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Come rivoltare i generi dall'interno

Intervista a Bong Joon-ho, regista che ha saputo unire l'analisi alla spettacolarità.
di Emanuele Sacchi

Il regista coreano Bong Joon-ho davanti alla locandina del suo ultimo film, Mother (2009).
Bong Joon-ho (54 anni) 14 settembre 1969, Daegu (Corea del sud) - Vergine. Regista del film Madre.

martedì 29 marzo 2011 - Incontri

La cornice è quella del Korea Film Fest di Firenze, giunto alla nona edizione senza ricorrere a clamori, ma con la dedizione di chi anno dopo anno si ostina a proporre quanto di nuovo (e di meno nuovo ma altrettanto importante) propone una delle cinematografie più vitali al mondo. Il cinema coreano non è più quello sconcertante per qualità e quantità di inizio millennio, ma negli anni ha consolidato autori che ormai costituiscono il vanto dei festival più blasonati; festival che combattono fino all'ultimo per accaparrarsi i loro film. Si parla dei vari Lee Chang-dong (Poetry), Im Sang-soo (The President's Last Bang), ma soprattutto di Bong Joon-ho, che con soli quattro film all'attivo (Barking Dogs Never Bite, Memories of Murder, The Host, Mother) ha sconvolto i generi, unendo attitudine dissacrante e cura per il lato spettacolare con una profondità di analisi sconcertante sul rimosso coreano, sulle ferite tuttora sanguinanti di una storia travagliata. Il Korea Film Festival dedica a Bong una retrospettiva completa, comprensiva – prima in Italia in questo senso – dei rarissimi cortometraggi d'esordio e di Tokyo!, film a episodi che vede Bong in compagnia di altre due teste matte come Michel Gondry e Leos Carax.

A cavallo tra i due millenni la Corea ha rivelato al mondo una fucina di talenti nuovi: Park Chan-wook, Lee Chang-dong e naturalmente lei, per non citarne che alcuni. Da allora, con le nuove politiche sui contributi statali, le condizioni sono cambiate radicalmente a livello produttivo. In Corea è più difficile fare film senza condizionamenti? Quindi è più difficile che si ripeta una stagione così felice?
"Fino a metà degli anni '90 – spiega Bong Joon-ho – i problemi più grossi per girare film erano di tipo politico. Andando avanti, non si tratta più esattamente di una questione politica, bensì del fatto che le grosse corporation hanno in mano tutto. Registi come me o come Park ormai non hanno di questi problemi, mentre registi giovani e di talento oggi hanno sicuramente delle difficoltà in più nell'esprimersi liberamente, per via delle ingerenze di questi sponsor. Non ci sono dei grandi produttori che possano seguire questi talenti; ci vorrebbe qualcuno che protegga questi artisti, come un mecenate, affinché il loro talento venga sviluppato".

Partendo a ritroso, ovvero dall'ultimo film, Mother è un film di tale solennità, basato su degli archetipi così forti, da ricordare una tragedia greca classica. La Madre – personaggio non a caso senza nome – è una figura senza tempo, che in una delle scene iniziali vediamo alle prese con il taglio del grano. Come fosse capace di dare la vita e quindi anche di toglierla...
"Può darsi che l'immagine possa essere tradotta così, è un'interpretazione possibile. Quando scrivo sceneggiature simbolismi di questo tipo emergono spontaneamente, non sono necessariamente voluti o calcolati per suscitare un determinato effetto. Poi quando rimonto il film mi accorgo che le persone potrebbero leggerle in un certo modo e colgo anch'io questa possibile chiave di lettura. A quel punto, quando me ne rendo conto, ritorno su quelle sequenze e le rielaboro in tal senso".

