xxseldonxx
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sabato 26 aprile 2014
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nymphomaniac, quando il regista uccide sé stesso
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Si può recensire un film di Lars von Trier? Mmh, difficile dare un voto: siamo di fronte ad una concezione del cinema quasi unica e che poco si presta a giudizi di forma... Piuttosto si può provare ad analizzarlo, tenendo ben presente le altre opere del regista. Ovviamente, nel fare questo, è impossibile non incappare in qualche spoiler; quindi tanto vale non cercare nemmeno di evitarli. Il lettore che non mi abbia già abbandonato è dunque avvisato: rischio spoiler. E non solo per questo film, ma anche per "Dogville", opera gemella.
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Si può recensire un film di Lars von Trier? Mmh, difficile dare un voto: siamo di fronte ad una concezione del cinema quasi unica e che poco si presta a giudizi di forma... Piuttosto si può provare ad analizzarlo, tenendo ben presente le altre opere del regista. Ovviamente, nel fare questo, è impossibile non incappare in qualche spoiler; quindi tanto vale non cercare nemmeno di evitarli. Il lettore che non mi abbia già abbandonato è dunque avvisato: rischio spoiler. E non solo per questo film, ma anche per "Dogville", opera gemella.
Prima di iniziare questa analisi (o recensione, che dir si voglia), una considerazione di carattere "tecnico": dividere il film in due parti, per quanto inevitabile che fosse dal punto di vista distributivo, è davvero deleterio. Come anche in "Melancholia", la prima parte è decisamente meno vivace e più lenta della seconda; ma non è solo una questione di ritmo: il vero problema è che molti elementi del primo film risultano inutili e perfino fastidiosi, ma trovano piena giustificazione nella seconda parte. Ecco perché in questo testo, l'opera verrà trattata come nella concezione del regista, ovvero come un tutt'uno.
"Nymphomaniac vol. I e vol. II" è un'opera chiave nella filmografia del regista: nonostante riprenda molti elementi già trattati in precedenza, lo fa in un modo inedito e, nel finale, rivelatore. Questo è il film in cui von Trier si mette completamente a nudo (guarda caso), mostrandoci le proprie paure, le proprie passioni, ma soprattutto la propria visione di sé stesso. Ultimo, ma non per questo meno importante, questo è il film con cui più gioca col pubblico, mettendo a nudo le nostre paure, le nostre passioni e, ovviamente, la nostra visione di Lars von Trier stesso.
Innanzitutto, un Lars così divertito (e divertente, anche se alcuni direbbero grottesco) non lo si vedeva dai tempi di "Il grande capo" (2006), o addirittura di "Idioti" (1998). In "Nymphomaniac", attraverso alcune delle digressioni di Seligman, siamo continuamente tolti dal piano del tragico e gettati su quello della commedia, seppur squallida e banale (si pensi all'"anatra starnazzante" o alle immagini della scolaretta ninfomane, solo per fare due esempi); ma è quando il figlio di Joe, lasciato a casa da solo, esce dal lettuccio e, accompagnato da "Lascia ch'io pianga" di Handel, si avvicina al terrazzino innevato, solo per essere salvato in extremis dal padre, che ci accorgiamo che quel gran burlone di Lars ci ha presi tutti per il naso e ha giocato con i nostri preconcetti, portandoci pericolosamente vicino alla parodia di "Antichrist", ad oggi il suo film più tetro e spaventoso. Ma la funzione principale di queste rapide digressioni non è quella di far ridere il pubblico (in effetti, sono scene piuttosto squallide), ma quella di impedirne l'immedesimazione con la tragedia rappresentata su schermo.
Eppure, proprio nel distacco dalla tragedia narrata si realizza una seconda tragedia, ancora più tremenda. Tutti, tutti i film di Lars von Trier hanno elementi che impediscono, o almeno tentano di impedire, allo spettatore (ma forse solo ad un particolare tipo di spettatore, quello "adatto", come vedremo più avanti) di immedesimarsi nei personaggi: il montaggio frammentario, la suddivisione in capitoli (che in "Dogville" riassumono addirittura quello che sta per succedere), o l'assurda automavision de "Il grande capo" sono tutti fattori che concorrono a distaccarci dalla storia raccontata e dalla sofferenza delle protagoniste. Lo sguardo "oggettivo" che acquisiamo in questo modo ci innalza al di sopra del mondo, ci permette di giudicare i fatti e di condannare le azioni.
