Anno | 2011 |
Genere | Biografico |
Produzione | Francia |
Durata | 92 minuti |
Regia di | Philippe Ramos |
Attori | Clémence Poésy, Mathieu Amalric, Louis-Do de Lencquesaing, Jean-François Stévenin, Thierry Frémont Bernard Blancan. |
MYmonetro | 3,00 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento martedì 17 maggio 2011
L'ennesimo racconto storico-biografico sulla pulzella d'Orleans. Clémence Poésy interpreta Giovanna d'Arco.
CONSIGLIATO SÌ
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Anno 1430, Nord della Francia. Dopo i successi militari, Giovanna d'Arco si trova prigioniera in un castello, prima di essere venduta agli inglesi. Si lascia cadere da una torre del maniero, ma miracolosamente non muore. Viene trovata da una pastorella che pensa sia caduta dal cielo. Riportata dietro le grate, non sente più le voci divine e si chiede perché Dio l'abbia abbandonata. Decide così di rimanere muta per rispondere al silenzio divino.
«Il cinema non è una fetta di vita, è una fetta di torta» diceva Hitchcock. Contravvenendo a questa regola, Philippe Ramos racconta una parte della vita della Pulzella, che non è stata ancora considerata una fetta di torta nei tanti film su di lei. Solo Rivette l'aveva accennata, ma lui aveva a disposizione un film di quattro ore.
Ramos bypassa accuratamente tutte le battaglie per arrivare a questa lunga stasi narrativa della prigionia. La fase successiva del processo è lasciata fuori campo, in una didascalia, mentre il rogo è visto da un punto di vista terzo, da lontano, quello del mendicante attraverso il gabbiotto in cui è stato rinchiuso. Ogni paragone con Dreyer e l'imperituro volto della Falconetti, è così evitato. Invece il film ci fa vedere da vicino le ceneri della Pulzella che vengono sparse nel fiume, galleggiando fino a dissolversi nella corrente.
Ramos sembra voler fare luce su quello che finora il cinema aveva lasciato nell'ombra. E, curando personalmente la fotografia, costruisce un film che si gioca sull'alternanza di luce e ombra. Gira in location reali, castelli dai muri incrostati e coperti di muschio, in luce naturale, con un rigore kubrickiano. Gli interni sono sempre bui e illuminati solo da fonti diegetiche, spiragli che arrivano da strette finestre o candele. Queste ultime, per la verità, platealmente esibite come rimando a Barry Lyndon. E negli esterni rifiuta il pittoricismo da film di costume, optando per colori scialbi, autunnali. E parimenti gioca sul silenzio, del mare, del sole, dei paesaggi, di Dio e di Giovanna. Una dicotomia ombra/luce, silenzio/voci che sembra rispondere a un manicheismo cristiano ma che svapora nel finale, in quella specie di rito pagano che accompagna la dispersione delle ceneri. Che Giovanna fosse davvero una strega? Le uova, i ragazzi che fanno l'amore sul prato, le lumache, le bacche: il fiume scorre, la natura fa il suo corso, indifferente alle vicende, e alle miserie, degli uomini. E i personaggi del film, riprendendo ancora Barry Lyndon e il suo epitaffio finale, «buoni o cattivi, belli o brutti, ricchi o poveri ora sono tutti uguali».
Un film in costume, siamo nel 1430, e la storia parte dal momento in cui Giovanna d'arco si getta della torre dove è prigioniera. Sopravvissuta, verrà imprigionata nuovamente e venduta agli inglesi, prima di finire sul rogo. Ma quello che il regista è andato ad indagare non è tanto la vicenda storica, quanto la vicenda umana di Jeanne, e soprattutto il suo rapporto con gli uomini che incontra, comportandosi [...] Vai alla recensione »