Spesso le famiglie illustrate nei suoi film sono "mutilate": ad esempio in The Host in entrambe le famiglie manca la figura materna, in Mother è del tutto assente la figura paterna. Come mai questa tendenza a ritrarre famiglie monche?
"In The Host ho fatto sparire appositamente le madri per rendere l'idea di una, anzi di due, famiglie distrutte: privandole della madre, le privavo del loro ruolo centrale. Avendo rimosso due madri, nel film successivo, per rifarmi, dovevo necessariamente dedicarmi per due ore a una madre... (risate, nda). A parte gli scherzi, in Mother al contrario volevo che la figura paterna fosse completamente assente, per concentrarmi su uno strano e complesso rapporto tra madre e figlio".

Memories of Murder e The Host sono due film apparentemente molto diversi: un thriller e un film di fantascienza con un mostro godzillesco. Questo fermandosi alla prima chiave di lettura; in verità in Memories a emergere come elemento più importante è il ruolo della polizia, che preferisce perseguire i nemici politici anziché cercare il colpevole degli omicidi, come in The Host ad essere più scioccanti del mostro sono la gestione governativa del disastro, generato – non a caso – da esperimenti americani...
"Come prima a proposito dei simbolismi di Mother, non si trattava esattamente del mio intento originario, ma mi rendo conto che questo sottotesto può apparire invece evidente e coerente in una lettura politica della cosa".

È curioso che i due film più importanti sugli hikikomori, fenomeno tipicamente giapponese (riferito a individui che scelgono di isolarsi e di rifuggire il contatto con altri esseri umani, nda), siano coreani anziché nipponici: il suo episodio di Tokyo! e il recente Castaway on the Moon di Lee Hae-jun (vincitore al Far East Film Festival di Udine del 2010 e presente anche al Korea Film Fest 2011). Come si spiega questo fatto?
"Come parola e come significato hikikomori è indubbiamente un termine inventato e diffuso in Giappone, ma penso che si tratti di un fenomeno presente in qualche maniera in tutti i paesi. Il Giappone è un paese vicino e ho avuto la possibilità di indagare il fenomeno attentamente. Il luogo comune vuole che i giapponesi siano una razza fredda e tendenzialmente solitaria a livello sociale, che può portarla in casi estremi al rifiuto del contatto umano, come nel caso degli hikikomori".

Song Kang-ho è presente in quasi tutti i suoi film e se ormai è una star lo si deve anche a lei. Come funziona l'intesa speciale con Song?
"Song è un attore straordinario, è meticoloso fino a livelli maniacali e interagisce spesso con il regista per plasmare il suo personaggio. Nel caso di The Host il suo lavoro di interazione con un mostro interamente realizzato in computer graphics è davvero straordinario. Poi in generale tra gli attori prediligo quelli con una preparazione teatrale, come lo stesso Song Kang-ho".

Cosa pensa di come viene percepito all'estero il cinema coreano?
"Penso che il cinema coreano parli di emozioni, parli al cuore e come tale dovrebbe essere recepito da tutti in egual misura. Sono abbastanza soddisfatto di come sia stato recepito nel mondo il mio cinema. Parlando dell'Italia nello specifico, le somiglianze tra coreani e italiani sono davvero enormi e credo che qui possiate comprendere il cinema coreano meglio che in Francia o in Inghilterra".

Se dovesse indicare un ispiratore, un'influenza del passato, su chi ricadrebbe la scelta? E se dovesse indicare un film o un regista italiano preferito?
"La mia principale influenza del passato è Kim Ki-young, autore di The Housemaid nel 1960, film con cui ha davvero contribuito a formare l'estetica e l'etica del cinema coreano: un capolavoro fondativo per la nostra cinematografia, che non a caso quest'anno è stato ripreso da Im Sang-soo. Se Kim Ki-young fosse nato in Europa, oggi verrebbe studiato nelle scuole; invece è vissuto in Corea e per di più in anni particolarmente difficili per poter esprimere la propria arte. Quanto all'Italia, dovendo indicare qualche nome, direi Fellini ovviamente; trovo 8 e mezzo un film magico, straordinario. Tra i film italiani più recenti mi è capitato di imbattermi in Buongiorno, notte di Bellocchio: non ho capito perfettamente la storia ma l'ho trovato di grande impatto".

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