Howard Hawks (Howard Winchester Hawks) è un attore statunitense, regista, produttore, co-sceneggiatore, è nato il 30 maggio 1896 a Goshen, Indiana (USA) ed è morto il 26 dicembre 1977 all'età di 81 anni a Palm Springs, California (USA).
Crebbe in una ricca famiglia dell'Indiana. Avviato agli studi di ingegneria meccanica, li interruppe nel 1917 per entrare nel mondo del cinema come attrezzista. Durante la Grande Guerra si arruolò nell'aviazione e in seguito si arrangiò come esperto di aerei e con una serie di lavoretti dei generi più disparati prima di approdare a Hollywood. Anche negli studios californiani vagò per un po' di anni senza un compito fisso (ora aiuto-regista, ora soggettista, ora sceneggiatore) tanto che soltanto nel 1926 ebbe l'opportunità di cimentarsi nella regia.
La sua carriera durò 44 anni, durante i quali rimase sempre nei solchi della tradizione hollywoodiana: fu uno dei principali registi di genere che contribuirono nell'anonimato ad edificare la complessa struttura architettonica del cinema di Hollywood. Senza mai strafare, nascondendosi dietro le convenzioni di un cinema popolare, sviluppò una produzione decisamente eterogenea, che nel complesso assume la portata di un colossale affresco. Maestro tanto del film bellico quanto del musical, tanto del film d'avventura quanto del giallo, tanto del film di gangster quanto del western, Hawks passò in rassegna tutti gli aspetti della vita americana degli ultimi due secoli. L'eroe anonimo dei suoi film è in pratica una trasposizione di se stesso, pioniere di tecniche cinematografiche che saranno il pane delle generazioni successive, degno continuatore dell'opera di Griffith.
Il suo stile lineare ed essenziale, avulso da velleità artistiche, volutamente castigato, impresse un segno inconfondibile a tutti i generi: Hawks preferiva riprendere l'azione da angolazioni naturali, mimetizzare il montaggio, scegliere sempre il tipo di narrazione più immediata, privilegiando l'azione e il dialogo. I film di Hawks ritraggono fedelmente il volto dell'America: la frenesia dei dialoghi (soprattutto nelle commedie), i riferimenti alla velocità (gli aerei e le auto da corsa), i cambiamenti repentini di situazione, riproducono il marasma del progresso così come il cinismo, la violenza, l'egocentrismo, la spregiudicatezza, l'ambizione dei suoi eroi ritraggono l'arrivismo americano. Uno dei maggiori cineasti di Hollywood in mezzo secolo di attività ha attraversato con successo tutti i generi del cinema: l'avventura con La squadriglia dell'aurora (1930) e Avventurieri dell'aria (1939); il western con gli indimenticabili Il fiume rosso (1948) e Un dollaro d'onore (1959); il gangster con lo straordinario Scarface (1932); il genere leggero-satira di costume con Ventesimo secolo (1934), Susanna (1938), Il magnifico scherzo (1953), il poliziesco con Il grande sonno (1946).
Howard Hawks è morto il 26 dicembre 1977 a Palm Springs, in California.
Entrò nel cinema dopo aver preso parte, come aviatore, alla prima guerra mondiale. Soggettista e poi assistente alla regìa, divenne regista nel 1924, e nel decennio 1930-40 si impose come uno degli autori meglio capaci di conciliare il divismo e le esigenze commerciali di Hollywood con una personalità e un talento spiccato di narratore attento alla realtà contemporanea. Versatilissimo, Hawks lasciò traccia di sè in tutti i generi del cinema americano. Nel gangster legò il suo nome a un indiscusso capolavoro, Scarface, la biografia di Al Capone interpretata nel 1932, da Paul Muni. La sophisticated comedy si arricchì con Ventesimo secolo, 1934, di una satira elegante quanto appuntita. Il western fu visto da Hawks, assai abilmente, nei tre diversi aspetti che corrispondono ad altrettante versioni successivamente di moda: epico e corale (Il fiume rosso, 1948), individualistico e romantico (il grande cielo, 1952), prosaico e parodistico (Un dollaro d'onore, 1959). Nel 1944 con la coppia Humphrey Bogart - Lauren Bacali ridusse per lo schermo Avere e non avere di Hemingway, ma il film - Acque del sud - risultò inferiore a quello quasi contemporaneo che dal romanzo aveva ricavato Michael Curtiz (Golfo del Messico, con John Garfield). Due anni dopo guidò la stessa coppia in Il grande sonno, dal romanzo di Raymond Chandler, e realizzò un eccellente film "nero". Un capitolo a parte nell'ambito dei film di Hawks fu costituito da quelli d'ambiente aeronautico, nei quali portò l'autenticità di un'esperienza diretta: Gli avventurieri dell'aria fu, nel 1939, il migliore film che si conosca sui pionieri dell'aviazione civile. Dopo la seconda guerra mondiale Hawks passò dai temi realistici, avventurosi, pionieristici (e da quelli, talora, nazionalistico - patriottici: Il sergente York, 1941) a quelli della commedia, in precedenza soltanto sfiorati, e diresse Marilyn Monroe in Il magnifico scherzo, 1953 e Gli uomini preferiscono le bionde, 1954.