Il film che esemplifica al meglio questa tecnica è senz'altro "Dogville" (e il sequel "Manderlay"), dove il regista permette al pubblico di conoscere ogni singolo sentimento di ogni singolo personaggio e perfino di vedere attraverso le pareti, che, per noi, spettatori e semidei, non esistono: la cittadina di Dogville, l'umanità intera è completamente nuda di fronte a noi. Siamo come Dio, onniscienti e pronti a giudicare. In questo strano Eden che è il cinema, questo Regista, questo Serpente porge all'uomo il frutto della conoscenza del Bene e del Male, promettendogli il potere divino. Ma proprio in questo sta l'imbroglio: noi non siamo Dei, ma solamente uomini, non migliori di quelli che von Trier ci mostra. In questo sta il tragico: nella nostra distanza dal dolore e dalla miseria dell'umanità; perché, a ben pensarci, lontano dalle tentazioni del Serpente, questo distacco ci disgusta, ci sentiamo disgustati da noi stessi. Non c'è catarsi in queste tragedie, perché la tragedia vera siamo noi, non quelle macchiette che si muovono su schermo, con le quali ci è impedita l'empatia.
"Non c'è nulla di sessuale in me. [...] Forse questo fa di me un miglior ascoltatore della sua storia: non ho preconcetti, o preferenze. Sono effettivamente il miglior giudice che lei possa dare alla sua vita." Così si rivolge il letterato Seligman alla ninfomane Joe. E questa frase spiega e giustifica tutto il fastidio che poteva dare quell'eccesso di digressioni letterarie, matematiche, religiose, musicali o ittiche che ci accompagnano per tutta l'opera e che nella prima parte apparivano davvero superflue e sconclusionate: lo spettatore Seligman, vergine e "puro", segue la vicenda da un punto di vista superiore, privo di qualsiasi coinvolgimento emotivo. Concettualizza, paragona, e schematizza; lo fa perché è questo che gli dà piacere, distaccarsi, poter giudicare. Un altro intellettuale, un altro uomo ingannato dal Serpente.
Un inganno, certo, perché il tentato stupro nel finale ci mostra crudelmente quale è la natura di Seligman: umano, troppo umano per poter comportarsi come il Dio che ha la pretesa di essere. E Joe, che aveva creduto di trovare in lui un amico, l'unico amico che possa avere una ninfomane, non può perdonare questo orrore: lo uccide. E il rumore dello sparo rimanda istantaneamente al finale di "Dogville", quando la divina Grace, dopo aver condannato l'intera umanità, uccide personalmente l'intellettuale Tom, il peggiore tra tutti gli abitanti della squallida cittadina.
E ora una domanda: qual'è lo spettatore più adatto per questo film? Certamente non chi cerca piacere o divertimento (sfido chiunque ad uscire divertito dalla visione di questo film). No, l'unico spettatore adatto, a cui questo film possa lanciare un messaggio davvero forte, è chi cerca di interpretarlo, chi si lascia disttaccare; chi guarda alle tanto scandalose scene di sesso solo "per curiosità, non per libidine". In una parola? l'intellettuale, "un cattivo essere umano" (lui sì!), il peggior essere umano.
Se poi teniamo presente che von Trier ha più volte dichiarato di essere egli stesso il primo spettatore dei suoi film, capiamo che questa critica è anzitutto una potente autocritica; capiamo che quel proiettile non ha ucciso solo Seligman e neppure solo il pubblico (quello "adatto"), ma, prima di tutti, ha ucciso Lars von Trier stesso, la cui mano avvicinava la pistola alla tempia fin dall'inizio del film.
Dei vari temi trattati in "Nymphomaniac" questo è, secondo me, il più importante, quello che rende questa pellicola davvero grande; il film tratta indubbiamente anche della sessualità, del rapporto con la natura, della condizione della donna, della solitudine e di molti altri argomenti i quali necessitano di una risposta. Di certo non verrà fornita qui.
