'Overlook hotel di Shining almeno fino alla fine di una tempesta di neve. E accumula deliberatamente dubbi sull'identità reale dei personaggi, tra i quali ci sono ben due boia, veri o presunti, un cacciatore di taglie che si trascina dietro dei cadaveri, un aspirante sceriffo, un cowboy, un generale sudista ed un cocchiere (se non ne dimentico qualcuno). C'è una giovane donna dall'aria astuta e volpina da trasportare nella città dove sarà impiccata e che forse qualcuno tenterà di liberare.
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Tarantino costruisce con estrema cura lo sfondo su cui far muovere un numero limitato di personaggi, una locanda immersa in un paesaggio innevato, luogo claustrofobico da cui non si può uscire esattamente come l'Overlook hotel di Shining almeno fino alla fine di una tempesta di neve. E accumula deliberatamente dubbi sull'identità reale dei personaggi, tra i quali ci sono ben due boia, veri o presunti, un cacciatore di taglie che si trascina dietro dei cadaveri, un aspirante sceriffo, un cowboy, un generale sudista ed un cocchiere (se non ne dimentico qualcuno). C'è una giovane donna dall'aria astuta e volpina da trasportare nella città dove sarà impiccata e che forse qualcuno tenterà di liberare. E un latente contrasto che si rivela sempre più chiaro, all'indomani della fine della guerra di secessione, tra il soldato di colore ex schiavo che ha lottato per la propria libertà, e che dopo la guerra è diventato un boia ed il vecchio generale che incarna il sud. Quest'opera di costruzione richiede circa i due terzi della trama, è affetta da una certa lentezza, ma possiede una certa forza ed un certo fascino. Si arriva al breve intervallo convinti che il finale scioglierà gli enigmi e rivelerà il senso del dramma o dei drammi che si consumano nella locanda. Ma questo scioglimento, sul quale non dirò nulla per ovvi motivi, non è all'altezza della lunga fase di preparazione. Ciò che accade è confuso, gratuito, scarsamente realistico (e non perchè intendiamoci a Tarantino si chieda una logica stringente, ma perchè anche la più fantastica delle trame richiede uno svolgimento logico).
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florentin
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giovedì 11 febbraio 2016
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telluride sta a 80 miglia a nord di durango...
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...da queste parti una volta c'erano gli Apache, poi sterminati insieme ad altri nativi e ridotti i rimanenti nelle riserve...Tarantino ha quindi solo messo messicani, qualche meticcio/a, e ovviamente il 'negro' a valle della guerra-macello fra nordisti e sudisti.
Non è un western, è un racconto ...giallo con rituale flashback rivelatore, e con finale a sorpresa (ma niente Agata Christie anche per la mancanza di Miss Marple), e i soliti kilometrici discorsi alla Tarantino. Discorsi che non finiscono mai e che ti portano a 160 minuti di proiezione fortunatamente con intervallo di 5 (indicati), che a reggerli fino alla fine mi sono sentito un po' eroico.
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...da queste parti una volta c'erano gli Apache, poi sterminati insieme ad altri nativi e ridotti i rimanenti nelle riserve...Tarantino ha quindi solo messo messicani, qualche meticcio/a, e ovviamente il 'negro' a valle della guerra-macello fra nordisti e sudisti.
Non è un western, è un racconto ...giallo con rituale flashback rivelatore, e con finale a sorpresa (ma niente Agata Christie anche per la mancanza di Miss Marple), e i soliti kilometrici discorsi alla Tarantino. Discorsi che non finiscono mai e che ti portano a 160 minuti di proiezione fortunatamente con intervallo di 5 (indicati), che a reggerli fino alla fine mi sono sentito un po' eroico.
I luoghi degli esterni principali sono magnifici, le Rocky Mountains hanno altezze intorno ai 4000 metri fra spazi immensi, cosicché la fotografia anche conseguentemente, è sublime, e non solo per il super 70 ; come pure per certi interni -solo qualche caduta, come le riprese nella carrozza in movimento che sono su ...dondolo, mentre quelle dall'esterno invece fantastiche.
