writer58
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sabato 6 febbraio 2016
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otto bastardi senza gloria...
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"Questo film ha molte similitudini con 'Le iene'. Una delle ragioni per cui 'Le iene' funziona così bene è la suspence. La suspence è come un elastico: continui a tirarla per cinque, sei minuti...se posso tirare l'elastico fino a venticinque minuti, e non si spezza, è ancora meglio!"
Quentin Tarantino.
I riferimenti da cui "The hateful eight" attinge sono numerosi: dal thriller alla Agatha Christie, all'horror "Carrie: lo sguardo di Satana", dai western classici rivisitati secondo lo schema "tutti contro tutti", ai procedurali giudiziari, fino ad autocitazioni dei suoi capolavori precedenti.
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"Questo film ha molte similitudini con 'Le iene'. Una delle ragioni per cui 'Le iene' funziona così bene è la suspence. La suspence è come un elastico: continui a tirarla per cinque, sei minuti...se posso tirare l'elastico fino a venticinque minuti, e non si spezza, è ancora meglio!"
Quentin Tarantino.
I riferimenti da cui "The hateful eight" attinge sono numerosi: dal thriller alla Agatha Christie, all'horror "Carrie: lo sguardo di Satana", dai western classici rivisitati secondo lo schema "tutti contro tutti", ai procedurali giudiziari, fino ad autocitazioni dei suoi capolavori precedenti. Tarantino ha impastato consapevolmente questi generi e li ha amalgamati, producendo una sintesi originale. L'opera -divisa in sei capitoli- inizia con un diligenza che arranca sulle piste gelate del Wyoming. Tutta la prima parte è giocata sul contrasto tra gli spazi sconfinati della frontiera (siamo intorno al 1865, subito dopo la fine della guerra civile) e l'ambito angusto della diligenza che arriverà ad ospitare quattro persone: un cacciatore di taglie che ha in custodia una criminale in procinto di essere impiccata a Red Rock, un ex maggiore afroamericano dell'esercito unionista, un futuro sceriffo.
I dialoghi tra i quattro protagonisti, pur utili a caratterizzare i personaggi, mi sono parsi prolissi e privi di mordente, anche se rivelano dettagli significativi del loro passato. Veniamo così a conoscenza dei trascorsi del maggiore Warren (interpretato da un monumentale Samuel L. Jackson), ex soldato nordista di colore, divenuto in seguito cacciatore di taglie e di Mannix (un magnifico Goggins), rinnegato sudista che afferma di essere stato nominato sceriffo di Red Rock.
La seconda parte del film si svolge in uno spazio delimitato, l'emporio di Minnie, dove la diligenza si ferma per sfuggire a una tormenta che rende il percorso impraticabile. Nel rifugio, vi sono altre quattro persone (un ex-generale confederato, un messicano, il boia di Red Rock e un cow boy) che completano gli "hateful eight". Non voglio dire nulla di questa seconda parte, se non che il clima di sospetto, tensione, inganni, dissimulazioni aumenta progressivamente fino ad esplodere fragorosamente.
I lettori non me ne vorranno, ma ho trovato questa seconda parte non perfettamente riuscita. Per riprendere la citazione iniziale, l'elastico è stato teso troppo a lungo e, invece di spezzarsi, si è afflosciato, ha perso tensione. A volte si ha l'impressione che Tarantino abbia ecceduto con le autocitazioni (i dialoghi alla "Pulp Fiction", il clima di sospetto generalizzato delle Iene) e abbia proposto un esercizio di stile un po' fine a se stesso. Ma anche nel momento in cui l'autore si discosta da questa impostazione, ho rilevato eccessi nella messa in scena. La violenza -altrove, come in Kill Bill, ritualizzata secondo stilemi crudi, ma eleganti- qui assume connotazioni splatter un po' disturbanti, soprattutto perché esibita volutamente sopra le righe. Ho trovato invece ben realizzati gli aspetti dell'inchiesta "giudiziaria", quasi sul modello di Poirot, come anche la dimensione "politica" del film, che sviluppa i temi del conflitto nord-sud alla luce delle ferite lasciate dalla guerra civile americana.
In sintesi: un lavoro stimolante, ma prolisso e non compiutamente risolto, nettamente inferiore ai capolavori che disseminano la carriera di Tarantino. Un vero peccato, soprattutto in relazione alle grandi aspettative che questa produzione aveva suscitato.
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jacopo b98
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sabato 6 febbraio 2016
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"solo" grandissimo cinema.