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simonìca
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venerdì 25 aprile 2014
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lars von trier potente e sviscerante
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Con Nymphomaniac vol 2, Lars Von Trier esaspera quello che è il suo linguaggio, moltiplicando la sua potenza ed obbligando lo spettatore a prendere ogni cosa solo ed esclusivamente di pancia, senza dargli tempo di digerire ed assorbire.
Le parti "di poesia" del primo film si fanno sempre più rade (Joe stessa rimprovererà Seligman di non riuscire più nelle sue digressioni tanto erudite quanto poetiche), lasciando invece spazio alla realtà nuda e cruda. In altri termini si potrebbe dire che se nel primo c'era un equilibrio fra l'apollineo e il dionisiaco, nel secondo questo si spezza del tutto ed il dionisiaco trionfa.
Tuttavia si scopre qualcosa di puro e per assurdo proprio nella figura della protagonista, che col raccontare la sua storia si è messa a nudo ed è riuscita a vedersi in un'altra ottica, a comprendere la sua dipendenza, a perdonarsi, a riscoprirsi.
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Con Nymphomaniac vol 2, Lars Von Trier esaspera quello che è il suo linguaggio, moltiplicando la sua potenza ed obbligando lo spettatore a prendere ogni cosa solo ed esclusivamente di pancia, senza dargli tempo di digerire ed assorbire.
Le parti "di poesia" del primo film si fanno sempre più rade (Joe stessa rimprovererà Seligman di non riuscire più nelle sue digressioni tanto erudite quanto poetiche), lasciando invece spazio alla realtà nuda e cruda. In altri termini si potrebbe dire che se nel primo c'era un equilibrio fra l'apollineo e il dionisiaco, nel secondo questo si spezza del tutto ed il dionisiaco trionfa.
Tuttavia si scopre qualcosa di puro e per assurdo proprio nella figura della protagonista, che col raccontare la sua storia si è messa a nudo ed è riuscita a vedersi in un'altra ottica, a comprendere la sua dipendenza, a perdonarsi, a riscoprirsi. Quindi proprio perchè è passata attraverso le esperienze più terribili ed umilianti e ne prende consapevolezza, riesce a vedere la sua anima nella sua completezza e a riconoscerla in un albero che ne è l'immagine visiva.
Ed ecco perchè l'unica scena che appare veramente disgustosa superando ogni scena di più spinta perversione, è l'ultima, quando colui che più di tutti sembrava averla capita e aveva aiutato lei stessa e lo spettatore in questo, cerca di approfittarsi di lei.
Ma neppure lui è condannabile. Seligman, come ogni personaggio della storia, è umano e l'essere umano non può rinnegare la sua natura, non riesce a tenere in piedi tutte le costruzioni che durante la vita tenta di ricostruirsi e quelle di Seligman crollano tutte in una sola notte.
Un film potente, spiazzante, tragico, ma che sa divertire, che sembra voler raccontare una sola e semplice storia, ma parla prima di tutto di uomini analizzandoli e sviscerandoli fino in fondo, mostrandoli in tutta la loro umanità, senza risparmiare nessuno.
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cirokisskiss
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lunedì 7 aprile 2014
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sinceramente, lars. ii
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Il secondo volume amplifica ulteriormente la caratteristica filosofica/intellettualoide che permette di sfruttarla come veicolo di ulteriore sperimentazione registica, spesso stuzzicata da curiosi estratti documentaristici e non, che suggestionano e stimolano un certo senso di arguzia e inusuale ironia, centralizzando anche una conflittualità implicita tra i due interlocutori che si confessano antipodi, l'onnisciente e la grezza sapienza dell'esterno. Forzando la mano su una voluta inverosimiglianza del racconto, Von Trier ci rende partecipi del suo voler completare in ogni sfumatura la trattazione sessuale: sadomaso, rapporti lesbo e un'accenno alla pedofilia che apre forse la morale più riuscita e coinvolgente del film, ossia la carnalità come solo e unico modo per leggere l'inconscio dell'essere, dei desideri, delle perversioni, dell'anima, un decadimento prepotente dell'eterea concezione dell'Io interiore, non c'è mistica o onirica concezione dell'essere umano, tutto quello che è viene riscontrato dal suo agire, dalle sue parole, ma sopratutto da quell'eccitazione sessuale che potrebbe erigersi anche dinanzi alla più terribile efferatezza, dinanzi la fine.