Tim Roth nella prima parte viene fatto recitare come Waltz in Bastardi Senza Gloria e Django Unchained, Jackson indossa una camicia candida con cravatta rossa sempre perfette nonostante la tormenta e se identi sono... suoi un mare di complimenti bianchi così sono uno spottone da dentista; Bruce Dern il generale sudista sempre razzista sta sempre in poltrona che uno non si spiega perché ma poi capisce verso la fine. Madsen, di contorno, abbastanza sfatto, Jason Leigh irriconoscibile un po' per le botte di Russel (Pannofino lo doppia nobilitandolo), e molto per i coloranti profusi a fiotti; lo sceriffo-in-pectore un mentecatto più o meno. L'agape ...non proprio fraterna con lo stufato be', questa pareva proprio naturale. La latrina un po' lontana ma tant'è. Il senso della bufera c'era e del gran freddo pure. Ma dal tetto entrava la neve, sempre un bell'effetto scenico. Il forzato rapporto orale bianco -negro forzatissimo, forse anche qui Tarantino s'è giocato la nomination, oltre che nella ripetitività.
Un ri-Pulp. E anche la colonna sonora così 'strepitosa' io non l'ho avvertita, eppure non mi ero assopito.
Insomma: Tarantino si va a vedere, ma questo è l'ultimo: il prossimo lo aspetto in tv.
* Mi dicono che schermi per il super 70 siano solo 3 in Italia: a Monza, Bologna, e Roma -quest'ultimo di 30 metri di base. Immagino lo spettacolo vista la qualità della risoluzione, ma anche al Fulgor (Sala Marte, Firenze) in tal senso niente da dire pure se su schermo non così ampio. Ore 17.30 del 10 Febbraio, 25 persone, qualche messaggino di troppo forse per comunicare un po' 'di noia, ma soprattutto niente popcorn -una magnficenza va detto. Durante l'intervallo non s'è alzato nessuno...e nessuno ha lasciatoi la sala prima della fine della storia . Il 'giallo' tiene sempre alla fine anche se qui tirato per le lunghe: vecchia volpe quel Tarantino.
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the factory
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mercoledì 10 febbraio 2016
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western-giallo
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È un bel film, un western-giallo (di western ha solo l' "estetica"); mi ha ricordato "10 piccoli indiani" di Agatha Christie. Non è per famiglie o ragazzini.
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enzo70
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mercoledì 10 febbraio 2016
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tarantino non sbaglia un colpo
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Una storia del west, due cacciatori di taglie, la neve del Wyoming, una prigioniera importante, le diligenze, il saloon, che è un emporio, le pistole, il buono, l’aspirante sceriffo, ed il cattivo, tutto gli altri; e poi c’è Tarantino, per cui una storia del west diventa un romanzo fortemente scandito in una scenografia che ricorda un’opera teatrale; l’emporio di Minnie diventa il palcoscenico e la porta che si apre sulla bufera di neve gli intermezzi tra i diversi atti; e l’utilizzo della tecnologia Panavision 70 che sviluppa la fotografia in orizzontale è uno strumento perfetto per favorire una narrazione diversa.
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Una storia del west, due cacciatori di taglie, la neve del Wyoming, una prigioniera importante, le diligenze, il saloon, che è un emporio, le pistole, il buono, l’aspirante sceriffo, ed il cattivo, tutto gli altri; e poi c’è Tarantino, per cui una storia del west diventa un romanzo fortemente scandito in una scenografia che ricorda un’opera teatrale; l’emporio di Minnie diventa il palcoscenico e la porta che si apre sulla bufera di neve gli intermezzi tra i diversi atti; e l’utilizzo della tecnologia Panavision 70 che sviluppa la fotografia in orizzontale è uno strumento perfetto per favorire una narrazione diversa. Per la prima ora il film tentenna, ma Tarantino sa quello che fa, riscalda i motori, la pioggia di sangue ed emozioni arriverà nel finale; e che pioggia, la brutalità nell’esposizione che dalle iene ha accompagnato gli amanti di Tarantino diventa incessante, incalzante, il finale è al limite dello splatter. Musiche di Morricone che chiaramente diventa automaticamente candidato all’Oscar e grandissimi tutti i protagonisti, due citazioni per Christoph Walz e per Samuel L. Jackson. Ottavo film, ennesima meraviglia.
