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La Passione secondo Carlo Mazzacurati

Da Notte italiana a La passione, Mazzacurati alla Mostra.
di Luisa Ceretto

Crisi creativa di un "giovane" regista cinquantenne
Carlo Mazzacurati 3 marzo 1956, Padova (Italia) - 22 Gennaio 2014, Padova (Italia). Regista del film La passione.

sabato 4 settembre 2010 - Incontri

Crisi creativa di un "giovane" regista cinquantenne
Quest'anno, in occasione della sessantasettesima edizione della mostra veneziana, Carlo Mazzacurati è presente con tre film: il suo esordio, Notte italiana, programmato nella sezione "Settimana della Critica", il documentario Sei Venezia, che verrà proiettato nei prossimi giorni e, naturalmente, con La passione, mostrato oggi in concorso. La pellicola racconta la crisi creativa di un "giovane" regista cinquantenne, Gianni Dubois, una ex promessa della settima arte, alle prese con un film interpretato da una star televisiva. Per evitare una denuncia, Gianni dovrà accettare la bizzarra proposta del sindaco del paese: dirigere la sacra rappresentazione del venerdì santo, in cambio dell'impunità...

Ci può parlare di come è nato il film, se la necessità narrativa di questa storia è originata anche da un'interferenza personale...
Mazzacurati: Non bisognerebbe svelare quel che si fa in cucina quando si prepara un buon piatto, per cui, non dirò molto. Rispetto alla trama del film e a quel che succede al mio protagonista, in parte mi è accaduto una cosa analoga; da quella esperienza, infatti, è nato un racconto orale di una vicenda tragicomica. Si trattava di una sventura che mi è capitata, che mai avrei pensato potesse divenire un film, fino a quando, dopo avere aggiunto un po' di "balle" per renderla più accattivante, un amico mi ha convinto che la storia avrebbe potuto funzionare.
E così, per la prima volta, ho ripensato a quell'evento da un'angolatura diversa ed ho cominciato a lavorare con i miei sceneggiatori, Doriana e Marco. Andando avanti nel lavoro di stesura del film, ci siamo accorti che la storia era come una spugna che assorbiva materiale interessante... Un altro aspetto importante che vorrei evidenziare è che non si tratta di un film che medita in modo esistenziale sul mestiere del regista, come invece accade per certi titoli della storia cinematografica, e non solo nostra. E' un film che forse parla più della paura e del panico, dell'attimo di vuoto, di quando si perde l'ispirazione o semplicemente di quando un giorno, una mattina, davanti alla troupe, non sai assolutamente cosa dire perché hai un blocco. E' la storia di un blocco e dello sblocco. Poi, evidentemente, ci sono dentro molte altre cose.

Far ridere, nell'Italia odierna, sta divenendo sempre più difficile...
Il problema è che, e non dico nulla di nuovo, credo sia una percezione che abbiamo tutti. Siamo arrivati ad un punto per cui, come dire, gli eventi e la parodia di questi eventi si sono talmente mischiati tra loro, per cui si ride per non piangere e a volte si piange, per non ridere. Questo è lo scenario. Però in realtà noi ci siamo posti in maniera molto semplice, abbiamo cercato di costruire un racconto con onestà, con una certa linearità per cui, quello che siamo riusciti più o meno consapevolmente a raccontare del nostro paese è entrato nella pellicola...

Il film consente una riflessione sulla difficoltà lavorativa per un artista. Come la vede la situazione italiana, oggi?
Penso a chi è giovane e comincia il mestiere del cineasta e dico che in questo paese è molto difficile. C'è un'attenzione secondo me un po' eccessiva nel voler prevedere quale sarà il risultato e nel calcolarlo. Credo che per lavorare nel cinema, sia necessario rischiare, che ci si debba buttare. La libertà e il coraggio sono semi fondamentali per la riuscita. Secondo me, ultimamente, si lavora troppo con obiettivi.

Ci può parlare del rapporto con la sacralità, con la religione...
Il mio film è profondamente laico, c'è una coincidenza, una sovrapposizione di destini, diciamo tra quello di un povero cristo col Cristo delle rappresentazioni di paese, quello che viene celebrato in ogni parte d'Italia ogni Venerdì Santo, quello che a me sembra importante è da una parte questa coincidenza tra le sorti del regista e di quel piccolo gruppo di Armata di Brancaleone, di un piccolo gruppo di disperati. Ma non dico di più, non voglio svelare troppo...
Un'altra cosa importante, è che in un'epoca di perdita profonda della memoria, come se non sapessimo, come popolo, da dove veniamo, chi siamo, questa sacra rappresentazione costituisce un momento alto, rimanda alla pittura del '400 e '500. In senso laico, la sacra rappresentazione racconta la caduta e la resurrezione, che è qualcosa cui siamo sottoposti nell'arco della nostra vita molte volte, quando perdiamo il lavoro, quando perdiamo un nostro caro...

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