
Non più madrina ma conduttrice: perché l'attrice e autrice romana è il volto giusto per il cambiamento di ruolo in una Venezia che vuole leggerezza e ironia.
di Fabio Secchi Frau
Lei lo ha annunciato così su Instagram: «Ebbene sì, sarò io la conduttrice dell’82esima Mostra del Cinema di Venezia. A quanto ho capito, da quest’anno il ruolo non si chiamerà più “madrina” forse perché, scegliendo me, temevano potessi approfittare del gancio per accompagnare la notizia con “disponibile anche per battesimi e cresime”. Spiace, un’occasione d’avanguardia umoristica mancata. Ringrazio di cuore la Biennale per la fiducia, sarà un onore essere con voi».
Il consueto umorismo di Emanuela Fanelli che scherza sul cambio di terminologia del ruolo che le è stato affidato, da "madrina" a "conduttrice", perché nuovo Festival di Venezia e nuovo nome di un ruolo prestigioso sospeso tra cinema e moda. Così ha voluto il direttore artistico della Mostra, Alberto Barbera, che ha spiegato che «da diversi anni, ormai, non usiamo più il termine "madrina" e parliamo di "conduzione" della cerimonia di apertura e chiusura. Rivoluzioneremo la cerimonia di apertura per renderla un po’ meno ingessata». Uno switch linguistico che non è sicuramente passato inosservato e che riflette la necessità di sancire ufficialmente un'evoluzione già in atto.
Fu proprio Barbera, nel 1999, a reintrodurne la figura, incaricata di aprire e chiudere la manifestazione, scegliendo Anna Galiena per rappresentare l'evento in modo istituzionale, accogliendo gli ospiti e partecipando alle cerimonie ufficiali. Tuttavia, nel tempo, la direzione ha avvertito una pulsione al rinnovamento di questa presenza, andando oltre i canoni estetici, i generi (ampliando il ventaglio di rappresentanza) e i compiti formali e, soprattutto, sviluppando una figura selezionata non più solo per sorriso fotogenico e abilità nell'illuminare il red carpet con abiti da sogno, ma per essere voce, pensiero e presenza fisica di una delle celebrazioni più importanti della Settima Arte mondiale.
La componente glamour non scompare, sia chiaro. Essa resta parte integrante dell'anima della Biennale. Ma si aggiorna e dialoga con lo Spirito del Presente, riflettendo una realtà che cambia anche ai livelli più simbolici, perché «le parole sono importanti», come diceva qualcuno che è sempre stato molto attento alla lingua italiana. Ma forse, più che dialogare con lo Spirito del Presente, Emanuela Fanelli lo farà ridere! Difficile pensare che sul palco della Sala Grande del Palazzo del Cinema l'attrice, autrice e comica romana, classe 1986, non faccia qualche battuta che vada nel punto giusto.
Con un'adolescenza passata a recitare in teatro e un lavoro da maestra d'asilo alle spalle (esperienza che lei ha definito fondamentale per la sua crescita personale e professionale), la Fanelli ha iniziato a giocare con il cinema nel 2015, quando Claudio Caligari la scelse per Non essere cattivo, nei panni di una delle fragili donne che ruotavano attorno al mondo disilluso e marginale dei due protagonisti maschili. Un personaggio che lei ha descritto ironicamente come «la prima smandrappata» della sua carriera. Da lì in poi, con uno stile unico nel miscelare falsa autenticità e ironia, ha invaso radio ("610" con Lillo e Greg), musica (era nei videoclip "Immigrato" di Checco Zalone e in "Tutta" di Daniele Silvestri) e, soprattutto, televisione, segnando un punto di svolta come co-conduttrice del programma cult "Una pezza di Lundini", al fianco di Valerio Lundini, tra sketch surreali, monologhi punteggiati e gag diventate virali.
Un divertissement grottesco e originale che l'ha resa improvvisamente un riferimento della comicità italiana più irriverente e che ha poi trasportato anche nella dimensione telefilmica con la sua Luana Pericoli, attrice nevrotica e narcisista, nonché figura tragicomica di Call My Agent (dove fa scintille in ogni scena divisa con Corrado Guzzanti, col quale aveva già lavorato anni prima in "Dov'è Mario?") e con l'altrettanto sopra le righe Perri, la giovane centralinista della polizia di No Activity - Niente da segnalare controparte della più rigida Carla Signoris.
