giovedì 22 marzo 2007 - News
Gli effetti speciali solitamente vengono utilizzati per mostrare al pubblico ciò che non esiste e che si può soltanto immaginare: uomini volanti, creature mostruose, scenari futuri ecc. ecc. Raramente vengono usati per ricostruire ciò che non c'è più e ancor più raramente sono utilizzati per dare una visione diversa di ciò che esiste ed è sotto i nostri occhi tutti i giorni. Gli effetti speciali di
300 appartengono sicuramente a quest'ultima categoria.
Il film di
Zack Snyder, al pari di
Sin City, è tratto da una graphic novel di Frank Miller, un lavoro dal fortissimo impatto estetico che ha nella distanza dalla realtà dei suoi disegni il tratto più distintivo. Il film doveva fin dall'inizio ricalcare lo stile del fumetto, doveva quindi essere fortemente irreale ed evocativo. E per fare questo, rispetto all'episodio precedente di traduzione in pellicola di un lavoro di Frank Miller, questa volta gli effetti speciali hanno avuto un ruolo se possibile ancora più fondamentale.
Come è tipico del cinema d'azione moderno (da Hong Kong in poi) la violenza ha una fortissima componente estetica, e la bellezza delle sequenze d'azione va tenuta presente in ogni momento. Doppiamente in un film dove il testo d'ispirazione è un fumetto di Frank Miller. Anche il sangue in
300 è creato al computer, perché anche il sangue deve contribuire all'estetica, deve contribuire a creare un'atmosfera irreale e sospesa tra storia e mito.
Per girare tutto il film sono stati necessari solamente tre set e nessuno di questi era in esterno benché la gran parte del film si svolga all'aperto. È stato fatto un uso massiccio e per certi versi innovativo della classica tecnica del bluescreen (gli attori recitano davanti a un pannello blu che poi in post produzione viene sostituito con gli sfondi computerizzati).
Ci sono volute ben 10 case specializzate in effetti speciali sparse per 4 paesi e 3 continenti per mettere a punto il film, tutte lavoravano parallelamente e facevano riferimento al regista e al coordinatore per gli effetti speciali. È stata necessaria una ferrea disciplina e una forte coordinazione perché il risultato non fosse troppo eterogeneo. Ognuna di queste case di produzione si doveva occupare di un ambito specifico, questo ha fatto sì che, anche se ciò non era previsto in origine, le diverse sequenze abbiano un impatto differente l'una dall'altra. Ci sono quattro battaglie nel film e ognuna ha un feeling e un look diverso, questo anche perché quando Chris Watts, supervisore agli effetti visivi, e il regista
Zack Snyder si sono resi conto dell'impossibilità di dare un medesimo stile a ogni sequenza hanno deciso di cavalcare la diversità. Il risultato è che ognuna delle quattro battaglie è profondamente diversa e lo spettatore non sa mai cosa si troverà davanti.
Come ricorda Snyder la cosa più difficile è stata spiegare a chi deve creare degli effetti speciali che non avrebbe dovuto rifarsi alla realtà, che questa volta il suo obiettivo non era la verosimiglianza. E questo ha complicato le cose. Perché, se bisogna costruire una scena con un aereo che si schianta tutti sanno cosa accadrà e come dovrà sembrare, dunque anche dove l'animazione è leggermente deficitaria arriva la conoscenza dello spettatore a completare l'immagine. In un lavoro come
300, dove la dimensione pittorica deve prevalere su quella fotografica, tutto si complica. Per esempio le montagne non dovevano sembrare montagne vere, altrimenti ci si sarebbe allontanati troppo dallo spirito del fumetto di Frank Miller che invece è sempre stato il referente principale.
Per questo è stato necessario dare ai 10 studi un punto di incontro comune. Questo era costituito da una guida in PDF continuamente aggiornata da tutti nella quale di volta in volta ognuno era libero di descrivere il metodo migliore e più efficace per raggiungere un certo obiettivo. Così un determinato procedimento, una volta scritta nella guida, diventava il metodo ufficiale per fare quella cosa nel film. In questo modo tutti facevano le medesime cose nel medesimo modo. Oltre a questo i 10 studi avevano accesso a un ambiente virtuale in comune dove erano tenuti e inviati filmati e montaggi di prova che mostravano agli altri cosa veniva fatto intanto dall'altra parte della produzione (e in alcuni casi del mondo).