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Il secondo volume amplifica ulteriormente la caratteristica filosofica/intellettualoide che permette di sfruttarla come veicolo di ulteriore sperimentazione registica, spesso stuzzicata da curiosi estratti documentaristici e non, che suggestionano e stimolano un certo senso di arguzia e inusuale ironia, centralizzando anche una conflittualità implicita tra i due interlocutori che si confessano antipodi, l'onnisciente e la grezza sapienza dell'esterno. Forzando la mano su una voluta inverosimiglianza del racconto, Von Trier ci rende partecipi del suo voler completare in ogni sfumatura la trattazione sessuale: sadomaso, rapporti lesbo e un'accenno alla pedofilia che apre forse la morale più riuscita e coinvolgente del film, ossia la carnalità come solo e unico modo per leggere l'inconscio dell'essere, dei desideri, delle perversioni, dell'anima, un decadimento prepotente dell'eterea concezione dell'Io interiore, non c'è mistica o onirica concezione dell'essere umano, tutto quello che è viene riscontrato dal suo agire, dalle sue parole, ma sopratutto da quell'eccitazione sessuale che potrebbe erigersi anche dinanzi alla più terribile efferatezza, dinanzi la fine. Nymphomaniac è per certi versi il film catalizzatore di Lars Von Trier, dove numerosi sono i rimandi visivi, oltre che tematici, ai suoi precedenti lavori, basti pensare al semi-rifacimento del prologo di Antichrist o il rimando alle asettiche scenografie (non però così estremizzate) di Dogville nei sobborghi del ritrovamento; Un rimando ai suoi costanti quesiti, masochistici, ma questa volta posti con la voglia di reagire alla commiserazione, accettando il suo essere imperfetto, godendo della sua pretenziosità e farsi egregiamente beffe della morale dell'onnisciente, del suo ascolto, del suo giudizio etico, artistico, teologico o analitico che sia, sbarazzandosene una volta svelate le relative e fuorvianti intenzioni.
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(di francesco2)
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adelio
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mercoledì 30 aprile 2014
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la ninfomania è tenebra e muore all'alba
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Il film è naturalmente un crescendo evolutivo della condizione di dipendenza dalla ninfomania, ma quel che disturba non sono tanto le scene di esplicita violenza tra bondage e il masochismo, quanto l’inutilità di alcuni passaggi del tutto gratuiti. Il solito Von Trier che deve stupire con combinazioni, analogie, numerologie che nulla portano alla narrazione e restano autoreferenziali. Veramente insopportabile l’artificio della levitazione della protagonista bambina estasiata da visioni simboliche di un backgroud culturale che non le appartiene in cui le vive, così come è incomprensibile il passaggio dei “negri” visti come animali nell’unica scena non “animale” di questo Volume II.
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Il film è naturalmente un crescendo evolutivo della condizione di dipendenza dalla ninfomania, ma quel che disturba non sono tanto le scene di esplicita violenza tra bondage e il masochismo, quanto l’inutilità di alcuni passaggi del tutto gratuiti. Il solito Von Trier che deve stupire con combinazioni, analogie, numerologie che nulla portano alla narrazione e restano autoreferenziali. Veramente insopportabile l’artificio della levitazione della protagonista bambina estasiata da visioni simboliche di un backgroud culturale che non le appartiene in cui le vive, così come è incomprensibile il passaggio dei “negri” visti come animali nell’unica scena non “animale” di questo Volume II. Tutti gli aspetti della sessualità e della condizione femminile vengono, in questa seconda parte, completati in base ad una logica evoluzione di vita, pure la maternità…financo “l’invidia delle cagnette a cui sottrae l’osso” (leggi Brasseins)…ma il film non decolla, le aspettative lasciate dal Volume I vengono disattese. Bella l’immagine di Joe galleggiante nella primigenia acqua marina contrapposta a quella di Lui che giace come morto su un “letto” di libri. Bello vedere imputridire la bassezza della carnalità umana nelle tenebre per poi morire all’alba al sorgere di un flebile raggio di sole. Brutto è invece immaginare la cultura e il sapere dell’uomo occidentale imprigionato in un labirinto oscuro. Il film è tutto in questo percorso contrapposto e incrociato, da occidente verso oriente per Lei e viceversa per Lui, idealmente la catarsi per la condizione della ninfomane e il risveglio degli istinti repressi per lui. Inaspettato (forse..) anche se molto probabile il finale. L’attrazione della carne non risparmia neppure l’amorfo intelletto maschile….anzi lo sopprime!
