Of Men and War

Film 2014 | Documentario 142 min.

Titolo originaleDes Hommes et de la guerre
Anno2014
GenereDocumentario
Durata142 minuti
Regia diLaurent Bécue-Renard
TagDa vedere 2014
MYmonetro 3,25 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari.

Regia di Laurent Bécue-Renard. Un film Da vedere 2014 Titolo originale: Des Hommes et de la guerre. Genere Documentario 2014, durata 142 minuti. - MYmonetro 3,25 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari.

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Ultimo aggiornamento venerdì 6 giugno 2014

Consigliato sì!
3,25/5
MYMOVIES 3,50
CRITICA
PUBBLICO 3,00
CONSIGLIATO SÌ
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Trailer
Tralasciando l'aneddoto per l'universale, Bécue-Renard trova le parole e le incarna, congedando con onore i suoi soldati e riabilitando i congedati 'meno che onorevoli' di tutte le guerre.
Recensione di Marzia Gandolfi
venerdì 6 giugno 2014
Recensione di Marzia Gandolfi
venerdì 6 giugno 2014

Dall'infanzia Laurent Bécue-Renard è alla ricerca delle parole perdute. Documentarista francese e osservatore partecipante del dolore dei sopravvissuti, Bécue-Renard non ha mai conosciuto i suoi nonni e non ha mai avuto accesso ai loro racconti sulla Grande Guerra. Allevato dalle vedove di quei cari combattenti, dedica alle nonne il suo primo lungometraggio, De guerre lasses, cronaca della difficile rinascita di giovani vedove bosniache, accolte coi loro bambini in un centro terapeutico di Tuzla (in Bosnia-Erzegovina). Vittime della guerra, le sue protagoniste provano a rielaborare i danni psicologici causati dai suoi orrori e dall'insostenibile perdita del consorte.
Secondo l'autore, inviato nel 1995 come redattore a Sarajevo per il magazine "Sarajevo online", quello che dura di più nella guerra è il post-guerra, l'onda di choc che travolge la vita dei testimoni e in misura inferiore, ma non trascurabile, quella delle generazioni successive, interrogandole. Rispondere alla questione è la ragione del lavoro e delle opere di Laurent Bécue-Renard che avvicina con riguardo e pudore i reduci, uomini di ritorno dal fronte o donne nella guerra, trasformati nell'anima e alterati nella psiche. Incontrarli gli ha permesso di verbalizzare finalmente l'eredità dei nonni, di ascoltare attraverso le parole di chi è tornato a casa quello che avevano vissuto e provato.
Undici anni dopo De guerre lasses, il regista si sposta negli Stati Uniti e incontra i veterani delle campagne militari in Afghanistan e in Iraq, afflitti da disturbi post traumatici da stress, una serie complessa di problemi psicologici scatenati da esperienze violente e scioccanti. Esperienze custodite nelle loro teste e taciute al mondo, che della guerra ha un'idea consueta o al contrario 'spettacolare', che lo separa dall'esperienza di ciò che la guerra è realmente. Mediata da media o dal cinema, la guerra secondo Bécue-Renard non è questione di immagine ma di parola. Quella a lungo negata e ignorata dei reduci della Grande Guerra, primo conflitto industrializzato della storia, che porta con sé le prime nevrosi schedate col titolo di 'codardia' o quella più recente e devastante dei giovani americani di ritorno dal Vietnam, guardati con indifferenza, mutilati, delusi, disoccupati e abbandonati da tutto quello che era rimasto in patria e dietro al fronte.
Più 'fortunati' i contingenti dei soldati statunitensi in Afghanistan e in Iraq hanno adesso accesso gratuito al sistema sanitario pubblico e a una rete nazionale di strutture ospedaliere per il recupero dei veterani. Il loro ritorno alla vita civile cade in un momento storico 'sensibile' in cui le forze armate riconoscono la diffusione di malattie mentali invalidanti tra i reduci. Se ieri le nevrosi dei soldati erano trattate principalmente in un contesto giudiziario, di cui le 'fucilazioni esemplari' furono il climax aberrante, oggi vengono affrontate dentro un quadro medico. Le strategie di diagnosi e terapia sono migliorate straordinariamente, così come il sostegno finanziario offerto ai soldati afflitti da instabilità emotiva. Trasferitosi negli States e ospitato a The Pathway Home (la casa del cammino), centro terapeutico militare ubicato nella Napa Valley, il regista ha cominciato a filmare senza restrizioni dopo una lunga permanenza a camera spenta, orientata a meritarsi la fiducia dell'équipe terapeutica e dei reduci. Soldati che hanno vissuto la guerra e continuano a combatterla nella propria testa. E la testa è il 'campo di battaglia' in cui affrontano il disagio psicologico, l'inadeguatezza psichica e più praticamente gli scatti improvvisi, i pianti isterici, la sordità, il rifiuto di parlare o di 'avanzare', l'impotenza, il terrore ossessionante, l'insensibilità, l'ipersensibilità, la depressione, l'euforia, la violenza illogica, l'aggressività repressa. Si chiamano Justin, Trevor, Brooks, Kacy, Steve ma formano un corpo unico e dolente i 'guerrieri' di Bécue-Renard dentro le loro intense sedute di gruppo. In un Paese che non perde occasione di onorare a parole le proprie forze armate, i suoi veterani prendono a turno quelle 'parole' e le riempiono di senso, le risarciscono e si risarciscono, allontanando i fantasmi della psicosi permanente e della rottura definitiva con la realtà. Fuori e dentro dalla clinica li accompagnano i padri, le madri, le mogli e i figli che sono rimasti, condividendo lo spaesamento, la fragilità, l'instabilità e l'impatto col mondo civile. Iscritto dentro un progetto intitolato "Origine della rabbia", di cui Of Men and War è il secondo atto, l'autore ci invita a partecipare a un'avventura umana straordinaria, un esperimento di riparazione per fare pace con la memoria. Perché con la terapia il film restituisce ai reduci la propria storia e la vita a cui erano diventati estranei. Il documentario di Bécue-Renard cattura ogni loro tic, respira la loro angoscia e quella dei loro familiari che molto spesso sono stimolo e ragione della scelta di entrare in terapia, dichiarando guerra alla guerra. Dentro un luogo protetto e in assenza di giudizio le testimonianze raccolte ci dicono cos'è la guerra senza mostrarla mai, evocandola come uno spettro sui volti dei soldati a cui ha distrutto l'esistenza. Riparare quelle esistenze richiede un tempo di decantazione inestimabile, che finisce per coincidere coi tempi di produzione del film.
Dieci sono gli anni passati dall'idea alla realizzazione di questo documentario, che rimette in discussione il cinema di guerra e si interroga su come filmare la guerra, lasciando che siano i suoi protagonisti a costruirlo, detonando la linearità e privilegiando la discontinuità. Intermittenza che dice meglio e dice bene della distorsione temporale dei testimoni, dei passi avanti e di quelli indietro. Senza mai condannare moralmente l'esercito o i conflitti armati, lo sguardo del regista osserva i suoi veterani partecipare orgogliosi alle parate o insegnare a un ragazzo l'inno nazionale con la mano sul cuore, consapevole che il patriottismo come la guerra esistono e continueranno a esistere. A chi la muove e a chi la patisce non resta che dire e dirsi ad alta voce perché la rimozione dell'esperienza bellica procrastina il ricordo della stessa e finisce per trasformarlo in ossessione. Tralasciando l'aneddoto per l'universale, Bécue-Renard trova le parole e le incarna, congedando con onore i suoi soldati e riabilitando i congedati 'meno che onorevoli' di tutte le guerre.

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