Anno | 2014 |
Genere | Documentario |
Produzione | Italia |
Regia di | Steve Della Casa, Maurizio Tedesco |
Attori | Manlio Gomarasca, Enzo G. Castellari, Ruggero Deodato, Tonino Valerii, Mario Caiano Lamberto Bava, Barbara Bouchet, Alberto De Martino, Massimo Vigliar, Umberto Lenzi, Edwige Fenech, Gloria Guida. |
MYmonetro | 3,00 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento lunedì 5 maggio 2014
CONSIGLIATO SÌ
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Una serie di interviste ad alcuni tra i maggiori produttori, registi e attori del cinema italiano di serie B degli anni '60 e '70 che ripercorre vagamente la genesi dei generi più amati e poi ripresi da Quentin Tarantino, tra acume produttivo e cialtronerie registiche, arte d'arrangiarsi e successi strepitosi.
Senza brillare per originalità della ricostruzione o ricerca delle interviste e dei materiali (qualcosa d'archivio, i soliti registi solitamente intervistati e riprese televisive della retrospettiva sul cinema italiano di serie B tenuta da Quentin Tarantino al Festival di Venezia del 2004) è con un miscuglio di onesto spirito naif e furbizia imprenditoriale che i tarantiniani raccontano se stessi, il proprio cinema e il rapporto che questo ha saputo stringere con il pubblico della propria epoca e poi con la modernità (attraverso le rielaborazioni tarantiniane per l'appunto), alcuni andando più a fondo nella descrizione del proprio lavoro e delle proprie istanze (principalmente Sergio Leone e Fernando Di Leo in interviste di repertorio), altri reiterando il proprio atteggiamento vanitoso (Tomas Milian) e altri ancora mettendo in mostra se stessi e il proprio carattere, lontano anni luce da quello del regista per come lo conosciamo oggi in Italia. Un discorso, quest'ultimo, in sè anche più interessante di qualsiasi altro possa essere fatto sui film prodotti.
Mostrando pochissime immagini dei film I tarantiniani non nasconde mai di non essere davvero un documentario sui film di serie B quanto uno su quell'industria, cioè un racconto di come si facessero le cose più che di cosa si facesse. Al di là dei singoli exploit buoni o cattivi infatti è quell'atteggiamento nei confronti della produzione filmica, molto spietato commercialmente, capace di soddisfare in pieno il grande pubblico, internazionale sebbene non raffinato e solo in sparuti casi davvero sorprendente, a costituire la vera eredità perduta di un'epoca in cui il cinema italiano funzionava come un'industria.
Il coinvolgimento di Quentin Tarantino nei contenuti, nelle interviste e nelle tematiche è davvero marginale (il titolo stesso appare commercialmente bieco al pari dei titoli dei film narrati) ma poco importa, questo documentario fortemente didattico riesce a divertire con la forza paradossale della rievocazione di lavorazioni oggi impensabili per audacia e soprattutto per la leggerezza con cui si correvano rischi produttivi. Se però tutto è trattato con una certa superficialità emerge anche molto chiaramente una chiave di lettura nella spiegazione di come il punto fondamentale di quell'era e quella produzione stesse nel rapido consumo all'interno di un sistema in cui non esisteva l'home video e nel quale di conseguenza ogni film veniva visto una volta sola. In quel mondo la reiterazione del piacere che oggi affidiamo alla replica dei film migliori era quindi affidata alla necessaria visione di un altro film che fosse quanto più possibile simile a quello che era già piaciuto. Ne esce una rinfrescante visione del cinema come qualcosa di poco conto, da fruire per un rapido piacere epidermico e da farsi senza troppe preoccupazioni.