Film Nymphomaniac Vol. II è da vedere solo se si è visto il Vol. I giusto per comprendere il costrutto mentale del regista che fa incrociare, in evoluzione, un istinto animale con un conformismo intellettuale occidentale solo apparentemente “politically correct”.
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(di francesco2)
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luca scial�
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domenica 27 aprile 2014
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la vita di joe degenera
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In questo secondo capitolo, Joe prosegue la sua narrazione. La sua vita prende una piega più complicata. La sua ossessione per il sesso degenera. Ormai con Jerome le cose non vanno più bene e neppure l'arrivo di un figlio migliora il rapporto. Anzi, lo peggiora. Perché Joe lo trascura pur di uscire e soddisfare i suoi desideri sessuali. Come avere un rapporto con un uomo di colore o subire rapporti sadomaso. Neppure le sedute psichiatriche la aiutano. Finisce anche per avere una relazione omosessuale con una giovane collega. Ma questa ultima voglia avrà la piega peggiore e più inaspettata.
In questo secondo capitolo, Lars von Trier calca la mano, facendo sfociare il film in una vena più cupa e disperata.
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In questo secondo capitolo, Joe prosegue la sua narrazione. La sua vita prende una piega più complicata. La sua ossessione per il sesso degenera. Ormai con Jerome le cose non vanno più bene e neppure l'arrivo di un figlio migliora il rapporto. Anzi, lo peggiora. Perché Joe lo trascura pur di uscire e soddisfare i suoi desideri sessuali. Come avere un rapporto con un uomo di colore o subire rapporti sadomaso. Neppure le sedute psichiatriche la aiutano. Finisce anche per avere una relazione omosessuale con una giovane collega. Ma questa ultima voglia avrà la piega peggiore e più inaspettata.
In questo secondo capitolo, Lars von Trier calca la mano, facendo sfociare il film in una vena più cupa e disperata. Un risvolto del resto tipico delle sue pellicole. Il finale spiazza, anche se può essere anche prevedibile. Restano comunque dei punti critici: era necessario farlo così lungo ed esplicito? Ma forse la risposta è insita nella stessa carriera di von Trier: non convenzionale, sperimentale, spiazzante, esagerata, profonda. Ha voluto chiudere così, in modo esagerato e senza lasciare nulla di non detto, la "trilogia della depressione".
Un appunto però va fatto sulla scelta degli attori: Joe da ragazzina non somiglia affatto alla Joe da adulta; Shia Leboeuf è sia Jerome da ragazzo, sia Jerome da adulto, ma fino a un certo punto. Nel finale viene sostituito da un altro attore che non gli somiglia affatto. Ma forse anche in questo von Trier ha voluto giocare con lo spettatore.
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evildevin87
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mercoledì 30 aprile 2014
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un amaro finale
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Prosegue il racconto della ninfomane Joe circa la sua lenta scivolata nel baratro dell'oblio. Anche nella seconda parte Von Trier non ci risparmia in scene forti ed esplicite, ma tutte messe in un contesto tutt'altro che eccitante.
Joe scopre di aver perso la sensibilità durante l'atto sessuale, per cui si mette alla disperata ricerca di qualcosa che possa sopperire questa sua (per lei) grave mancanza. E la sua dipendenza per il sesso la porta alla totale solitudine, e perfino a perdere la famiglia. Lei non può essere altro che ciò che è. Non può essere madre, non può essere moglie e nemmeno avere amici. E quest'ultimo concetto pervade tutto il film e ci viene sbattuto in faccia brutalmente nell'amarissimo finale.
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Prosegue il racconto della ninfomane Joe circa la sua lenta scivolata nel baratro dell'oblio. Anche nella seconda parte Von Trier non ci risparmia in scene forti ed esplicite, ma tutte messe in un contesto tutt'altro che eccitante.
