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ONDA&FUORIONDA

Rudy Valentino Story.
di Pino Farinotti

Rodolfo Valentino e Gabriel Garko a confronto.
Gabriel Garko (Dario Oliviero) (52 anni) 12 luglio 1972, Torino (Italia) - Cancro.

domenica 20 aprile 2014 - Focus

La fiction di Canale 5 su Rodolfo Valentino mi offre lo spunto per ri-visitare quel mito a tanta distanza e coglierne le ragioni. Partendo dall'assunto che quel fenomeno, per potenza, sortilegio e anche mistero, non è mai più stato eguagliato.

Scott Fitzgerald comincia con queste parole il suo ultimo romanzo, rimasto incompiuto, "Gli ultimi fuochi": "Pur non essendo mai apparsa sullo schermo, sono cresciuta nel mondo del cinema. Rodolfo Valentino venne al ricevimento offerto quando compii cinque anni, o così mi hanno detto."
In Viale del tramonto Billy Wilder fa dire a Gloria Swanson, la vecchia diva del muto: "Il cinema non c'è più, dov'è un Rudy Valentino?" La citazione proviene da due giganti, il più grande scrittore americano del novecento e uno dei massimi maestri del cinema del mondo. Il "nome" è sempre Valentino. Gli sponsor sono davvero autorevoli, fanno testo. Le due legittimazioni sono le più nobili possibili. Eppure non sarebbero mancate alternative, un Chaplin per esempio, oppure Douglas Fairbanks, o John Gilbert. Fitzgerald, magnifico, accreditato interprete della cultura e della società americana, dedica dunque il primo nome di un suo romanzo a Valentino. Il dato è importante. Va anche rilevato, ed è suggestivo, magari "complice", che Valentino e Fitzgerald erano pressoché coetanei. L'"italiano" era nato nel 1895 -guarda caso quando nacque il cinema- lo scrittore era di un anno più giovane. In quell'epoca degli albori i divi non mancavano, ma Valentino oltrepassò quella definizione, divenne un "dio". Un unicum, un modello che non si sarebbe mai ripetuto nei decenni. Mai come nel suo caso vale il termine "leggenda". Ce ne sono le manifestazioni, le prove. Nessuno, per esempio ha mai avuto due funerali. Lui ebbe un doppio corteo, a New York, dov'era morto e a Los Angeles. È vero che si registrarono, in quel giorno, una trentina di suicidi, tutti femminili, certamente "connessi". E ci fu una fan, aggressiva, delirante, che cercò di aprirgli i pantaloni, per "vedere" finalmente.

Appeal maschile
Ma che cosa possedeva Valentino, più di tutti gli altri? Orson Welles diede una volta una definizione del divismo, dell'appeal maschile. Disse che gli aspetti erano due, uno, prevalente, era semplicemente l'erotismo, il sesso, la capacità di suggerire fantasie al pubblico femminile. I nomi erano Taylor, Cooper, Gable, Brando e Newman. L'altro apparteneva a grandi attori senza erotismo visibile, che invece suggerivano al pubblico maschile la cosiddetta identificazione, come uno Stewart, o un Tracy. Valentino era il supereroe del sesso. Lo era nei film e lo era stato nella vita. È vero che le donne, giovani e meno giovani, cominciarono a infilarsi nel suo letto da quando era ancora Rodolfo Guglielmi, in quel di Castellaneta, Puglia, e continuarono poi a Parigi, nella Little Italy a New York e poi a Hollywood - Los Angeles, California.
L'incanto magico stava, si diceva, nei suoi occhi: quelle iridi che erano come fiamme scure. E poi i ruoli di eroe, e l'italianità secondo tradizione, il famoso latin lover. E va detto che il destino lo aiutò nel mito, facendolo morire a soli trentun anni, perché si sa che "muor giovane chi è caro agli dei". Anche se la ragione non fu eroica, un attacco di peritonite. Confesso di aver sempre visto Valentino solo in sequenze, spezzoni. Così ho scovato nella mia videoteca un titolo, Sangue e arena, e l'ho visto, e studiato, per intero. Partendo dall'abnorme pregiudizio della sua leggenda. Ho cercato di scovare, definire, interpretare quel sortilegio. Cosa c'era di così diverso in quell'uomo. Certo c'erano degli ottimi fondamentali: era bello e proporzionato, anche atletico, alto un metro e ottanta. Volto italiano ma buono per il mondo. Capelli scuri tirati indietro. E poi gli occhi. In quell'epoca i primissimi piani erano un'eccezione. Quando Valentino fa il suo ingresso in scena postura, gesto, espressione generale non sono quelle dei suoi colleghi di allora, sempre a rilanciare movimenti, delle mani, del corpo, a sbarrare gli occhi, così come esigeva il "muto". Valentino, e forse è questa una delle peculiarità, non eccede mai, la sua azione è naturale, probabilmente perché bastava la sua presenza, normalmente statica. Sorride, stringe le mani, chiacchiera con gli amici. Ma quando entra in scena una donna ecco che il regista (Niblo in quel film) corre sul volto in primo piano e sullo sguardo. E la donna è immediatamente fulminata. Da quel momento nel suo mondo esisterà solo Valentino. E dunque il cinema trasferiva fascino ed erotismo nelle fantasie della spettatrici. Il cinema lo sapeva fare, era nato per quello.

Nei film
Nei film Valentino è stato più volte rappresentato. C'è un titolo del 1951, con tale Anthony Dexter. Voglio ricordare anche Franco Nero, che possedeva davvero qualcosa dell'originale. E poi Mastroianni nel musicale Ciao Rudy. A ancora Gene Wilder nel grottesco Il più grande amatore del mondo. Infine Rudolf Nureyev, diretto da Ken Russell, dove il divo veniva dissacrato e si ammiccava alla sua omosessualità. Che comunque sembra davvero improbabile. Gabriel Garko, su Mediaset, è corretto nella parte. È certo uomo di ottimo appeal. Sovrasta il vero Rudy di dieci centimetri e di una ventina di chili, ma esegue con applicazione il compito. La fiction non mi ha ... emozionato. Un paio di rilievi: la dolce contessina sedotta nel prato dal ragazzo Rodolfo, nel momento dell'estasi afferra un ciuffo d'erba e lo strappa. Poi dice all'amato: diventerai ...una star. Siamo in Puglia, negli anni dieci. La leggenda, come sempre accade, stravolge la verità delle cose. Rudy sarà sempre quella divinità. Ma sembra che Guglielmi si emancipasse dal ruolo dell'emigrante. Esiste una canzone "Kashmiri Love Song", cantata da lui, e senti che ci mette qualcosa di profondo. Sembra che fosse un uomo colto e che scrivesse poesie non banali.
Anche Rodolfo Gugliemi andrebbe ri-visitato.

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