Dustin Hoffman (Dustin Lee Hoffman) è un attore statunitense, regista, doppiatore vers. originale, produttore, è nato il 8 agosto 1937 a Los Angeles, California (USA). Al cinema il 16 ottobre 2024 con il film Megalopolis. Dustin Hoffman ha oggi 87 anni ed è del segno zodiacale Leone.
Assicura che l’unica risposta decente che abbia mai dato era rivolta al giornalista che gli chiese se si considerava un uomo sicuro di se stesso: “Quando arrivo a una via con due sensi di marcia guardo in entrambe le direzioni. Un uomo sicuro di sé guarderebbe soltanto nella direzione in cui scorre il traffico”. Dustin Hoffman cerca tutti i modi per togliere importanza alle sue interpretazioni e preferisce rispondere alle domande della stampa raccontando storie dopo storie, con la facilità di parola che lo caratterizza. A differenza di molti famosi che si presentano con la lezione imparata a memoria e offrono le stesse risposte in tutte le interviste, Hoffman potrebbe trascorrere venti minuti rispondendo a una sola domanda. “Fermami quando vuoi”, avverte, consapevole che il tempo preme. “Non posso evitarlo, non so come dare una risposta in due righe. Mi piacerebbe che qualcuno mi chiedesse: “Come ti senti?”, e io fossi capace di limitarmi a rispondere: “Bene””.
In America è da poco uscito La Giuria, film in cui Hoffman recita al fianco di John Cusak e Gene Hackman. Disposto a correre rischi, Hoffman si è sempre distinto per la scelta dei lavori e non ha mai accettato un ruolo senza esserne molto convinto. “La parte meravigliosa di una interpretazione è la fase preliminare, quando crei il personaggio”, assicura. “Per Rain man ho lavorato due anni e mezzo. Ho letto tutto sull’autismo e sulla sindrome di Down, ho incontrato tanti genitori, ho visitato ospedali. Quando io sono entrato nell’Actor’s Studio di Lee Strasberg, la migliore scuola per attori di allora, c’erano molti grandi interpreti, ma tutti abbiamo imparato che devi dare il tuo contributo individuale al personaggio e che, quanto più lo arricchirai, più interessante e naturale sarà. Non appena lo guardi dalla tua prospettiva, il personaggio smette di essere uno stereotipo”.
Hoffman è incapace di ripetere la stessa identica scena due volte, si caratterizza per avere un immenso talento durante le riprese, ed è persino arrivato a interpretare la stessa scena in dodici varianti diverse. Smentisce la fama di difficile sul lavoro, che considera una invenzione della stampa (“Quando una certa cosa viene ripetuta tre volte diventa vera. Sarebbe meglio chiedere ai registi con cui ho lavorato”), e considera necessario condividere i film con attori più giovani, perché in questo modo può avvicinarsi a un pubblico che non andrebbe mai a vedere i suoi film. “Indubbiamente mi sono accorto che ogni volta ci sono meno ruoli adatti a me, eppure non mi sento vecchio. Sto invecchiando, ma cosa potrei fare, fingere che non sia vero? Ho sessantasei anni e per fortuna ho ancora i brufoli, segno che nel mio corpo circola ancora il testosterone. Ho sempre odiato i punti neri, ma adesso quando ne scopro uno gli dico: “Rimani con me””.
Dustin Hoffinan è nato a Los Angeles l’8 agosto 1937, e rimane alcune settimane in ospedale; nel frattempo la madre sceglie il nome di battesimo leggendo un articolo su Dustin Farnum, attore del cinema muto. Sogna di studiare musica (“Volevo fare il pianista, la musica è sempre stata una grande fonte di ispirazione”), ma poi sceglie la recitazione e comincia a frequentare il Teatro di Pasadena, assieme a Gene Hackman.
Dopo il trasferimento a NewYork lavora in alcune serie televisive, poi gli offrono una parte nella commedia di Broadway Yes is for a very yuong man. “Non ho più quella stessa ambizione”, ricorda ora. “Credo di iniziare a vedere la fine del tunnel. Tutti abbiamo mostri idoli, i miei sono quegli attori, scrittori e registi che con la loro vita hanno contribuito a modificare la vita degli altri consentendoci di far parte del loro lavoro”.
