Preceduto da una critica eccessivamente entusiastica– probabilmente per il regista italiano – il film Chiamami con il tuo nome, già presentato al Festival di Berlino 2017, mi ha leggermente deluso.
Siamo nella villa di famiglia del Prof. Perlman, nella campagna di Pandino in provincia di Crema nel 1983. D’estate, moglie, marito con Elio, il figlio diciassettenne, usano ospitare un meritevole studente straniero. Quest’anno è la volta di Oliver, un aitante ventiquattrenne, studente americano del New England. L’ambiente è quello di una famiglia borghese ebraica e intellettuale, dove si parlano diverse lingue con disinvoltura, si leggono poesie e si suona Bach al pianoforte.
La prima parte del film è bella, intensa e trasmette attraverso lo sguardo di Elio quei tormenti adolescenziali, problemi di crescita, che tutti abbiamo provato in forme più o meno acute: invidie, gelosie e insicurezze contrapposte ad atteggiamenti ostentatamente da adulti, come ad esempio un modo spavaldo di fumare e di tenere la sigaretta in mano. Tutte emozioni trasmesse dal bravissimo protagonista. E per due terzi del film si vede volentieri: il villone un po’ dégagé ereditato, le corse in bicicletta nella piatta piana padana estiva, le prime colazioni all’aperto e i bagni negli stagni o laghetti fanno pensare un po’ al Giardino dei Finzi Contini (De Sica 1970) e un po’ a Io ballo da sola (Bertolucci 1996).Un’amica mi ha suggerito perfinoIl tempo delle mele (Pinoteau 1980)!
Meno intensa è proprio la parte in cui il desiderio diventa realtà, la passione vissuta sembra un po’ scontata, le gite in montagna e le scene a Bergamo del tutto gratuite.
A parte il bravissimo Thimothée Chalamet, gli altri personaggi, e i rispettivi interpreti ,sono tutti un po’ fuori posto. I genitori di Elio erano assolutamente poco credibili come personaggi e poco azzeccati fisicamente, specialmente il padre. Ma perfino Oliver non era convincente, poco statuario per essere considerato una bellezza classica (uno stampellone con gambe troppo secche e Troppo lunghe) troppo poco ambiguo. Gli ospiti dei Perlman sono al limite del grottesco, la vecchia coppia gay è un po’ caricata ma anche la coppia etero di intellettuali che straparlano del pentapartito a guida socialista e della morte di Buuel. Un voluto occhiolino alla TV dove Beppe Grillo comico fa il verso a Craxi. Forzata anche la partita a carte di Oliver nel bar di provincia. Qua e là qualche piccola sbavatura del montaggio come un pezzo di musica tagliato un po’ bruscamente per un cambio scena o le curve della montagna attorno a Clusone, Bergamo, che sembrerebbe esser percorso in pullman.
Insomma Chiamami con il tuo nome è un film edonista che vorrebbe essere un tributo ai vari illustri maestri cui guarda Guadagnino: Bertolucci, Rohmer, Renoir, Visconti. La sceneggiatura è tratta dal romanzo di André Aciman, e Guadagnino l’ha scritta con James Ivory e Walter Fasano. Il film probabilmente piacerà più agli americani sempre in cerca di stereotipi italiani. Mi chiedo però se non fosse stato meglio per rappresentare l’Italia, mostrare le bellezze del territorio umbro o marchigiano (per non volere abusare della regione toscana) invece della pianura padana lombarda!
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