Ninì

Tra le primissime donne a cimentarsi con l'alpinismo, Ninì Pietrasanta (1999-2000) nacque a Parigi, quando la famiglia si trasferì a Milano venne educata dal padre, docente di Economia, dopo la prematura morte della madre. Signorina di buona famiglia e donna in anticipo sui tempi, Ninì è stata una pioniera delle riprese di montagna: le scalate compiute con i compagni di cordata e, soprattutto, insieme a Gabriele Boccalatte, che sposò e da cui ebbe un figlio, sono raccontate attraverso fotografie, riprese in 16 mm e passi di diari. A lei è dedicata "Pointe Ninì", sulle Augille de Périades, vetta raggiunta in una delle prime ascese dalla coppia.
Un prologo e un epilogo in cui compare il figlio Lorenzo ormai anziano suggellano un insolito documento sportivo che è, soprattutto, una commovente storia d'amore. Muovendosi tra le fotografie di una vecchio album, con l'aiuto di una musica pertinente e il commento in voce off dei diari dei protagonisti, Gigi Giustiniani assembla una narrazione ben oliata a livello drammaturgico in cui brilla la grana di immagini pionieristiche per più di una motivazione: all'eccezionalità delle "cinematografie" di Ninì, infatti, si affianca il ritratto, altrettanto inconsueto, di una donna straordinaria la cui vicenda è rimasta indicativamente sepolta per anni in un baule. Quello che sembra il classico espediente da romanzo storico, attraverso il quale l'autore vuole attestare la veridicità di ciò che racconterà, è il nocciolo intorno al quale vive un home movie particolarissimo messo insieme per interposta persona, Giustiniani, con il fine di celebrare la vita della vera regista, Ninì. Un archivio di pellicole in 16 mm e un mucchio di fotografie sono sufficienti per riportare alla luce una storia rimossa e esemplare, un racconto carico di pathos, appassionante e commovente.
Concentrato, nella prima parte, sull'entusiasmo e la voglia di andare oltre i imiti, per poi scoprire gradualmente il legame con un "compagno di cordata che diventa compagno di vita", Ninì oscilla sui due confini, trovando una vibrazione in cui non esistono vuoti: tra le vette innevate e i momenti gravidi di affetto o tensione vera fino alla commozione, si trasforma in una vera e propria celebrazione della vita oltre il dolore e la difficoltà.
Scritto e montato dal regista insieme a Raffaele Rezzonico, che cura inoltre la "drammaturgia", il film è una testimonianza storica fondamentale sull'alpinismo italiano degli anni Trenta. La produzione si è basata su fondi reperiti attraverso una campagna di finanziamento dal basso. 