Sposato da oltre vent’anni a Lisa Gottsegen, Dustin assicura che quando è in famiglia è l’uomo più fèlice del mondo. Ha sei figli nati da due matrimoni diversi e vive dedicato a questa singolare troupe. “Per me non c’è niente di più interessante che trascorrere il tempo con i miei bambini. La mia vita personale sono i miei figli, e avendone sei diciamo che ho molta vita personale”. Il divorzio dalla prima moglie avvenne durante le riprese di Kramer contro Kramer “Devo ammettere che è stato il film che mi ha toccato di più. Ricordo di aver detto al regista che non avevo mai letto un copione così vicino al mio cuore”. Hoffman assicura che il divorzio è stato uno dei periodi più dolorosi della sua vita: “Mi sono sposato a trentun anni credendo che sarebbe durato tutta la vita, ma nonostante l’amore che sentivamo l’uno verso l’altra non potevamo continuare insieme. Non c’è nulla di peggio, e ti rivolti contro l’altro perché soffri e senti di stare letteralmente perdendo parte di te stesso, soprattutto perché ci sono bambini di mezzo”.
Il secondo matrimonio è andato meglio e oggi Hoffman ha anche un nipotino: “Credo di essere un uomo a cui piace la compagnia femminile, ma non parlo dal punto di vista sessuale. Mi piace parlare con le donne, mi piace la maniera in cui pensano, come sanno vivere ogni momento, mentre a noi uomini costa molto andare avanti giorno dopo giorno”. Un debole, questo per il sesso femminile dimostrato dalla magistrale interpretazione di Tootsie: “Quando lo stavo girando ho ricevuto due buoni consigli: se parli a bassa voce si udirà un certo modo di respirare. Inoltre gli uomini finisco-noie frasi con una intonazione grave, mentre le donne parlano sempre come se facessero delle domande”.
A sessantasei anni ha visto realizzarsi tutte le aspettative che aveva nel 1967, quando debuttò sul grande schermo con Il laureato: “L’industria del cinema è molto cambiata, adesso ci sono soltanto pochi attori in grado di trovare i soldi necessari per fare un film, come Julia Roberts e Tom Cruise. Sono un gruppo selezionato di star che lanciano i film, ovvero che fanno riempire le sale il fine settimana della prima, e oggi questa è la cosa che conta”.
Politicamente scorretto, Dustin Hoffinan ha preso una posizione netta contro la guerra in Iraq mentre tutta Hollywood agitava lo spettro di una lista nera: “Sono stato accusato di approfittare della mia celebrità ma non facevo altro che esprimere una opinione durante la promozione del film Confidence. Non avevo alcuna intenzione di fare propaganda politica. Mi hanno fatto domande sul personaggio, sulla mia vita privata e sulla politica e ho risposto senza ripetere frasi preconfezionate. Sono libero di scegliere da che parte stare. Avrei potuto dire che non avevo una opinione o pretendere che le domande si limitassero al film, ma ho detto come la pensavo. Provo tuttora una forte preoccupazione per il controllo che viene esercitato sulla nostra informazione”.
Da La Stampa, 29 novembre 2003
A settant'anni, l'attore non accetta il viale del tramonto. E viene a patti con gli studios. Che gli fanno dare voce proprio a un panda in un cartone. Eppure il doppiaggio è sempre stato la sua bestia nera. Tanto da avergli fatto perdere la parte in «La città delle donne».
Il festival di Cannes Dustin Hoffman, 71 anni ad agosto, è arrivato con il lussuoso cast di doppiatori del cartone Kung Fu Panda. Ha adempiuto, dignitoso e frastornato, ai doveri promozionali imposti dalla major Dreamworks. Ha sfilato tra giganteschi panda di pezza, presenziato ai party a base di involtini primavera, partecipato a conferenze in cui l'attenzione era catalizzata dalle tecniche di parto scelte da Angelina Jolie, futura madre.
