Nymphomaniac - Volume 2

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Un film di Lars von Trier. Con Charlotte Gainsbourg, Stellan Skarsgård, Willem Dafoe, Uma Thurman, Peter Gilbert Cotton, Ananya Berg.
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Titolo originale Nymphomaniac - Volume II. Drammatico, durata 123 min. - Danimarca 2014. - Good Films uscita giovedì 24 aprile 2014. - VM 18 - MYMONETRO Nymphomaniac - Volume 2 * * * 1/2 - valutazione media: 3,50 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari. Acquista »
   
   
   

Nymphomaniac, quando il regista uccide sé stesso Valutazione 5 stelle su cinque

di xXSeldonXx


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sabato 26 aprile 2014

Si può recensire un film di Lars von Trier? Mmh, difficile dare un voto: siamo di fronte ad una concezione del cinema quasi unica e che poco si presta a giudizi di forma... Piuttosto si può provare ad analizzarlo, tenendo ben presente le altre opere del regista. Ovviamente, nel fare questo, è impossibile non incappare in qualche spoiler; quindi tanto vale non cercare nemmeno di evitarli. Il lettore che non mi abbia già abbandonato è dunque avvisato: rischio spoiler. E non solo per questo film, ma anche per "Dogville", opera gemella.
 
Prima di iniziare questa analisi (o recensione, che dir si voglia), una considerazione di carattere "tecnico": dividere il film in due parti, per quanto inevitabile che fosse dal punto di vista distributivo, è davvero deleterio. Come anche in "Melancholia", la prima parte è decisamente meno vivace e più lenta della seconda; ma non è solo una questione di ritmo: il vero problema è che molti elementi del primo film risultano inutili e perfino fastidiosi, ma trovano piena giustificazione nella seconda parte. Ecco perché in questo testo, l'opera verrà trattata come nella concezione del regista, ovvero come un tutt'uno.
 
"Nymphomaniac vol. I e vol. II" è un'opera chiave nella filmografia del regista: nonostante riprenda molti elementi già trattati in precedenza, lo fa in un modo inedito e, nel finale, rivelatore. Questo è il film in cui von Trier si mette completamente a nudo (guarda caso), mostrandoci le proprie paure, le proprie passioni, ma soprattutto la propria visione di sé stesso. Ultimo, ma non per questo meno importante, questo è il film con cui più gioca col pubblico, mettendo a nudo le nostre paure, le nostre passioni e, ovviamente, la nostra visione di Lars von Trier stesso.
Innanzitutto, un Lars così divertito (e divertente, anche se alcuni direbbero grottesco) non lo si vedeva dai tempi di "Il grande capo" (2006), o addirittura di "Idioti" (1998). In "Nymphomaniac", attraverso alcune delle digressioni di Seligman, siamo continuamente tolti dal piano del tragico e gettati su quello della commedia, seppur squallida e banale (si pensi all'"anatra starnazzante" o alle immagini della scolaretta ninfomane, solo per fare due esempi); ma è quando il figlio di Joe, lasciato a casa da solo, esce dal lettuccio e, accompagnato da "Lascia ch'io pianga" di Handel, si avvicina al terrazzino innevato, solo per essere salvato in extremis dal padre, che ci accorgiamo che quel gran burlone di Lars ci ha presi tutti per il naso e ha giocato con i nostri preconcetti, portandoci pericolosamente vicino alla parodia di "Antichrist", ad oggi il suo film più tetro e spaventoso. Ma la funzione principale di queste rapide digressioni non è quella di far ridere il pubblico (in effetti, sono scene piuttosto squallide), ma quella di impedirne l'immedesimazione con la tragedia rappresentata su schermo.
 
