Felicità

Tommy ha undici anni e due genitori non comuni. Il padre, di cui si scoprirà il recente passato, si diverte a raccontarle storie inventate che la coinvolgono per il puro piacere di vederla cadere nei tranelli. La madre fa le pulizie per un'agenzia ma è comunque un lavoro precario. Tommy, il mattino seguente, vorrebbe tornare a scuola, dopo le vacanze estive, entrando in orario, cosa che non avviene quasi mai.

Una giornata, una notte e il mattino dopo nella vita di un padre e una madre che conoscono la canzone di Al Bano e Romina Power e sembrano convinti di poter trasmettere questa condizione di serenità a una figlia che li osserva dall'alto dei suoi 11 anni con una perplessità ormai connaturata al suo sguardo.

Robert Bresson un giorno ha fatto una valutazione che resta tuttora molto significativa. Ha detto: "Il cinema sonoro ha inventato il silenzio". Bruno Merle fa tesoro di questo pensiero nel suo film e di tanto in tanto fa indossare a Tommy delle cuffie isolanti che sottraggono il suono non solo al personaggio ma anche allo spettatore. È in quell'isolamento acustico che comprendiamo quanto la bambina soffra per avere dei genitori che a volte sembrano essere cresciuti meno di lei. I suoi bisogni, ora che è entrata nella fase della pubertà, sono quelli di un riconoscimento sociale nel gruppo dei pari e anche di un minimo d'ordine rappresentato dall'esigenza di arrivare in orario il giorno in cui riapre l'anno scolastico.

La sceneggiatura le mette poi a disposizione uno strano amico immaginario inserito in una tuta da astronauta. Sarà lui, in un momento critico, ad esplicitarle il concetto di sliding doors chiarendole che la vita è costellata da momenti in cui si è posti dinanzi a un bivio e la scelta che si andrà a fare potrà portare ad esiti diversi.

Tentare di sfuggire ad una felicità artefatta in cui la menzogna giocosa non sempre rimane solamente tale potrebbe essere l'obiettivo di Tommy in una commedia che si gioca su più registri trovando nella figlia del regista l'interprete ideale. 