Gli uomini preferiscono le bionde è caratteristico della maniera di Howard Hawks anche se, ad un esame superficiale, il film appare di ordinaria amministrazione. Per così dire il maestro di Scarface si è nascosto nelle pieghe del racconto; e solo a una attenta rilettura Gentlemen Prefer Blondes rivela il suo vero significato. Per classificarlo in maniera conveniente bisogna ricordare il momento in cui è stato girato: regnando a Hollywood un completo smarrimento in seguito alla crisi provocata da una parte dalla TV e dall’altra dai ritrovati tecnici (3D, Cinemascope, Cinerama) che stanno disorientando il pubblico e di conseguenza la produzione, Hawks ha preso il blando romanzetto della Loos, ormai fuori chiave perché le «cercatrici d’oro» di oggi sono ben diverse da quelle del 1928, ne ha accettato in parte la trascrizione musicale e ne ha fatto un’altra cosa.
In apparenza si tratta di una innocua commedia, i cui personaggi sono tanto «esagerati» da perdere ogni contatto con la realtà, sfuggendo così alle proteste dei virtuosi. Collocando tutto il racconto in un’ aura da rivista illustrata, tutta risolta a colori vivaci, e giocando abilmente sugli opposti valori figurativi rappresentati dalla bionda Marilyn Monroe e dalla bruna Jane Russell, Hawks ha composto una pellicola che se ha poco da spartire con l’arte è una preziosa rivelazione del costume. Qualcosa di simile aveva già fatto Charles Vidor con Gilda: ma qui il giuoco è più forte, meno univoco, più duttile ed anche più intenso. Marilyn è una bella ragazza tutta curve, «pneumatica», e con niente cervello; Jane Russell, la bruna longilinea, ha un volto da contadina che sa quel che vuole e una bocca crudele. È lei che all’epilogo, si badi bene con la parrucca bionda, conduce una danza sfrenata che rivela il significato ultimo del film. È qui che Hawks, tenutosi nascosto sino ad allora, mostra il piede caprino: e l’opera, sia pure a un grado minore, si allinea piena di senso tra le altre fatiche del maestro.
Indifferenza di fronte alle cose dure della vita, coscienza della legge della giungla, di quel tanto di sadico e di crudele che persiste nel fondo del cuore degli esseri più civilizzati: questo il mondo di Hawks. Di fronte ai registi colti venuti dall’Europa, come Sjöström, come Von Stroheim, come Feyder, come Lubitsch, come Murnau, persuasi come sono di essere solo abili «artigiani», sprovvisti di un «messaggio», dei tipi come John Ford e Howard Hawks se ne stanno quieti, paghi al «business» regolare. Essi non si sarebbero mai sognati di fare i capricci come von Sternberg e von Stroheim, quei bizzarri stranieri non sprovvisti peraltro di ingegno; e guardavano con una certa perplessità all’«emballement» europeo per il collega King Vidor e, più tardi, per Capra. Reduce dalla prima guerra mondiale, dopo buoni studi universitari e il solito tirocinio, Howard Hawks dà il primo gran colpo con A Giri in Every Port (Capitan Barbablù, 1928). Era la storia di due marinai bulli, il manesco, grossolano Victor Mac Laglen e un bel «tenebroso», molto in voga in quegli anni, Edmund Lowe; come spiega il titolo, essi avevano una ragazza in ogni porto.
Regolarmente il povero Mac Laglen veniva berteggiato da Edmund Lowe, che infine gli portava via anche Louise Brooks. A Giri in Every Port piacque perché era fresco, picaresco, avventuroso senza enfasi, e perché aveva caratteri disegnati con un senso umoristico e anche abbastanza credibili. Meno perfetto nell’insieme, ma più malinconico e originale, era Dawn Patrol (La squadriglia dell’aurora, 1930). Ne era interprete uno dei più singolari attori del muto, Richard Barthelmess: un giovanotto non troppo alto, dal collo corto, con occhi patetici, diventato celebre dieci anni prima come interprete del famoso Broken Biossom (Giglio infranto, 1919) di Griffith: Hawks si ricorderà ancora di Barthelmess nove anni dopo, per un altro film d’aviazione, Only Angel Have Wings (Solo gli angeli hanno le ali), che per curiosa coincidenza avrà il compito di lanciare definitivamente Rita Hayworth. Una singolarità di Dawn Patrol era questa: forse per distinguere il proprio dai diluvianti film sulla guerra 1914-18 Hawks fece il film senza donne. Il sesso era già una cosa importante nelle ricette hollywoodiane; ma, per una volta tanto, l’audacia passò. Era una pellicola seria. Aviatore, Hawks si serviva di suggestioni e di ricordi precisi. Per nostro conto ricordiamo uno squarcio stupendo: un aeroplano si avventurava in una pericolosa missione guidandosi sui binari della ferrovia. Forse Rossellini s’è ricordato di tale squarcio per le scene analoghe che si trovano in Un pilota ritorna (1942).