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Qualche anno dopo la fine della Guerra di Secessione Americana, una diligenza corre tra le montagne del Wyoming. A bordo John Ruth “Il boia” (Russell) accompagna la bandita Daisy Domergue (Jason Leigh) alla forca, ma si imbatte nel cacciatore di taglie Marquis Warren (Jackson), rimasto senza cavallo, e lo prende con sé a bordo. Incontreranno sulla strada anche il futuro sceriffo (Goggins) di Red Rock, dove sono diretti, e caricheranno a bordo anche lui, per poi fermarsi in un emporio per rifocillarsi e attendere la fine della bufera di neve che impazza sulle montagne. Nell’emporio troveranno una serie di curiosi personaggi e scopriranno che nulla è come sembra e i vari incontri sono ben poco casuali.
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Qualche anno dopo la fine della Guerra di Secessione Americana, una diligenza corre tra le montagne del Wyoming. A bordo John Ruth “Il boia” (Russell) accompagna la bandita Daisy Domergue (Jason Leigh) alla forca, ma si imbatte nel cacciatore di taglie Marquis Warren (Jackson), rimasto senza cavallo, e lo prende con sé a bordo. Incontreranno sulla strada anche il futuro sceriffo (Goggins) di Red Rock, dove sono diretti, e caricheranno a bordo anche lui, per poi fermarsi in un emporio per rifocillarsi e attendere la fine della bufera di neve che impazza sulle montagne. Nell’emporio troveranno una serie di curiosi personaggi e scopriranno che nulla è come sembra e i vari incontri sono ben poco casuali. Tarantino, come sempre anche sceneggiatore, con The Hateful Eight ha portato il suo cinema ben oltre i limiti conosciuti ed esplorati. Questo suo nuovo film infatti nasce come una sfida assoluta, tecnica e narrativa. Tecnica perché il regista e il suo direttore della fotografia Robert Richardson (che qui ha fatto un lavoro davvero straordinario) hanno deciso di girare il film su pellicola 70mm in formato panoramico ultra-panavision: insomma il top del top, la pellicola più grande in assoluto, che garantisce un’immagine enormemente più vasta della norma (e si vede, specie nelle sequenze paesaggistiche), gloriosa e spettacolare come nessun altra nel nostro tempo, in cui il digitale ci ha fatto adagiare su una definizione e una grandezza dell’immagine molto più modeste. Ma torniamo alla sfida narrativa: Tarantino ha portato alle estreme conseguenze il suo cinema teatrale, con una pièce che sfiora le tre ore e non disdegna né la suddivisione in atti-capitoli, né una costruzione temporale non convenzionale (il film è privo di senso fino al lungo flashback che prelude al finale, che assume tra l’altro il ruolo di prova generale per il film: sono gli attori che si preparano ad entrare in scena), né la claustrofobia dell’ambientazione (la diligenza prima, l’emporio poi), né un’azione più rarefatta che mai: le scene d’azione sono poche, tutte nella seconda parte, e comunque di estrema staticità. Il resto è dialogo: un dialogato fluviale, interminabile, ironico, divertentissimo, ma anche commovente e malinconico (la sublime scena in cui Warren e il generale Smithers [Dern] dialogano in poltrona con il pianoforte in sottofondo, il racconto amaro di una guerra che non ha lasciato vincitori, ma solo sconfitti). Tarantino spinge al massimo livello il binomio divertimento-riflessione, di cui si è fatto portatore negli ultimi anni in particolare. È un’opera estatica, che trasmette un’eccitazione e una godibilità invidiabili, in un contesto di amara serietà: sembra semplice cinema di genere ma non lo è. È una riflessione abissale sull’America e sulla violenza che l’affligge: non c’è pietà, né perdono, per nessuno. Il personaggio positivo è annullato: non c’è nessun Django, nessun eroe, in una crisi di ideali che è più attuale che mai. Dunque il film più complesso, difficile (si arriva alla fine comunque affaticati: mantenere alta l’attenzione su 3 ore di dialogato è impegnativo) e politico, l’unico moralmente compiuto. Stilisticamente è l’ennesimo capolavoro: la regia abbandona gli eccessi di Django, per farsi più solenne e lenta (memorabile il lentissimo movimento di macchina iniziale che inquadra il crocifisso di legno), ma non rinuncia a vertiginosi rallenty e a un gusto meraviglioso per lo splatter più esagerato. Gli interpreti si mettono del tutto al servizio della sceneggiatura e ci lasciano otto interpretazioni mastodontiche: difficile trovare il più bravo, ma meritano la citazione per lo meno Jackson, la Jason Leigh, Roth