Eppure, proprio nel distacco dalla tragedia narrata si realizza una seconda tragedia, ancora più tremenda. Tutti, tutti i film di Lars von Trier hanno elementi che impediscono, o almeno tentano di impedire, allo spettatore (ma forse solo ad un particolare tipo di spettatore, quello "adatto", come vedremo più avanti) di immedesimarsi nei personaggi: il montaggio frammentario, la suddivisione in capitoli (che in "Dogville" riassumono addirittura quello che sta per succedere), o l'assurda automavision de "Il grande capo" sono tutti fattori che concorrono a distaccarci dalla storia raccontata e dalla sofferenza delle protagoniste. Lo sguardo "oggettivo" che acquisiamo in questo modo ci innalza al di sopra del mondo, ci permette di giudicare i fatti e di condannare le azioni.
Il film che esemplifica al meglio questa tecnica è senz'altro "Dogville" (e il sequel "Manderlay"), dove il regista permette al pubblico di conoscere ogni singolo sentimento di ogni singolo personaggio e perfino di vedere attraverso le pareti, che, per noi, spettatori e semidei, non esistono: la cittadina di Dogville, l'umanità intera è completamente nuda di fronte a noi. Siamo come Dio, onniscienti e pronti a giudicare. In questo strano Eden che è il cinema, questo Regista, questo Serpente porge all'uomo il frutto della conoscenza del Bene e del Male, promettendogli il potere divino. Ma proprio in questo sta l'imbroglio: noi non siamo Dei, ma solamente uomini, non migliori di quelli che von Trier ci mostra. In questo sta il tragico: nella nostra distanza dal dolore e dalla miseria dell'umanità; perché, a ben pensarci, lontano dalle tentazioni del Serpente, questo distacco ci disgusta, ci sentiamo disgustati da noi stessi. Non c'è catarsi in queste tragedie, perché la tragedia vera siamo noi, non quelle macchiette che si muovono su schermo, con le quali ci è impedita l'empatia.
 
"Non c'è nulla di sessuale in me. [...] Forse questo fa di me un miglior ascoltatore della sua storia: non ho preconcetti, o preferenze. Sono effettivamente il miglior giudice che lei possa dare alla sua vita." Così si rivolge il letterato Seligman alla ninfomane Joe. E questa frase spiega e giustifica tutto il fastidio che poteva dare quell'eccesso di digressioni letterarie, matematiche, religiose, musicali o ittiche che ci accompagnano per tutta l'opera e che nella prima parte apparivano davvero superflue e sconclusionate: lo spettatore Seligman, vergine e "puro", segue la vicenda da un punto di vista superiore, privo di qualsiasi coinvolgimento emotivo. Concettualizza, paragona, e schematizza; lo fa perché è questo che gli dà piacere, distaccarsi, poter giudicare. Un altro intellettuale, un altro uomo ingannato dal Serpente.
Un inganno, certo, perché il tentato stupro nel finale ci mostra crudelmente quale è la natura di Seligman: umano, troppo umano per poter comportarsi come il Dio che ha la pretesa di essere. E Joe, che aveva creduto di trovare in lui un amico, l'unico amico che possa avere una ninfomane, non può perdonare questo orrore: lo uccide. E il rumore dello sparo rimanda istantaneamente al finale di "Dogville", quando la divina Grace, dopo aver condannato l'intera umanità, uccide personalmente l'intellettuale Tom, il peggiore tra tutti gli abitanti della squallida cittadina.
 
E ora una domanda: qual'è lo spettatore più adatto per questo film? Certamente non chi cerca piacere o divertimento (sfido chiunque ad uscire divertito dalla visione di questo film). No, l'unico spettatore adatto, a cui questo film possa lanciare un messaggio davvero forte, è chi cerca di interpretarlo, chi si lascia disttaccare; chi guarda alle tanto scandalose scene di sesso solo "per curiosità, non per libidine". In una parola? l'intellettuale, "un cattivo essere umano" (lui sì!), il peggior essere umano.
Se poi teniamo presente che von Trier ha più volte dichiarato di essere egli stesso il primo spettatore dei suoi film, capiamo che questa critica è anzitutto una potente autocritica; capiamo che quel proiettile non ha ucciso solo Seligman e neppure solo il pubblico (quello "adatto"), ma, prima di tutti, ha ucciso Lars von Trier stesso, la cui mano avvicinava la pistola alla tempia fin dall'inizio del film.
 
Dei vari temi trattati in "Nymphomaniac" questo è, secondo me, il più importante, quello che rende questa pellicola davvero grande; il film tratta indubbiamente anche della sessualità, del rapporto con la natura, della condizione della donna, della solitudine e di molti altri argomenti i quali necessitano di una risposta. Di certo non verrà fornita qui.

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