Dopo un difficile periodo di esilio volontario, qualche anno fa Hoffman ha capito che non voleva essere l'antidivo laureato, la star del cinema dei Seventies, ma un professionista ancora in attività. Ha abbassato le richieste e il cachet, ha limitato le critiche alle sceneggiature e ai registi e ha continuato a lavorare. Così lo abbiamo trovato, vagamente rassegnato, su un divano di un salottino dell'Hotel Carlton adeguatamente refrigerato (luì è fissato con le basse temperature) per un incontro «tra esseri umani» che, dice lui, «faccia respirare il pensiero». Speriamo.
Hoffman, trentaquattro anni fa lei era a Cannes con Lenny, oggi con Kung Fu Panda. Una bella differenza.
«La nostra è una cultura in decadenza e non solo per quel che riguarda il cinema. Se il signor Jeffrey Katzenberg ti chiama al telefono per un ruolo in un cartone che rappresenta il meglio dell'animazione esistente oggi, dici di sì».
In Italia il film sarà doppiato, che vedremo di lei senza la voce?
«In realtà non c'è solo la mia voce in Shifu, questo piccolo panda rosso, collerico, impaziente, autoritario maestro di arti marziali. Ci sarà anche la mia recitazione. Sa, all'inizio del film ti mettono da solo in una stanza, e ti riprendono con una telecamera. Poi trasferiscono la tua gestualità, la tua mimica facciale, nel personaggio. Che resterà di me? Io non mi sono mai rassegnato a recitare con la voce di un altro, anche se per fortuna da voi è quella del meraviglioso Giancarlo Giannini. Quando l'ho incontrato gli ho detto: "Grazie di esistere"».
Avesse avuto meno problemi con il doppiaggio, il suo rapporto con il cinema italiano sarebbe stato diverso. E pensare che era partita bene...
«Sì, quando Pietro Germi mi offrì di partecipare al suo Finché divorzio non ci separi, il film che poi sarebbe diventato Alfredo Alfredo, ero felice. Ho un ricordo sfocato del nostro primo incontro: l'immagine di me in spiaggia, in costume e di lui, in giacca, sudato e nervoso. Ma io consideravo il suo Divorzio all'italiana un capolavoro. Misi solo una clausola sul contratto: che con i soldi del mio ingaggio la produzione pagasse un coach per me, volevo recitare in italiano. Germi strinse la promessa e io ci diedi dentro con le lezioni. Poi, quattro giorni prima del set, arrivò nella camera d'albergo e mi disse che se non avessi recitato in inglese i distributori americani non avrebbero preso il film. Ci restai male. Era buffo, Germi, parlava in continuazione durante i ciak: "bustino, fai big eyes! ", mi diceva».
Al suo fianco c'erano Stefania Sandrelli e Carla Gravina.
«Con Stefania lavorare era divertente, ma la ricordo un po' bambina. Carla, invece, divenne una mia cara amica, insieme al suo fidanzato, quel vostro attore eccezionale: Gian Maria Volonté, sì. Ho sempre amato le donne più intelligenti di me e spiritose. Mia moglie è così e siamo sposati da quasi trent'anni».
Alfredo Alfredo non fu la sua prima produzione italiana.
II mio primo film da protagonista, prima del Laureato, fu una coproduzione italo-spagnola, Un dollaro per sette vigliacchi, di Giorgio Gentili. M'ingannarono, allora. Io venivo dall'Off Broadway, non sapevo niente di cinema. Mi parlarono di un film sul modello di Rocco e i suoi fratelli, sul set avremmo improvvisato. Arrivato a Madrid mi accorsi che tutti nel cast, io, Elsa Martinelli e Cesar Romero, parlavamo lingue diverse. E poi, durante le riprese, i tecnici chiacchieravano in continuazione, si sentiva perfino una ruspa in azione. Dei giorni a Madrid ricordo la mia piccola stanza al Richmond, le notti trascorse a camminare per strada: Stranger in the Night di Sinatra era la hit di allora, gli spagnoli si mettevano l'impermeabile, il cappellaccio e giravano canticchiando Extranjero en la nuche...».
Poi è andata meglio, con gli italiani.
