E' un grande film, ed è anche un vero western. Senza debiti con spaghetti o altri tipi di pasta; senza concessioni alla "cinepresa virulenta" dei giorni nostri; senza, soprattutto, la presunzione di "rivisitare" il genere, tipica dei registi-intellettuali alla Arthur Penn. No."Il grinta" è un elenco lunghissimo di meriti.Formali e sostanziali.I Coen si muovono con passo "antropologico", avendo ben chiari in mente i western "autunnali", ma lo fanno con incredibile sagacia, alternando momenti "leggeri" ad altri pieni di tensione (notevole la sceneggiatura, fantastici i dialoghi). Nuotano nel mare del western con una invidiabile sicurezza, tanto che i rimandi ad altri film, al cinema di Mann, di Ford, di Peckinpah non sono mai frutto di una febbre citazionistica o di giustapposizioni, ma la naturale conseguenza di un profondo rispetto per il cinema americano, per quei registi, persino per un artigiano come Hathaway, autore del primo film, di cui si riconosce la perizia.Quello che i Coen aggiungono dal loro sacco è una farina "esistenzialista", un discorso sul significato della vita, della giustizia, della vendetta. Sul prezzo che ognuno di noi paga per ottenere qualcosa. Su una civiltà fondata sulla violenza perchè nata da germi violenti. Gli attori sono fantastici. Ammetto di essermi emozionato grazie a Bridges. Intendiamoci: "rifare" John Wayne in un film western è come sfidare a tennis Federer. Eppure il grande Jeff regala una interpretazione unica,che solo un grande attore, o meglio un grande attore americano (in quel ruolo), può sfornare. Una performance incredibile, che merita almeno un paio di statuette: non è una caratterizzazione, non è la semplice descrizione di un uomo burbero. E' la capacità di mostrare l'umanità e le sfumature di un uomo. Eccellente la piccola Hailee Steinfeld. Era dai tempi di "Paper moon" che non vedevo un'attrice bambina caricarsi una parte così consistente di film sulle spalle. E poi, ricordando sempre che la forza del cinema "classico" era quella di avere attori formidabili in ruoli di supporto, mi piace sottolineare il bravo Damon, che infonde nel personaggio di "ranger texano" una grande umanità, sottraendolo agli stereotipi. Le sequenze del salvataggio finale sono quelle che hanno fatto scattare in me il "clic".La parte notturna della cavalcata, in particolare, è pura magia. Magia formale e sostanziale, perchè Bridges diventa un "orco buono" che salva la bambina: l'esatto contrario di Robert Mitchum in "La morte corre sul fiume", in quella che non è una semplice citazione, ma una prepotente affermazione di potenza cinematografica. I Coen non hanno paura di confrontarsi con i classici: non ripetono una lezione a memoria, non pagano tributi a nessun tipo di cinema che non sia il proprio. Dimostrano di essere difensori di una fede, di un patrimonio, di un secolo di storia: e non con vuote parole, ma con pesantissimi fatti. Ecco, io lì mi sono proprio innamorato. Disinnamorarsi di una donna forse è possibile, a volte persino necessario. Molto più difficile che ciò avvenga per un film: "True grit" è "true cinema", e per me anche "true love". Credo che molta gente non andrà a vederlo perchè è un western (che, secondo me, è come non voler bere da una bottiglia perchè è di vetro piuttosto che di plastica), ma non credo che questo sia un problema. In fondo anche Van gogh, da vivo, non lo considerava nessuno, e questo non vuol dire che fosse morto, ma che si apprestava a vivere in eterno, grazie alle sue opere.
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