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Favolacce, un double act che non manca mai di lasciare il segno

Il film ha inaugurato la piattaforma #iorestoinsala preceduto dalla presentazione LIVE dei due registi, i fratelli D’Innocenzo.
di Tommaso Tocci

martedì 26 maggio 2020 - Focus

Un grande impatto all’ultimo Festival di Berlino, culminato nel premio per la Miglior Sceneggiatura, un successo costruito sulle promesse del loro esordio (La terra dell’abbastanza) e ora un percorso in sala annunciato ma dirottato online a causa dell’emergenza sanitaria. I fratelli D’Innocenzo - scrittori, registi e personaggi del nuovo cinema italiano - accompagnano l’uscita del film che li consacra con una presentazione in diretta, questa sera dalle 20.00, moderati da Paolo Mereghetti, prima della proiezione del loro ultimo lavoro alle 20.30 nell’ambito del lancio della nuova piattaforma #iorestoinsala su cui il film sarà visibile.

Per certi versi non poteva essere altrimenti, dato che il profilo dei due gemelli è inestricabile dal film stesso, con la mitologia dell’uno costruita in modo non meno complesso di quella degli altri.


Favolacce è la storia di un’estate avvelenata che appiccica il malessere esistenziale sulla pelle lucida dei suoi personaggi, un collettivo di famiglie piccolo borghesi intrappolate nei loro villini a schiera alla periferia di Roma.
Tommaso Tocci, MYmovies.it

La terra dell’abbastanza, nel suo manierismo quasi rispettoso, trattava luoghi del reale, duri e storicizzati. Con Favolacce, il salto più grande e più riuscito dei D’Innocenzo è invece nell’astrazione di un luogo indefinibile, in cui si ritrova la satira sociale e asfissiante del più grande analista della suburbia americana, Todd Solondz, così come un remix di tante coordinate del cinema italiano, quelle nate per commedia negli anni Sessanta e finite nel grottesco negli anni Settanta, come a sfumare ciò che siamo soliti dare per scontato in termini di classe, territorio, alto e basso, indagine antropologica.

Potrebbe essere, quella dei D’Innocenzo, un’Italia popolare in versione alternativa, cronaca di un paese che in passato ha imboccato dei binari diversi. Al tempo stesso è intimamente riconoscibile, e anzi a volte sembra voler rendere complice lo spettatore della miseria che mette in scena. D’altronde lo schema è quello della favola, della dimensione altra, allegorica. Più che “c’era una volta”, poteva e potrà esserci.

La storia di queste famiglie, capeggiate dal padre incerto e irascibile di Elio Germano, è filtrata da un narratore, come ne Il nastro bianco di Haneke, che omette e sorvola; le loro piccole e grandi meschinità sono spiate ad altezza bambino dai loro figli, che assorbono e respingono; oppure sono distanziate dall’inquadratura aerea, che le omologa e forse le perdona.

La sfida più ardita di Favolacce è proprio quella di decidere quali sono i frutti della sua satira, da chi e per chi è stata scritta, come quel manoscritto volutamente nebuloso che dà il via alla storia. Ci si può limitare all’accusa di questi “mostri” contemporanei? Quando la macchina da presa di Paolo Carnera si alza a guardarli, lo fa con empatia o con facile disprezzo?

Ai D’Innocenzo il compito di dirimere la questione, portando il loro “double act” - che non manca mai di lasciare il segno - nei salotti italiani mentre questi provano a vestirsi da cinema con le iniziative di #iorestoinsala. È già un mondo diverso rispetto a quello di febbraio, nel quale il film si è presentato al pubblico per la prima volta. La sua autopsia pressurizzata della realtà domestica, che sembra recintata da una barriera molto più minacciosa dei cespugli che corrono attorno alle villette, ha già cambiato significato ma continuerà a stimolare domande nel suo pubblico.


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