«Mi voleva anche Fellini. Ed è fil mio più grande rimpianto. Mi aveva offerto il ruolo che poi fu di Mastroianni in La città delle donne. Ma io gli chiesi se sarei stato doppiato e lui mi rispose: "Certo, come sempre nei miei film". Rinunciai. Era un genio e avrei dovuto essere sul set con lui, anche a pronunciare numeri al posto delle parole. Del resto, ho detto no due volte a Ingmar Bergman e tre a Steven Spielberg. Ho fatto tanti sbagli».
Ha detto no anche a Scorsese...
«Non sapevo chi fosse, allora, e non avevo visto Mean Street. Ero reduce dal Laureato, assurto al ruolo di star. Il mio agente mi disse: c'è questo regista fuori dall'ufficio che ti vuole parlare, non so chi sia. Scorsese entrò ed era molto nervoso. "Vorrei fare questo film, Taxi driver, tu sei nel taxi e poi...». Chiesi se avesse una sceneggiatura con sé: "No, ho tutto in testa", e continuò a descrivere. Parlava a raffica, gesticolava agitato e continuava a usare l'apparecchietto per (asma. Avrei dovuto capire che era un artista, invece non mi fidai».
Il perfezionismo sul lavoro le ha dato una fama da incubo. Inveceper De Niro èconsiderato una qualità. Come mai?
«Anche De Niro ha avuto le sue critiche. Prima dell'Oscar per Toro scatenato erano tutti n a questionare sulla sua preparazione esagerata Come se a Michelangelo, che ci mise quattro anni a fare la Cappella Sistina, gli emissari papali ogni tre mesi fossero stati lì a dire: hai finito con quei fottuti affreschi?
Io mi sono fatto la fama di attore difficile, è vero. Ho combattuto sui set, ho fatto e subito scenate con Meryl Streep sul set di Kramer contro Kramer, ho litigato con Sydney Pollack per il trucco di Tootsie. Ma poi avete visto i risultati..».
Lei si è auto esiliato per un po'. E poi?
«L'età fa una grande differenza. Dopo II laureato io ero un giovane attore-star buono per tutti i ruoli da protagonista. Avevo il controllo su ogni cosa: regia, sceneggiatura, budget. Ma questo privilegio, andando avanti nel tempo, non regge più, perché l'imbuto si restringe e rischi di non lavorare. Cosa che mi è successa e che mi ha fatto soffrire. Allora ho dato retta a mia moglie: accetta di partecipare a un progetto creativo senza questionare troppo, mi ha detto. L'ho fatto. Ma oggi a un attore agli inizi consiglierei di puntare sul cinema indipendente».
Altro?
Di non mollare, combattere, almeno finché sei giovane. Gli inizi carriera per me, Gene Hackman e Robert Duvall sono stati difficili. Dividevamo un monolocale a New York e ricevevamo valanghe di rifiuti da Broadway. C'erano attori con più talento di noi che, però, non sono stati capaci di reggere Io ho anche esagerato: mi ustionai le mani alla vigilia di un lavoro teatrale importante, mi fasciai da solo e mi presentai in scena. Rischiai di morire per la setticemia, fui ricoverato tre settimane e il regista mi sostituì».
Altri tempi. Negli ultimi quarant'anni Hollywood è cambiata parecchio.
«Eccome. Negli anni Settanta c'erano solo sei studios e si facevano film come Tutti gli uomini del presidente e Il laureato. Mica li produrrebbero, oggi. Ormai quelle storie scomode le fanno solo gli indipendenti: le realizzano, ma poi non riescono a farle vedere, perché non hanno distribuzione. Le major, invece, pensano solo ai blockbuster, ai costi e agli incassi dei primi tre fine settimana Il cinema è un prodotto, come lo sport. In qualunque campo tu lavori, se vuoi fare qualcosa di nuovo, devi uscire dalle grandi società, devi andare fuori dal sistema, muoverti nell'underground».
Quali sono gli attori-star di oggi?
