Anno | 2009 |
Genere | Drammatico, |
Produzione | Taiwan |
Durata | 87 minuti |
Regia di | David Verbeek |
Attori | Stijn Koomen, Huan-Ru Ke, Tom De Hoog, Phi Nguyen, David Eugene Callegari . |
Distribuzione | da definire |
MYmonetro | 2,25 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento lunedì 17 maggio 2010
Un ragazzo olandese vola a Taipei per partecipare ad una finale mondiale di videogioco ma qualcosa lo turba e lo costringe al riposo. Torna così a riascoltare il proprio corpo, sul quale la mente aveva preso il sopravvento.
CONSIGLIATO NÌ
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Jitze è un giocatore professionista olandese, che gira il mondo per partecipare ai tornei di videogiochi. Durante una di queste occasioni, a Taipei, il braccio comincia a fargli male e i suoi riflessi rallentano. Il coach lo mette allora a riposo qualche giorno, prima della gran finale. È in questo periodo che approfondisce la conoscenza di Min Min, una ragazza del luogo, seguendo il suo avatar su Second Life e poi lei stessa nel suo paese di origine.
David Verbeek sceglie la sua arma, individua il suo target, ma spara alto e manca la mira. Al di là della curiosità che può suscitare la visione di come si svolgono questo genere di convention, con i ragazzini in tuta da ginnastica, i massaggi e gli allenamenti individuali e collettivi, il succo del discorso non è fresco ma inacidito e la favoletta della fata e del soldato, che ci viene proposta in computer grafica, nelle sequenze che ricreano il mondo virtuale, è a dir poco stucchevole.
Jitze ha dimenticato di avere un corpo, i suoi riflessi sono prontissimi a far fuoco sul cecchino appostato sul tetto del war game ma incapaci di chinarsi a soccorrere un ferito per strada. È dunque nella vita vera che il ragazzo è di fatto un soldatino, addestrato a percorsi precisi e obiettivi illusori, mentre Min Min è la donna che non gli farà dono del suo corpo (come, forse, fa con gli altri) ma gli salverà l'anima. Se questa sia per il protagonista una fortuna reale o un palliativo francamente non ci importa, non è ai due personaggi che chiedevamo di più (Stijn Koomen se la cava, nel ruolo dell'adolescente algido dal cuore vulnerabile) ma al film nel suo complesso. Lo script pretende di liquidarci con un messaggino discutibile e facilone e la regia s'illude di dargli profondità rubando all'Oriente e al suo cinema i lunghi silenzi e le inquadrature contemplative. Il finale, nel caso non bastasse, è una letterale, imperdonabile scorciatoia.