Due anni dopo si situa il primo assoluto capolavoro di Hawks, Scarface, cioè il film al quale, sino ad oggi, si raccomanda soprattutto la fama del nostro. Per le note ragioni Scarface venne presentato solo cinque anni orsono sugli schermi italiani: e malgrado alcuni difetti tecnici nei riguardi della cinematografia d’oggi, fece agli spettatori una incancellabile impressione. La violenza, il sangue, la ferocia, erano le poco amabili Muse che ispiravano l’opera; ma Hawks, magicamente servito da Paul Muni, ne aveva riscattato il fondo lutulento sia ricorrendo al rapido susseguirsi delle emozioni, sia ricercando e trovando barlumi della comune umanità nel sanguinano protagonista. Scarface, pur tenendo il dovuto conto di certe difficoltà di lettura, rappresenta un punto fermo nella storia del cinema come arte.
Fu un risultato cospicuo, un capolavoro che evidentemente non nacque per caso. È in Scarface che appaiono quelle qualità romantiche di Hawks cui si accennava al principio di questa nota: un film così serrato ed essenziale, chiuso e concreto, scevro di qualsiasi sbavatura, è il frutto di un’ispirazione artistica coeva alle ottime espressioni letterarie del tempo, da Hemingway a Scott Fitzgerald, a Dashiell Hammett. Per Twenthieth Century (Ventesimo secolo, 1934) il discorso vuol essere semplice. Si è nella meravigliosa (ma quanto labile...) corrente delle commedie cinematografiche che ci deliziarono allora. Una corrente che pareva copiosa, un filone di trovate esilaranti, di dialoghi spiritosi, di situazioni lepide, di grovigli comicamente aberranti, che pareva eterno e che invece si è esaurito bruscamente. In Twentieth Century ricompare il regista di A Girl in Every Port, indicibilmente servito dalla coppia più geniale d’allora: il duo Carole Lombard-John Barrymore.
Come già era avvenuto per A Girl in Every Port, Hawks risolse la vicenda come puro racconto, una storia di gente estrosa e stravagante, narrata con stile impeccabile, secondo una scienza rigorosa della causalità e degli effetti. Il direttissimo, dal quale il film prendeva il suo titolo, camminava alla stessa velocità della schermaglia amorosa dei due istrioni. Con la differenza che mentre il treno di lusso filava su rotaie prestabilite, il litigio dei protagonisti dispiegava le sue volubili forme con offensive, riposi e ritirate imprevedute. Poi, nella perfetta osservanza delle regole del giuoco, assistevamo al trionfo dell’istrione più forte. Nel 1940 cade un’altra bella commedia, His Girl Friday (La signora del venerdì), che però non è che il rifacimento del celebre Front Page di Lewis Milestone. His Giri Friday è un film strutturalmente perfetto, servito da attori eccellenti (Cary Grant e Rosalind Russell), ma per poterne parlare con sicurezza sarebbe opportuno paragonarlo col suo archetipo, mai venuto in Italia.
Non ci dilungheremo né su The Big Sleep (Il grande sonno, 1947) né su Red River (Il fiume rosso, 1949). Il primo è un film stupendo, pieno di vigoria, di energia spregiudicata, da mettere accanto, sebbene un gradino più giù, a Scarface. È una versione raddolcita, meno impegnata e giocata più liberamente, su temi pressoché uguali: la implacabile e implacata lotta, per la vita, il dispregio per ogni metafisica, e soprattutto il desiderio, onesto e virile, di scrutare a fondo ogni verità, anche la più ripugnante, cercando attraverso la trasfigurazione artistica di darle un significato. Più tranquillo e su un argomento una volta tanto privo di fondi cittadineschi, Red River chiaramente si rivelava un «western» non come gli altri. Sempre tenendo fermi i punti alti raggiunti da Hawks, resta in noi lo stupore per una somma di risultati, per una fantasia, per uno stile sino ad ora, che noi si sappia, non valutati nel loro completo significato. Si è oggi inclini, nella critica, a tener poco conto di registi che non amano far troppo baccano e che sembrano scevri di una problematica sociale. È un grosso errore, anche se i tempi risultano poco favorevoli ai narratori cinematografici più attenti alla lezione di Stendhal che a quella degli acchiappanuvole.