Anno | 2017 |
Genere | Azione |
Regia di | Ryoo Seung-wan |
Attori | Soo-an Kim, Joong-ki Song, Hwang Jung-min, Ji-seob So, Johan Karlberg Jung-hyun Lee. |
MYmonetro | 2,90 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento lunedì 30 aprile 2018
Un'isola di detenzione e lavori forzati in cui le donne coreane sono usate come strumento di piacere e gli uomini come forza lavoro per scavare nelle miniere.
CONSIGLIATO SÌ
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1945. Il musicista jazz Lee e la figlia Soo-hee cercano di fuggire da Seoul: troppe scappatelle con donne sposate e troppi giapponesi a cui obbedire. Durante il tentativo di evasione vengono intercettati dalle autorità nipponiche, che li spediscono a Hashima, detta "Battleship Island", un'isola di detenzione e lavori forzati in cui le donne coreane sono usate come strumento di piacere e gli uomini come forza lavoro per scavare nelle miniere, in condizioni disumane.
Una parabola singolare quella di Ryoo Seung-wan. Da subito identificato come uno dei capofila della hallyu sudcoreana sul finire dei 90, in seguito rimasto indietro di un passo nella considerazione generale rispetto ai grandi autori.
Troppi tarantinismi e stereotipi sono le accuse principali che venivano mosse ai suoi lavori. Fino agli anni Dieci e al suo vertice creativo: The Unjust prima, e The Berlin File poi, affermano senza equivoci lo status di Ryoo come punto di riferimento del genere action. Il ritrovato prestigio presso pubblico e critica spingono il regista verso il suo passo più ambizioso: un progetto dal budget stratosferico per raccontare, o meglio riscrivere, una pagina dolorosa della seconda guerra mondiale e della storia coreana. Tocca tuttavia ancora una volta tirare in ballo Quentin Tarantino e la tendenza a riscrivere la storia, a cui ha dato inizio il suo Bastardi senza gloria. Ryoo infatti, forzando gli avvenimenti storici, trasforma una dolorosa tragedia in un trionfo di orgoglio nazionalista, che culmina in un'insurrezione anti-giapponese mai verificatasi con simili proporzioni. Nell'impeto epico, da cui il cinema mainstream sudcoreano in genere, e Ryoo in particolare, non riescono a sottrarsi, ogni azione viene evidenziata e sovraccaricata a livello interpretativo e visivo. Con tanto di recupero de L'estasi dell'oro di Ennio Morricone - già in Il buono, il brutto, il cattivo - durante la sequenza dell'arrampicata che conduce alla libertà dai giapponesi. L'epilogo diviene così dominio di retorica spesa a fiumi - plongée sulla bandiera giapponese divisa in due - e violenza a profusione, "giustificata" - così sembra far capire l'autore - dall'atto bellico.
Un traditore viene spezzato in due a mani nude, un ufficiale giapponese bruciato e decapitato, quasi si trattasse più dell'applicazione del codice di Hammurabi che di un semplice atto di resistenza. I giapponesi, divise urlanti dedite esclusivamente ad efferatezze, sono maschere di puro male, più simili ai nazisti di Indiana Jones che a quelli di Schindler's List. Difficile scorgere in loro qualcosa di creibile, che agevoli lo spettatore a calarsi nella ricostruzione (fanta)storica. A fianco di Hwang Jung-min, attore feticcio del regista e gigionesco musicista jazz che diviene scaltro eroe nell'insurrezione, c'è il talento emergente di Kim Soo-ahn, già bambina sopravvissuta all'invasione di zombi in Train to Busan.