Run & Jump

Film 2013 | Drammatico 102 min.

Regia di Steph Green. Un film con Maxine Peake, Edward MacLiam, Will Forte, Sharon Horgan, Clare Barrett. Cast completo Genere Drammatico - Irlanda, Germania, 2013, durata 102 minuti. - MYmonetro 2,55 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari.

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Ultimo aggiornamento martedì 27 agosto 2013

Selezionata come uno dei nuovi 25 volti del cinema indipendente da Filmmaker Magazine, Steph Green è nata a San Francisco e passa il suo tempo tra Los Angeles e Dublino.

Consigliato nì!
2,55/5
MYMOVIES 2,00
CRITICA
PUBBLICO 3,09
CONSIGLIATO NÌ
Drammi familiari e difficile quotidianità in un convenzionale affresco dei sentimenti figlio della tradizione britannica.
Recensione di Emanuele Sacchi
Recensione di Emanuele Sacchi

Una famiglia irlandese è irrimediabilmente scossa dal trauma conseguente all'ictus che ha colpito il capofamiglia Conor. Ritornato dopo mesi di ricovero in ospedale, non è più la stessa persona e fatica a relazionarsi nuovamente con moglie e figli. Vanetia, la moglie, deve fare appello a ogni energia residua per riuscire a gestire Conor e i problemi dei tre figli, specie di Lenny, tormentato dai coetanei per la sua omosessualità. Il neuropsichiatra Ted, ospitato in famiglia per seguire Conor e il suo ritorno alla vita, aiuta sempre più Vanetia a tirare avanti e tra i due nasce una complicità che assomiglia sempre più all'amore.
Al debutto nel lungometraggio dopo una candidatura all'Oscar per il corto New Boy, Steph Green non esita a iniettare una sensibilità al femminile in Run & Jump, scegliendo chiaramente il punto di vista di Vanetia per osservare il susseguirsi degli eventi all'interno e all'esterno della famiglia Casey; è lei a svolgere l'ingrato compito di collante tra personalità eterogenee e con vari gradi di disagio ed è quindi sempre lei a sopportare sollecitazioni e fratture tra questi. Il reset del pater familias, la perdita improvvisa del suo ruolo, secondo un modello vicino a quello di A proposito di Henry, è la causa scatenante di un reset di tutte le dinamiche interne, di un effetto domino che porta il padre ad apostrofare il figlio in pubblico come "frocio" (dando vita alle prevedibili conseguenze di un paese di provincia) come se si trattasse di un estraneo, rendendosi irriconoscibile agli occhi dei propri cari.
Inevitabile il cortocircuito in Conor, che porta a far emergere il suo lato più innocente e infantile, mutazione esemplificata dalla lavorazione di un cucchiaio di legno, da cui Conor ricava una manina con cui riprendere contatto con persone e soprattutto animali, semplici e ignari come lui. Soluzioni facili e di sicuro effetto - così come i segnali evidenti di un sentimento che sta per nascere tra Vanetia e Ted, tra una fumata di marijuana in cucina e una biciclettata in compagnia - che Green conduce nella maniera più stereotipata: ralenti e dialoghi muti, sovrastati da toccanti note di piano o brani indie-rock, giocando sul fragile equilibrio tra sentimento e melassa, forzando lo spettatore a prendere atto dello sconvolgimento emotivo. Nonostante la carta di identità reciti Stati Uniti, è evidente che la matrice di Steph Green sta nel cinema britannico di Mike Leigh e Ken Loach e nella sua preminenza riservata agli attori o alla sceneggiatura - qui ambedue di discreto livello - anziché alla regia, che fatica molto a distinguersi e brillare di luce propria.
Anche la soluzione di inserire parti riprese con una videocamera, giustificate narrativamente dal lavoro dello psicologo Ted, costituiscono un mezzo (ampiamente sfruttato in passato da Wenders ed epigoni, tra gli altri) per accentuare il lato intimo e confidenziale dell'opera e aiutarsi con una luce cruda e impietosa a sottolineare lo stato d'animo di smarrimento di Conor e le sue drammatiche conseguenze. Mezzi scolastici per arrivare a un target di media cinefilia, anestetizzato dalla forma più convenzionale di "cinema da festival".

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