Molto amata dal pubblico, voce ormai riconoscibilissima e volto estremamente comunicativo, non poteva che spaziare con naturalezza tra commedia e dramma anche nel cinema (Assolo, Beata ignoranza, La casa di famiglia (guarda la video recensione), A mano disarmata, Brave ragazze (guarda la video recensione)), che si è impregnato della sua cadenza romanaccia, reso parte integrante di alcune delle sue più eccellenti caratterizzazioni.
Premio Manfredi ai Nastri d'Argento e vincitrice di due David di Donatello come miglior attrice non protagonista per Siccità (2022) di Paolo Virzì e C'è ancora domani (2023), sguscia da una insicura e derisa Raffaella in una Capitale distopica, arida e allo stremo, che è l'unica che non riesce a fingere di stare bene in un mondo che crolla, alla schietta e complice Marisa, fruttivendola degli Anni Quaranta e migliore amica della Delia di Paola Cortellesi (già colleghe dai tempi di Gli ultimi saranno ultimi, 2015), che incarna sorellanza e solidarietà femminile in un contesto patriarcale.
A chiudere, la demoralizzata, rancorosa e incattivita Daniela di Un altro Ferragosto (2024), ancora diretta da Virzì, abbandonata da un uomo con un figlio piccolo da crescere da sola e con un monologo di rara e perfetta ironia amara in tasca ("Stamo a morì e noi andiamo in giro a salvare le balene... Ma chi se le incula le balene?", pronunciato fra le lacrime di commozione), nonché la personificazione dell'Eros in FolleMente (2025) di Paolo Genovese, dove è una sorta di sensuale e comica Dea dell'Amore, che smonta le pesantezze degli altri elementi della personalità della protagonsita con battute fulminanti e una presenza scenica magnetica... «più cazzarona che panterona» (come ha detto lei stessa) e si allinea al suo reciproco maschile interpretato da Claudio Santamaria.
Ed eccola dunque sbarcare al Lido di Venezia come "madrina 2.0/conduttrice 1.0", in un ruolo narrativo che sappiamo già sarà scritto di suo pugno e che sarà rappresentativo di una nuova generazione.
Ultima di ben ventidue madrine che l'hanno preceduta e due padrini (Alessandro Borghi nel 2017 e Michele Riondino nel 2018), eredita un ruolo che dalla Galiena è passato a Chiara Caselli, Stefania Rocca, Alessandra Martines, Claudia Gerini, Ines Sastre solo per citare le prime. E poi una splendida Isabella Ferrari, l'eterna ragazza Ambra Angiolini, Ksenia Rappoport, la misurata Maria Grazia Cucinotta, fino all'educatissima padrona di casa Anna Foglietta (che bacchettò con garbo l'enfant terrible Pietro Castellitto, vincitore del Premio Orizzonti con I predatori, per alcune frasi troppo pungenti nel discorso di ringraziamento) e all'ultima anfitriona, Sveva Alviti.
Con Emanuela Fanelli arriva il cambio radicale di paradigma. La conduttrice che, sperano tutti (Barbera compreso), sarà fuori dagli schemi e che porterà in dote una voce autoriale surreale e, allo stesso tempo, sofisticata. L'attesa per la cerimonia di apertura del Festival di Venezia, mercoledì 27 agosto, si fa quindi altissima. Poi la rivedremo alla chiusura, sabato 6 settembre, con l'annuncio del Leone d'Oro e gli altri premi ufficiali, elevando in leggerezza una Mostra che forse saprà finalmente ridere di se stessa, riuscendo a essere popolare e impegnata nello stesso tempo, capace di parlare a tutti i presenti senza rinunciare alla propria complessità e alla fluida molteplicità delle sue tante voci.
E chissà che tra quelle voci non si riesca a sentirla, mentre approfitta di un grande palcoscenico vuoto, per interpretare la sua eroina musicale, la prostituta Consolazione di "Aggiungi un posto a tavola", che andò a vedere a soli quattro anni con la nonna e il cui ritornello nella canzone di presentazione ("Consolazione? Me la chiedi? Te la do") suscitava grande imbarazzo della madre, perché la Fanelli bambina la cantava andando in giro per le eterne vie di Roma.