e Russell. Eccezionale colonna sonora di Ennio Morricone. All’uscita dalla sala si rimane estasiati, commossi (grazie anche ad un finale sconvolgente e bellissimo), adoranti, di fronte ad un’opera troppo grande per essere commentata a parole. È cinema, puro cinema. Anzi, grandissimo cinema. E mi piace l’idea di concludere concordando con Giorgio Viaro che ha ben detto: “Ogni volta che esce un nuovo film di Tarantino si ha l’impressione di aver passato gli ultimi due anni a mangiare alla mensa aziendale e di tornare finalmente in un grande ristorante”. The Hateful Eight è un banchetto solenne, allestito per noi, da uno dei più grandi cineasti viventi. Ma come dice Warren-Lincoln nel finale “c’è ancora molta strada da fare”. VOTO 9/10
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goldy
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sabato 6 febbraio 2016
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tarantino vittima di sè stesso
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Non mi si venga a sostenere che nelle intanzioni di Tarantino c'era quella di fare un film politico! Se davvero questo era il suo intento, beh! non appare. Più banalmente, Tarantino ripropone la sua ennesima ricetta di abile costruttore di scene da macelleria per consolidare la sua posizione in classifica di massimo esponente del cinema splatter. Non mi si chieda di fare uno sforzo intrepretativo per dare significato a 8 disgraziati morti freddo di freddo , ognuno portatore di un carico diverso di violenza. Una storia piena di buchi che rendono faticoso e vano seguire il filo narrativo espresso, per'altro, con raffinati linguaggi più appropriati a esponenti del mondo accademico che non a rozzi i cresciuti in sterminate praterie del Wes prive di college universitari.
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Non mi si venga a sostenere che nelle intanzioni di Tarantino c'era quella di fare un film politico! Se davvero questo era il suo intento, beh! non appare. Più banalmente, Tarantino ripropone la sua ennesima ricetta di abile costruttore di scene da macelleria per consolidare la sua posizione in classifica di massimo esponente del cinema splatter. Non mi si chieda di fare uno sforzo intrepretativo per dare significato a 8 disgraziati morti freddo di freddo , ognuno portatore di un carico diverso di violenza. Una storia piena di buchi che rendono faticoso e vano seguire il filo narrativo espresso, per'altro, con raffinati linguaggi più appropriati a esponenti del mondo accademico che non a rozzi i cresciuti in sterminate praterie del Wes prive di college universitari. Con Django aveva dimostrato di saper fare cinema limitando la deriva splatter. Che bisogno c'era di riproporlo e in dose così massiccia e esagerata? Noioso, non coinvolgente, incapace di ccostruire una metafora di alcunchè, irrispettoso della capacità di resistenza dello sòpettatore, si lascia la sala un po' provati portando dentro di sè un carico greve e inutile di brutture gratuite, E non mi si esalti la bellezza della fotografia, la bravura degli attori, la colonna sonora di Morricone, la grandiosità dei panorami innevati. Perchè un film si sedimenti nell'immaginario ha bisogno di una storia che qui non c'è e se c'è è solo un pretesto.
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orion84
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sabato 6 febbraio 2016
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se non fosse un film di tarantino....
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Le recensioni lo incenerirebbero e gli spettatori pure...
SPOILER ALERT SU QUESTA RECENSIONE
Sinceramente leggendo la recensione di Mymovies mi sono sbigottito, forse ho visto un altro film perché sembra di leggere i commenti ad un'opera monumentale mentre sullo schermo sono corse via tre ore in cui si ride (tanto) e di pancia ma dove il genio del regista e la qualità della trama lasciano molto a desiderare.
Rispetto a Django per me qui c'è un bel passo indietro. Dopo la lenta marcia iniziale in carrozza, in cui i dialoghi davvero troppo lunghi rischiano di assopire lo spettatore tenuto attento solo dall'irriverenza dei protagonisti, si arriva all'emporio di Minnie e qui inizia il film vero e proprio: un gioco delle parti in cui lo spettatore cerca di capire chi ha più cose da nascondere tra i vari protagonisti.
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Le recensioni lo incenerirebbero e gli spettatori pure...