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sinopis
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mercoledì 10 febbraio 2016
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di cattivo gusto, ma nemmeno troppo, direi inutile
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Sangue , tanto sangue, schizzi e spuzzi. Vomiti, tanti vomiti di sangue. Uomo nudo in una scena protratta inutilmente. Una fellatio , un'impiccagione di una donna, una castrazione. Una storia vuota. Un film da dimenticare. Ogni altra parola attribuirebbe troppa importanza a questo fiasco.
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marco lancini
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mercoledì 10 febbraio 2016
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tarantino si ama o si odia? no
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Archiviata la guerra tra Stati Uniti e Stati Confederati d'America, l'alba dell'era della ricostruzione nello spopolato Wyoming sorge sui sentieri rocciosi di una natura avversa, dove corre la diligenza del cacciatore di taglie John Ruth, in viaggio per assicurare alla giustizia della cittadina di Red Rock la fuorilegge Daisy Domergue in cambio di una taglia da 10.000$.
Durante il percorso i due incontrano prima il Magg. Marquis Warren, ex nordista negro in possesso di una preziosa corrispondenza con Lincoln e poi Chris Mannix, ex manigoldo sudista bianco, il quale millanta un'inverosimile investitura come nuovo sceriffo della cittadina di Red Rock.
I primi capitoli di 'The Hateful Eight' sono un perfetto sunto del dualismo americano, indesiderato lascito della Guerra di Secessione nel corpo civile, rafforzato da una regia che contrappone sapientemente gli sconfinati spazi della wilderness del Nord al claustrofobico interno della berlina in cui avvengono i dialoghi.
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Archiviata la guerra tra Stati Uniti e Stati Confederati d'America, l'alba dell'era della ricostruzione nello spopolato Wyoming sorge sui sentieri rocciosi di una natura avversa, dove corre la diligenza del cacciatore di taglie John Ruth, in viaggio per assicurare alla giustizia della cittadina di Red Rock la fuorilegge Daisy Domergue in cambio di una taglia da 10.000$.
Durante il percorso i due incontrano prima il Magg. Marquis Warren, ex nordista negro in possesso di una preziosa corrispondenza con Lincoln e poi Chris Mannix, ex manigoldo sudista bianco, il quale millanta un'inverosimile investitura come nuovo sceriffo della cittadina di Red Rock.
I primi capitoli di 'The Hateful Eight' sono un perfetto sunto del dualismo americano, indesiderato lascito della Guerra di Secessione nel corpo civile, rafforzato da una regia che contrappone sapientemente gli sconfinati spazi della wilderness del Nord al claustrofobico interno della berlina in cui avvengono i dialoghi.
Tarantino, giunti i nostri all'Emporio di Minnie, completa il proprio scacchiere con un anziano Generale sudista, un boia, un cowboy ed un messicano.
È in questo momento però, quando l'intreccio raggiunge la propria fase saliente che la sceneggiatura inizia a venir meno.
Gli odiosi otto danno vita ad un western non convenzionale, ibrido tra Hitchcock e giallo di Agatha Christie, che si rivela incompiuto sotto il profilo dell'imprevedibilità e del mordente.
Intendiamoci, gli spunti non mancherebbero. Tarantino getta la maschera e si rivela come mai fino ad ora cineasta dal forte richiamo politico: i suoi otto sviscerano i temi della giustizia civile legale e passionale, la messa a punto della stessa e la legittimità della difesa.
I virtuosismi dietro la camera neppure, l'uso prolungato del piano sequenza proietta lo spettatore in un tempo cinematografico senza costrizioni, in una realtà che si dimostra però viziata dalla sua stessa staticità.
La pellicola procede orfana di personaggi memorabili nonostante lo sconfinato uso del dialogo che scimmiotta le reservoir dogs ambasciatrici di passati successi e fortune, e legittima nello spettatore le perplessità circa un uso teatrale più adatto alla pièce.
I personaggi muovono nei propri interlocutori ragionevoli dubbi, da cui scaturiscono confronti dialettici orientati alla persuasione che l'identità supposta corrisponda a quella reale ed è proprio quando le parole vengono meno che si comincia a dar voce ai revolver, ma neppure la violenza pulp, vero marchio di fabbrica del regista, questa volta corre in suo soccorso dando una svolta alla deriva narrativa intrapresa dal film.
Il risultato è un terzo capitolo da relegare al ruolo di meno riuscito della fin qui notevole trilogia storica.