«Johnny Depp. Per anni è stato ben attento alla trappola della star, ma I pirati dei Caraibi hanno sabotato i suoi piani. Voglio bene a Toni Cruise dal primo momento in cui ho messo piede sul set di Rain Man L'uomo della pioggia. Le cose all'inizio andavano male, l'ho difeso, incoraggiato, spinto a improvvisare e il risultato si è visto. So che attraversa un momento buio, ma la nostra carriera è fatta di up and down. E poi mi piace Daniel Craig, il nuovo James Bond. Ha il ruolo che avrei voluto interpretare io e non mi è mai stato offerto. Ha saputo ribaltare il mito di 007: un seduttore seriale, un assassino senza rimorsi e coscienza. Avrei voluto mostrarlo in tutto il suo lato oscuro. Lo ha fatto Craig».
De Niro, Eastwood, grandi attori della sua generazione, oggi fanno i registi. E lei?
È l'ultimo dei miei demoni, la regia. Da anni ho i diritti per portare al cinema il libro di Scott Turow, Lesioni personali. Non trovando i soldi dalle major, penso mi butterò con gli indipendenti. Racconta di un avvocato di successo e corrotto. È un seduttore incallito, la moglie sta morendo. Per scoprire i complici e costringerlo a collaborare, l'Fbi gli affianca una bella assistente con la quale inizia un affaire amoroso. Non consumato, però, perché lei è lesbica. Non c'è niente che mi affascina come le dinamiche uomo-donna: se tu rimuovi la componente sessuale, che succede all'intimità? A volte può diventare più profonda».
E vero che è stato proprio (interesse per le dinamiche uomo-donna a spingerla a fare l'attore?
«Ero un ragazzo basso, pieno di acne e con il nasone. Sono sempre stato il più piccolo a scuola, un outsider. Le ragazze dicevano che ero carino, ma dopo la pubertà non è un complimento. Arrivato all'Actor's d'improvviso sono diventato interessante: mi chiedevano di provare scene con loro, anche d'amore. E alcune erano modelle. Un paradiso. Dentro sono rimasto sempre insicuro. Mi dicono spesso: "Deve essere stato difficile interpretare Ratzo Rizzo in Un uomo da marciapiede. Macché, Ratzo ero io. Sono sempre stato io, in tutti i miei personaggi: Kramer contro Kramer l'ho girato mentre stavo per divorziare dalla mia prima moglie. Uno dei periodi più dolorosi della vita».
Lei parlava di decadenza culturale. Ma non è che, per il resto, gli Stati Uniti siano in piena forma. È la crisi politica che determina questa depressione generalizzata?
«Soprattutto, direi. Ma da questo punto di vista, dopo molti anni, sono finalmente ottimista. Per via di Obama, ovviamente. McCaine è chiaramente un segnale di continuità rispetto a Bush, un governo incubo per noi cittadini americani, un governo che fa urlare molti noi al mondo: noi non siamo così. E invece Barack Obama è quello che vorremmo essere. Vede, io in politica sono cinico, non a caso ho fatto due film come Tutti gli uomini del presidente e Sesso e potere. Ma Obama è diverso. Mi ricorda John Kennedy per l'amore che il Paese prova per lui. E mi ricorda anche me stesso. Nel senso che io ho provato a essere una stella, ma anche un artista. Non è scontato. Obama viaggia sul terreno ostile della politica, ma i suo finanziamenti non arrivano dalle multinazionali, arrivano da Internet. E questo lo renderà meno ricattabile, meno parte del sistema».
Già respinte tre volte dall'attore, due publicists americane irrompono decise nella conversazione. Bisogna avviarsi al nuovo tour con i fotografi, i panda giganti attendono Mr. Hoffman. Che d'improvviso, per commiato, regala una barzelletta: «Due tizi. Uno osserva: dovrebbero creare un viagra per le donne. E l'altro: esiste già, si chiama denaro. Non male, è?». Gli occhi ora scintillano, l'ultima immagine prima che il piccolo grande uomo in completo beige sparisca dietro la porta.