SPOILER ALERT SU QUESTA RECENSIONE
Sinceramente leggendo la recensione di Mymovies mi sono sbigottito, forse ho visto un altro film perché sembra di leggere i commenti ad un'opera monumentale mentre sullo schermo sono corse via tre ore in cui si ride (tanto) e di pancia ma dove il genio del regista e la qualità della trama lasciano molto a desiderare.
Rispetto a Django per me qui c'è un bel passo indietro. Dopo la lenta marcia iniziale in carrozza, in cui i dialoghi davvero troppo lunghi rischiano di assopire lo spettatore tenuto attento solo dall'irriverenza dei protagonisti, si arriva all'emporio di Minnie e qui inizia il film vero e proprio: un gioco delle parti in cui lo spettatore cerca di capire chi ha più cose da nascondere tra i vari protagonisti.
Che un film girato per due ore in un'unica stanza riesca a non annoiare è già di per se un miracolo però è anche vero che la trama non offre molto allo spettatore se non dialoghi divertenti, dove però regna sovrana una volgarità forse eccessiva perfino per tarantino, scene fantozziane come l'imbrattatura ricorrente con ogni sorta di fluidi della faccia della povera Jennifer Jason Leigh, e le espressioni sui volti dell'ottimo cast.
Ecco, per quanto riguarda il cast Tarantino si conferma un genio nella scelta degli interpreti e in questo film Samuel L. Jackson si prende molta della scena con un personaggio che esalta lo spettatore e che conferma che è uno dei più grandi attori esistenti.
Il finale ci riporta a Candyland coi corpi maciullati dalle pallottole e una morale perfino scontata "i cattivi devono morire" ma qui, per varie ragioni, sono tutti cattivi.....
Apprezzo Tarantino e alla fine pure sto film me lo sono guardato di gusto, però non puoi non aspettarti di più da un regista come lui. Questo è quasi un B-movie in salsa western, oltretutto con alcune licenze che al cinema solo a Tarantino sono concesse: uso di termini razzisti in modo esagerato, violenza brutale su una donna...si ride, ma se lo facessero altri immagino le polemiche.
Alla fine do due stelle perché mi aspettavo di più, il filma sarebbe da tre. Chi lo esalta in modo esagerato è chiaramente un fan incapace di analizzare oggettivamente il film che infatti agli oscar è stato interamente snobbato per quanto concerne la regia e la sceneggiatura (una evidente tirata di orecchie a sua maestà Quentin) rispetto invece all'oscar ricevuto per il capolavoro Django.
Speriamo davvero che il prossimo film ci ripresenti un Tarantino ispirato come ai bei tempi.
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step666
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sabato 6 febbraio 2016
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l'impronta di tarantino
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Davvero un ottimo film, come sempre si riconosce la mano di tarantino con i suoi dialoghi crudeli che rasentano la follia, geniali!
L'unica pecca che si possa fare è che il film a volte scorre troppo lentamente,certo mi aspettavo di più da alcuni personaggi quali Tim Roth e Michael Madsen, da loro mi aspetto di più, per il resto come già detto è un film alla tarantino e per gli amanti del genere non deluderà le aspettative.
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no_data
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venerdì 5 febbraio 2016
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delusione! il regista non dice niente di nuovo
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Tarantino si parla addosso e pensa di fare arte portando all'estremo la violenza ed il sangue (oltre a brandelli di cervello schizzati in faccia ai vari attori) noiosa la prima parte buoni i 10 minuti di "poliziesco" eccessiva la truculenza del finale
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thatfilm!
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venerdì 5 febbraio 2016
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quel wyoming sanguinolento
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Il bianco candore delle montagne del Wyoming. La potenza della natura e la grandezza del paesaggio. Poi, il mondo si restringe, tutto si compressa. Prima in una diligenza in viaggio per Red Rock. Poi in una baita in mezzo al nulla, in cui i rapporti tra gli otto personaggi si intrecciano e si crea la premessa per la conclusione, piena e grottesca, come tutto il film, d'altronde.
Questo è l'ottavo film di Tarantino. Una pièce teatrale travestita da western. Tutto si muove lentamente per creare la fitta trama di rapporti ben tenuta insieme dalla sceneggiatura solida. Ogni inquadratura da più di una prospettiva della storia. La prima, aperta, lunga e incredibilmente alla Leone, dà subito l'idea di che film sarà.
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Il bianco candore delle montagne del Wyoming. La potenza della natura e la grandezza del paesaggio. Poi, il mondo si restringe, tutto si compressa. Prima in una diligenza in viaggio per Red Rock. Poi in una baita in mezzo al nulla, in cui i rapporti tra gli otto personaggi si intrecciano e si crea la premessa per la conclusione, piena e grottesca, come tutto il film, d'altronde.