Joe scopre di aver perso la sensibilità durante l'atto sessuale, per cui si mette alla disperata ricerca di qualcosa che possa sopperire questa sua (per lei) grave mancanza. E la sua dipendenza per il sesso la porta alla totale solitudine, e perfino a perdere la famiglia. Lei non può essere altro che ciò che è. Non può essere madre, non può essere moglie e nemmeno avere amici. E quest'ultimo concetto pervade tutto il film e ci viene sbattuto in faccia brutalmente nell'amarissimo finale.
Tirando le somme, anche con il Vol. I: un bel film, a mio parere il più riuscito della trilogia della depressione (senza nulla togliere ad Antichrist e Melancholia che mi sono piaciuti molto). Malgrado le numerose scene di sesso esplicite questo è tutt'altro che un film sul sesso, ma bensì sull'ineluttabile destino di una persona che soffre di una cronica dipendenza a rimanere sola a vita.
Chi definisce questo film un porno pecca di grande superficialità. Il porno mostra nudità e atti sessuali espliciti al fine di eccitare lo spettatore, nel film di Von Trier è tutto in un contesto pregno di angoscia e degrado. Se andate al cinema con l'apettativa di guardarvi un porno rimarrete molto delusi. Per tutti gli altri: godetevelo.
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nerone bianchi
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domenica 27 aprile 2014
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senza redenzione
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E' un film massacrante, duro, nero come non mai, una discesa che sembra non avere mai fine e che quando pensi abbia toccato finalmente il fondo, ecco che un nuovo gorgo la inghiotte e giù ancora. E' un film senza redenzione, che ti crocifigge alla sedia, mani e piedi, che non conosce flessioni o cadute d'attenzione. Questa seconda parte sembra molto più compatta rispetto alla prima, ma questo lo dico col beneficio dell'inventario, potrebbe essere un effetto dovuto alla divisione del film in due parti distinte e separate nel tempo, scelta che sinceramente non mi sento di approvare. Se un'opera dura un tempo insolito rispetto a quella che consideriamo essere la norma in materia, va proposta così com'è, uno sceglie se andare o rinunciare.
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E' un film massacrante, duro, nero come non mai, una discesa che sembra non avere mai fine e che quando pensi abbia toccato finalmente il fondo, ecco che un nuovo gorgo la inghiotte e giù ancora. E' un film senza redenzione, che ti crocifigge alla sedia, mani e piedi, che non conosce flessioni o cadute d'attenzione. Questa seconda parte sembra molto più compatta rispetto alla prima, ma questo lo dico col beneficio dell'inventario, potrebbe essere un effetto dovuto alla divisione del film in due parti distinte e separate nel tempo, scelta che sinceramente non mi sento di approvare. Se un'opera dura un tempo insolito rispetto a quella che consideriamo essere la norma in materia, va proposta così com'è, uno sceglie se andare o rinunciare. Anche nell'opera lirica ci sono esempi di consistenti durate, eppure nessuno si è mai sognato di dividere l'opera stessa in due parti e addirittura di proporla a distanza di un mese una dall'altra. Appare evidente come in questo caso più che in altri, la logica dell'industria abbia prevalso su quella dell'integrità di un prodotto artistico, costringendo milioni di persone a tornare due volte al cinema e a pagare due volte un biglietto d'ingresso per vedere lo stesso film. Comunque questo è quello che il convento ha passato e su questo esercitiamo le nostre riflessioni. La discesa nella fossa delle marianne della nostra psiche è potente, il sesso è una bestia nera, capace di prendere il sopravvento sulla nostra vita, è una sorta di memoria ancestrale che è lì, nella sua tana, a ricordarci che non siamo del tutto ed esclusivamente inclini a far attraversare la strada alle vecchiette, ma che veniamo da lontano, da molto lontano, che diverse forze agiscono al nostro interno e che sono il prodotto di millenni di evoluzione, di tonnellate di libri, di cammini attraverso le civiltà, forze che a stento risuciamo a tenere a bada e che basta davvero un nulla per vederle correre senza controllo. Le cronache di quanto accaduto nella vicina guerra della ex Yugoslavia sono lì, a stamparci in faccia che dentro ciascuno di noi vive Joe e vive Seligman, e ogni volta che le regole socialii per qualche motivo si allentano, i due riprendono la scena. Il finale di questa lunga seduta psicoanalitica toglie ogni possibile rassicurazione e apre sotto ai nostri piedi l'ennesimo pozzo buio e inesplorato che sinceramente non ci aspettavamo. Bellissima la versione onirica di “Hei Joe” di Jimi Hendrix sulla quale scorrono i titoli di coda.