Da Il Venerdì di Repubblica, 13 giugno 2008
Due volte premio Oscar e sette volte nominato alla statuetta, Dustin Hoffman, la cui presenza a Hollywood ha contribuito a dare nuova linfa al mondo del cinema, continua ad arricchire la sua carriera con performance varie e interpretazioni di personaggi che hanno cancellato il confine che un tempo divideva il caratterista dal protagonista.
Hoffman si è imposto al grande pubblico con il ruolo di Benjamin Braddock nel film premio Oscar di Mike Nichols, Il laureato. Da allora è stato nominato ad altri sei Oscar per i film Un uomo da marciapiede, Lenny, Tootsie (un film che Hoffman ha anche prodotto con la sua società Punch Productions) e Sesso e Potere. Nel 1979 Hoffman ha vinto l’Oscar per il suo ruolo in Kramer contro Kramer e di nuovo nel 1988 per Rain Man -L’uomo della pioggia.
Hoffman apparirà presto in Last Chance Harvey della Overture Films, una storia d’amore ambientata a Londra, scritta e diretta da Joel Hopkins e interpretata anche da Emma Thompson.
Hoffman è stato sentito di recente come la voce di Shifu nel film campione d’incassi della DreamWorks Kung Fu Panda, con Jack Black, Angelina Jolie, Lucy Liu e Ian McShane. Kung Fu Panda è uscito nelle sale americane il 6 giugno 2008 e ha incassato circa 600 milioni di dollari in tutto il mondo.
I suoi altri crediti cinematografici comprendono: Mr Magorium e la bottega delle meraviglie, Vero come la finzione, Profumo - Storia di un assassino, Neverland - Un sogno per la vita, Le strane coincidenze della vita, The Lost City, Striscia: una zebra alla riscossa, La giuria, Piccolo Grande Uomo, Cane di Paglia, Papillon, Tutti gli uomini del presidente, Il maratoneta, Vigilato speciale, Il segreto di Agatha Christie, Ishtar, Dick Tracy, A scuola di gangster, Assalto alla notizia, Eroe per caso, Sleepers, Sfera, American Buffalo, Capitan Uncino e Virus letale.
La carriera teatrale di Hoffman è ugualmente ricca e varia. Il suo primo ruolo su un palcoscenico risale alla produzione del Sarah Lawrence College di Yes Is For A Very Young Man di Gertrude Stein. Questa performance lo ha condotto nei teatri off-Broadway, dove ha recitato in The Journey of the Fifth Horse che gli è valso l’Obie Award e in Eh?, per cui ha vinto il Drama Desk Vernon Rice Award come Migliore Attore. I suoi successi teatrali hanno catturato l’attenzione di Mike Nichols, che lo ha scritturato per Il laureato. Nel 1968, Hoffman ha debuttato a Broadway in Jimmy Shine di Murray Schisgal e nel 1974 ha diretto il suo primo spettacolo teatrale a Broadway, All Over Town di Schisgal. Nel 1984 l’attore ha ricevuto un Drama Desk Award come Migliore Attore per il suo ritratto di Willy Loman nel revival di Broadway di Morte di un commesso viaggiatore da lui anche prodotto. Oltre ad aver recitato nella produzione di Broadway, Hoffman ha interpretato una versione speciale trasmessa in TV che gli è valsa l’Emmy Award. Hoffman ha inoltre ricevuto una nomination al Tony Award per il suo ruolo di Shylock in Il Mercante di Venezia, che ha ripreso dopo le numerose repliche sul palcoscenico londinese.
In veste di produttore, Hoffman ha curato il film di Tony Goldwyn Complice la luna con Diane Lane, Viggo Mortensen, Liev Schreiber e Anna Paquin. E’ stato inoltre produttore esecutivo di Il volto del male che ha vinto due Emmy.
Hoffman è nato a Los Angeles e ha frequentato il Santa Monica College. In seguito ha frequentato la Pasadena Playhouse, prima di trasferirsi a New York per studiare con Lee Strasberg.
Hoffman è il presidente del consiglio d’amministrazione artistico del neocostruito The Broad Stage, che ha aperto il 20 settembre 2008. Questo intimo e modernissimo teatro di 499 posti era un luogo necessario per spettacoli per il Santa Monica College e la comunità che vive nei dintorni.