Questo è l'ottavo film di Tarantino. Una pièce teatrale travestita da western. Tutto si muove lentamente per creare la fitta trama di rapporti ben tenuta insieme dalla sceneggiatura solida. Ogni inquadratura da più di una prospettiva della storia. La prima, aperta, lunga e incredibilmente alla Leone, dà subito l'idea di che film sarà. E poi tutto inizia, i dialoghi si fanno subito "tarantiniani" ed ogni azione, ogni sguardo, viene seguito in maniera spasmodica per creare la psiche del personaggio principale (interpretato da un ottimo Samuel L. Jackson), facendola comunque rimanere nascosta, almeno in parte, fino alla fine, fino alla chiusura. Ed è questa la forza del film: tutto è allungato, ogni gesto è studiato nei minimi dettagli, ma rimane qualcosa di non detto, qualcosa che viene nascosto volutamente dai dialoghi compulsivi e dal maniacale odio che infesta ogni scena.
Insomma un film intimo e che non ti aspetti da un regista così votato alla costruzione sfrenata e all'azione spettacolare (che rimane, ma mitigata) come lo è Quentin Tarantino.
Altro punto a favore la già citata vena grottesca che scorre in tutto il film, la violenza è, se non ridicolizzata, portata all'estremo (più estremo del solito per Tarantino) e viene "schiaffata" in faccia allo spettatore a gocce spezzando i dialoghi e la storia per qualche istante (ottima scelta per un film di quasi tre ore), riprendendo il filo della matassa trasformata ogni volta. Fino alla conclusione, sintesi del gusto del macabro, dell'odio fittissimo e della bellezza di ogni inquadratura presenti in tutto l'ottavo film di Quentin Tarantino.
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mcmurphy92
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venerdì 5 febbraio 2016
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il grande ritorno di tarantino
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Tarantino ci regala un altro dei suoi grandi film,un western dai toni sadici violenti e si dimostra una delle sue pellicole più politiche.
Ogni protagonista è caratterizzato in modo sensazionale e samuel l Jackson ci regala un interpretazione da oscar.
Detto tutto cio questa pellicola è un western che verrà ricordato nella storia del cinema !!!!
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cannataalessio
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venerdì 5 febbraio 2016
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capolavoro assoluto, tarantino non ne sbaglia una.
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Si sapeva. Tarantino non ne sbaglia una. Dialoghi eccezionali. Fotografia da brivido. Cast da paura. L'8vo film di Tarantino è il suo terzo capolavoro dopo Pulp Fiction e Django.
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cleme
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venerdì 5 febbraio 2016
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la parola al profano
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Avete presente quella sensazione x cui non vorreste mai che un film finisse? Ancora più intensa se segue esattamente l'aspettativa che l'ha preceduta, di restare incollati alla poltrona immergendosi non solo nelle scene ma anche nella sensazione di eternità di quel momento?
Ecco quello che non vi accadrà vedendo the hateful eight. Lascio agli intenditori gridolini di giubilo al cospetto delle abilità registiche del nostro, ma x convincermi che il format della pièce teatrale potesse avere tenuta avrebbe dovuto sorprendermi con qualcosa che lo consacrasse ancora una volta a maestro del "pan-film", film puzzle dove generi, tecniche, linguaggi consegnano allo spettatore un risultato unico e geniale
Quentin ti prego, riprenditi, guarisci, rinsavisci, ma non dirmi che non hai più niente da dar
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Avete presente quella sensazione x cui non vorreste mai che un film finisse? Ancora più intensa se segue esattamente l'aspettativa che l'ha preceduta, di restare incollati alla poltrona immergendosi non solo nelle scene ma anche nella sensazione di eternità di quel momento?
Ecco quello che non vi accadrà vedendo the hateful eight. Lascio agli intenditori gridolini di giubilo al cospetto delle abilità registiche del nostro, ma x convincermi che il format della pièce teatrale potesse avere tenuta avrebbe dovuto sorprendermi con qualcosa che lo consacrasse ancora una volta a maestro del "pan-film", film puzzle dove generi, tecniche, linguaggi consegnano allo spettatore un risultato unico e geniale
Quentin ti prego, riprenditi, guarisci, rinsavisci, ma non dirmi che non hai più niente da darci: torna nel tuo splendore e lascia tarantineggiare i tuoi allievi, o presto li lascerai orfani
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