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filippo catani
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lunedì 28 aprile 2014
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un film discreto ma si è visto di meglio
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Continua il racconto delle vicende sessuali della giovane ragazza all'anziano signore che l'aveva soccorsa all'inizio del primo episodio.
Per descrivere bene lo spettatore alla fine di questa pellicola e dell'opera in generale si può prendere in prestito un'immagine che appare verso la fine di questo volume secondo che ritrae un albero curvo ma non spezzato. Ecco lo spettatore viene messo a dura prova ma resiste fino alla fine. La prima parte di questo nuovo volume si concentra sulla protagonista che perde ormai ogni contatto con la realtà per cercare di sperimentare nuove esperienze sessuali fino al sadomasochismo. Questa parte mette a dura prova la resistenza fisica e mentale della protagonista e dello spettatore che viene fortunatamente ripagato da un'ottima seconda parte di film e da un notevole finale (insieme anche alle dotte esternazioni del padrone di casa che erano già presenti nel primo episodio e che spaziavano dalla musica all'arte fino alla religione).
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Continua il racconto delle vicende sessuali della giovane ragazza all'anziano signore che l'aveva soccorsa all'inizio del primo episodio.
Per descrivere bene lo spettatore alla fine di questa pellicola e dell'opera in generale si può prendere in prestito un'immagine che appare verso la fine di questo volume secondo che ritrae un albero curvo ma non spezzato. Ecco lo spettatore viene messo a dura prova ma resiste fino alla fine. La prima parte di questo nuovo volume si concentra sulla protagonista che perde ormai ogni contatto con la realtà per cercare di sperimentare nuove esperienze sessuali fino al sadomasochismo. Questa parte mette a dura prova la resistenza fisica e mentale della protagonista e dello spettatore che viene fortunatamente ripagato da un'ottima seconda parte di film e da un notevole finale (insieme anche alle dotte esternazioni del padrone di casa che erano già presenti nel primo episodio e che spaziavano dalla musica all'arte fino alla religione). Complessivamente si può dire che il film di Trier ci è piaciuto ed è stato un interessante viaggio all'interno della psiche umana. Ecco si tratta appunto di un buon film ma si è visto di meglio anche ad opera dello stesso regista (penso ad esempio a Melancholia). Essenziale e con una minima dose di colonna sonora come vorrebbero i rigidi dettami del manifesto Dogma. Nel complesso una buona prova per il cast al completo.
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cinemalove
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mercoledì 8 aprile 2015
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von trier vol 2
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Si capisce nettamente quanto, più si scorra di capitolo in capitolo, Von Trier metta sullo schermo le sue fantasie abbassando la qualità del film e accentuando la sadicità delle situazioni. Le "depurazioni" a cui si sottopone Joe, l'inclinazione a voler provare ancora di più, sempre di più.. quella sensazione di insoddisfazione che sembrerebbe combattere sul finale, un finale che non ti aspetti. La figura dominante in entrambi i volumi è proprio Seligman, uomo teoligicamente forte, ben lontano dal cedere alle debolezze umane come da lui spiegato. Uomo puro, neutrale, in grado di avere un punto di vista arbitrario. Contarddice con l'azione finale e quindi con la sua morte, la forza psicologica su quella fisica, in pratica Trier annulla il personaggio togliendogli la credibilità guadagnata, anche dalla stessa protagonista.
