Enfant prodige del cinema balcanico, Danis Tanovi fu travolto al suo debutto da ovazioni e premi dopo il folgorante No Man's Land, storia di due uomini sul confine del nulla che 'devono' odiarsi ma faticano a ricordarsi perché. Dodici anni e tre film dopo, presenta alla Berlinale An Episode in the Life of an Iron Picker, ricostruzione di una vicenda realmente accaduta in un comune bosniaco, dove una donna Rom è oggetto di discriminazione e abbandonata al suo destino perché sprovvista di denaro e assicurazione sanitaria.

Recuperando la perfezione narrativa dell'esordio, dopo essersi perso cercando per il suo cinema nuovi equilibri, Tanovi 'mette a punto' il suo Paese vent'anni dopo il drammatico conflitto degli anni Novanta. La sua giovane ma piena filmografia sembra muoversi lungo una linea temporale che comprende sempre e comunque la sua terra colta prima (Cirkus Columbia), durante (No Man's Land) e dopo (An Episode in the Life of an Iron Picker) la guerra dei Balcani, a cui guarda con feroce ironia e rassegnata umanità. Perché all'autore bosniaco non importa sapere chi ha iniziato o cos'è successo dentro una guerra in cui tutti sono vittime anche quando si atteggiano a carnefici, a Tanovi interessa piuttosto realizzare un apologo sull'assurdità della guerra e di una guerra dove i nemici parlano la stessa lingua. Con sguardo tragicomico scava una trincea in mezzo alla follia, una zona franca dell'anima in cui precipita e confronta i protagonisti di No Man's Land, favorendo il confronto e il privilegio del libero arbitrio. Mentre la sua gente cerca fuori e dentro di sé la forza e la volontà di tornare a vivere insieme, Tanovi sperimenta un cinema altro e batte territori nuovi.

Fuori confine realizza L'enfer, dramma di tre sorelle consumate da una colpa originaria e ispirato a una trilogia (inferno-purgatorio-paradiso) ideata da Krzysztof Kielowski. Del regista polacco, omaggiato con la citazione dell'insetto nel bicchiere (Decalogo) e con i 'tre colori' attribuiti alle tre protagoniste, gli manca il senso e la cruda incombenza del destino, stemperata da un'ironia balcanica, nascosta ma operativa dietro ad ogni fotogramma e a tutto il dolore del mondo. Film europeo d'autore, L'enfer è preceduto dall'episodio del film collettivo 11 settembre 2001, in cui Danis Tanovi rappresenta con le donne di Srebrenica la Bosnia-Erzegovina. Girato nel 2002, il film ha pagato il prezzo della prossimità trovando solo nel frammento diretto da Sean Penn la giusta distanza tra l'immagine cinematografica e l'immagine dell'evento. Tanovi da par suo nella martyria di tutte coloro che hanno lottato per affermare il proprio diritto di essere donne e di essere libere, pagando con la violenza o con la morte, coglie l'idea e realizza un episodio basato sulle donne di una città della Bosnia-Erzegovina dove ogni undici del mese, alle quattro del pomeriggio, mamme, mogli, figlie e sorelle si raccolgono nella piazza per testimoniare l'eccidio del 1995 compiuto dalle truppe serbo-bosniache del generale Ratko Mladi. L'inferno francese incarnato da Emmanuelle Béart, Marie Gillain e Karin Viard è 'inseguito' e aggiornato da Triage, che documenta gli scontri tra l'Iraq di Saddam e la popolazione. Indeciso se essere dramma bellico o thriller psicologico, Triage è almeno nella prima parte e su 'campo' una riflessione sulla presunta moralità dello sguardo, quello di un fotoreporter di guerra che non chiude mai l'obiettivo, nemmeno sull'orrore, e di un medico demiurgo che decide chi curare e chi eliminare con un colpo di pistola alla testa. Storie semplici le sue e insieme complicatissime, ambientate in un mondo che troppe volte non lascia scelta e che troppo spesso è terra di nessuno.