Per concludere, degno di nota è ancora una volta il lavoro del fedelissimo Samuel L. Jackson, attore feticcio che si dimostra pienamente all'altezza del suo predecessore Christoph Waltz.
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marco lancini
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mercoledì 10 febbraio 2016
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il cinema di tarantino si ama o si odia? no
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Archiviata la guerra tra Stati Uniti e Stati Confederati d'America, l'alba dell'era della ricostruzione nello spopolato Wyoming sorge sui sentieri rocciosi di una natura avversa, dove corre la diligenza del cacciatore di taglie John Ruth, in viaggio per assicurare alla giustizia della cittadina di Red Rock la fuorilegge Daisy Domergue in cambio di una taglia da 10.000$.
Durante il percorso i due incontrano prima il Magg. Marquis Warren, ex nordista negro in possesso di una preziosa corrispondenza con Lincoln e poi Chris Mannix, ex manigoldo sudista bianco, il quale millanta un'inverosimile investitura come nuovo sceriffo della cittadina di Red Rock.
I primi capitoli di 'The Hateful Eight' sono un perfetto sunto del dualismo americano, indesiderato lascito della Guerra di Secessione nel corpo civile, rafforzato da una regia che contrappone sapientemente gli sconfinati spazi della wilderness del Nord al claustrofobico interno della berlina in cui avvengono i dialoghi.
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Archiviata la guerra tra Stati Uniti e Stati Confederati d'America, l'alba dell'era della ricostruzione nello spopolato Wyoming sorge sui sentieri rocciosi di una natura avversa, dove corre la diligenza del cacciatore di taglie John Ruth, in viaggio per assicurare alla giustizia della cittadina di Red Rock la fuorilegge Daisy Domergue in cambio di una taglia da 10.000$.
Durante il percorso i due incontrano prima il Magg. Marquis Warren, ex nordista negro in possesso di una preziosa corrispondenza con Lincoln e poi Chris Mannix, ex manigoldo sudista bianco, il quale millanta un'inverosimile investitura come nuovo sceriffo della cittadina di Red Rock.
I primi capitoli di 'The Hateful Eight' sono un perfetto sunto del dualismo americano, indesiderato lascito della Guerra di Secessione nel corpo civile, rafforzato da una regia che contrappone sapientemente gli sconfinati spazi della wilderness del Nord al claustrofobico interno della berlina in cui avvengono i dialoghi.
Tarantino, giunti i nostri all'Emporio di Minnie, completa il proprio scacchiere con un anziano Generale sudista, un boia, un cowboy ed un messicano.
È in questo momento però, quando l'intreccio raggiunge la propria fase saliente che la sceneggiatura inizia a venir meno.
Gli odiosi otto danno vita ad un western non convenzionale, ibrido tra Hitchcock e giallo di Agatha Christie, che si rivela incompiuto sotto il profilo dell'imprevedibilità e del mordente.
Intendiamoci, gli spunti non mancherebbero. Tarantino getta la maschera e si rivela come mai fino ad ora cineasta dal forte richiamo politico: i suoi otto sviscerano i temi della giustizia civile legale e passionale, la messa a punto della stessa e la legittimità della difesa.
I virtuosismi dietro la camera neppure, l'uso prolungato del piano sequenza proietta lo spettatore in un tempo cinematografico senza costrizioni, in una realtà che si dimostra però viziata dalla sua stessa staticità.
La pellicola procede orfana di personaggi memorabili nonostante lo sconfinato uso del dialogo che scimmiotta le reservoir dogs ambasciatrici di passati successi e fortune, e legittima nello spettatore le perplessità circa un uso teatrale più adatto alla pièce.
I personaggi muovono nei propri interlocutori ragionevoli dubbi, da cui scaturiscono confronti dialettici orientati alla persuasione che l'identità supposta corrisponda a quella reale ed è proprio quando le parole vengono meno che si comincia a dar voce ai revolver, ma neppure la violenza pulp, vero marchio di fabbrica del regista, questa volta corre in suo soccorso dando una svolta alla deriva narrativa intrapresa dal film.
Il risultato è un terzo capitolo da relegare al ruolo di meno riuscito della fin qui notevole trilogia storica.
Per concludere, degno di nota è ancora una volta il lavoro del fedelissimo Samuel L. Jackson, attore feticcio che si dimostra pienamente all'altezza del suo predecessore Christoph Waltz.
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