Anno | 2012 |
Genere | Drammatico |
Produzione | Iraq |
Durata | 79 minuti |
Regia di | Nahid Ghobadi, Bijan Zmanpira |
MYmonetro | 2,00 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
|
Ultimo aggiornamento mercoledì 19 settembre 2012
L'alto funzionario Donyadide viene inviato in Kurdistan per risolvere una situazione che rischia di causare molte vittime.
CONSIGLIATO NÌ
|
111 ragazze curde minacciano il suicidio collettivo se il Presidente e il Governo iraniano non troveranno loro marito. Il loro è un grido disperato di aiuto che denuncia la 'scomparsa' degli uomini dai villaggi del Kurdistan iraniano. L'ufficiale governativo Donyadide è inviato in loco per investigare la situazione e trovare rimedio. Accompagnato dall'assistente Sadegie - ossessionato dall'immagine e dal ricordo di una delle giovani da salvare - e dalla guida Ahoora, il ragazzino che raccolse la lettera, Donyadide cerca di raggiungere il luogo preposto al suicidio di massa prima che sia troppo tardi - e nonostante gli assurdi e minacciosi ostacoli che gli sbarrano la via...
Codiretto dalla sorella dell'acclamato regista curdo-iraniano Bahman Ghobadi, Nahid Ghobadi - al suo esordio nel lungometraggio - e dal fotografo Bijan Zmanpira, 111 Girls è un esempio lampante di come la strada per l'inferno sia lastricata di buone intenzioni. Progetto di accorata denuncia che vuole, in maniera esplicita e persino shockante, portare all'attenzione dello spettatore la drammatica situazione del popolo curdo, e in particolare delle sue donne, il film di Ghobadi e Zmanpira cerca di smarcarsi dal reportage o dall'approccio semi-documentario esplorando tutte le possibili risorse di una ricercatezza formale che elevi la denuncia a cinema di poesia, o perlomeno di metafora. Purtroppo, tali tentativi si risolvono in una replica senza particolare ispirazione o individualità dei modi del cinema d'autore iraniano acclamato nei festival internazionali. La maniera in cui i registi inquadrano i personaggi negli spazi del brullo altipiano, i campi lunghi sull'auto che avanza nel paesaggio, le situazioni e i dialoghi virati talvolta all'assurdo, talvolta al (neo)realismo, l'uso del sonoro e del ralenti collocano quest'opera ad un ambizioso e indigesto crocevia tra il Kiarostami degli anni Novanta e le più ambiziose parabole allegoriche della Makhmalbaf factory. Con il solo risultato che lo spettatore, inondato di cliché stilistico-formali, rimane emotivamente alienato dall'enorme dramma che la sceneggiatura utilizza come pretesto narrativo. Un peccato capitale, perché così Ghobadi e Zmanpira cadono nella trappola d'indurci nel sospetto che di mero pretesto si tratti. Il valore politico di tutta l'operazione, quindi, ne viene fatalmente sminuito e compromesso.