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Si capisce nettamente quanto, più si scorra di capitolo in capitolo, Von Trier metta sullo schermo le sue fantasie abbassando la qualità del film e accentuando la sadicità delle situazioni. Le "depurazioni" a cui si sottopone Joe, l'inclinazione a voler provare ancora di più, sempre di più.. quella sensazione di insoddisfazione che sembrerebbe combattere sul finale, un finale che non ti aspetti. La figura dominante in entrambi i volumi è proprio Seligman, uomo teoligicamente forte, ben lontano dal cedere alle debolezze umane come da lui spiegato. Uomo puro, neutrale, in grado di avere un punto di vista arbitrario. Contarddice con l'azione finale e quindi con la sua morte, la forza psicologica su quella fisica, in pratica Trier annulla il personaggio togliendogli la credibilità guadagnata, anche dalla stessa protagonista. Una specie di monito, un avviso che nessuno può decidere di non cadere nella debolezza, nell'istinto, ma che è intrinseco in ognuno di noi il passo falso e che prima o poi arriva per tutti. La qualità della pellicola sembra diradarsi con l'aumentare dell'età di Joe e Jerome, metaforicamente parlando voluto o meno, funziona.
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nerone bianchi
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domenica 27 aprile 2014
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senza redenzione
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E' un film massacrante, duro, nero come non mai, una discesa che sembra non avere mai fine e che quando pensi abbia toccato finalmente il fondo, ecco che un nuovo gorgo la inghiotte e giù ancora. E' un film senza redenzione, che ti crocifigge alla sedia, mani e piedi, che non conosce flessioni o cadute d'attenzione. Questa seconda parte sembra molto più compatta rispetto alla prima, ma questo lo dico col beneficio dell'inventario, potrebbe essere un effetto dovuto alla divisione del film in due parti distinte e separate nel tempo, scelta che sinceramente non mi sento di approvare. Se un'opera dura un tempo insolito rispetto a quella che consideriamo essere la norma in materia, va proposta così com'è, uno sceglie se andare o rinunciare.
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E' un film massacrante, duro, nero come non mai, una discesa che sembra non avere mai fine e che quando pensi abbia toccato finalmente il fondo, ecco che un nuovo gorgo la inghiotte e giù ancora. E' un film senza redenzione, che ti crocifigge alla sedia, mani e piedi, che non conosce flessioni o cadute d'attenzione. Questa seconda parte sembra molto più compatta rispetto alla prima, ma questo lo dico col beneficio dell'inventario, potrebbe essere un effetto dovuto alla divisione del film in due parti distinte e separate nel tempo, scelta che sinceramente non mi sento di approvare. Se un'opera dura un tempo insolito rispetto a quella che consideriamo essere la norma in materia, va proposta così com'è, uno sceglie se andare o rinunciare. Anche nell'opera lirica ci sono esempi di consistenti durate, eppure nessuno si è mai sognato di dividere l'opera stessa in due parti e addirittura di proporla a distanza di un mese una dall'altra. Appare evidente come in questo caso più che in altri, la logica dell'industria abbia prevalso su quella dell'integrità di un prodotto artistico, costringendo milioni di persone a tornare due volte al cinema e a pagare due volte un biglietto d'ingresso per vedere lo stesso film. Comunque questo è quello che il convento ha passato e su questo esercitiamo le nostre riflessioni. La discesa nella fossa delle marianne della nostra psiche è potente, il sesso è una bestia nera, capace di prendere il sopravvento sulla nostra vita, è una sorta di memoria ancestrale che è lì, nella sua tana, a ricordarci che non siamo del tutto ed esclusivamente inclini a far attraversare la strada alle vecchiette, ma che veniamo da lontano, da molto lontano, che diverse forze agiscono al nostro interno e che sono il prodotto di millenni di evoluzione, di tonnellate di libri, di cammini attraverso le civiltà, forze che a stento risuciamo a tenere a bada e che basta davvero un nulla per vederle correre senza controllo. Le cronache di quanto accaduto nella vicina guerra della ex Yugoslavia sono lì, a stamparci in faccia che dentro ciascuno di noi vive Joe e vive Seligman, e ogni volta che le regole socialii per qualche motivo si allentano, i due riprendono la scena. Il finale di questa lunga seduta psicoanalitica toglie ogni possibile rassicurazione e apre sotto ai nostri piedi l'ennesimo pozzo buio e inesplorato che sinceramente non ci aspettavamo. Bellissima la versione onirica di “Hei Joe” di Jimi Hendrix sulla quale scorrono i titoli di coda.
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