Scarborough

Scarborough non è più meta ambita di villeggiatura. La cittadina inglese rimane un monumento allo smalto perduto, simboleggiato dagli ambienti maestosi ma un po' dismessi del Grand Hotel che affaccia sul Mare del Nord. Alla reception, prima Liz e poi Aiden ricevono le chiavi delle rispettive stanze, dichiarando di essere soli ma trovandosi, nel giro di un viaggio in ascensore, avvinghiati ognuno a un amante più giovane. Nel corso di un weekend, due storie d'amore si intersecano e si confondono, proibite e segnate, specchiandosi l'una nell'altra.

Il gioco di coppie è bilanciato, con Liz e Aiden entrambi insegnanti alle prese con amori tanto intensi quanto problematici per i sedicenni Daz e Beth.

Traboccanti di vitale ingenuità, i due ragazzi rappresentano un ideale romantico e sensuale che implora di essere vissuto, ma al tempo stesso impone di venire celato ad occhi indiscreti: non c'è solo l'età a complicare le cose, ma il fatto che ogni coppia è composta da professore e studente.

Nella prima parte del film le due storie si fanno eco tra le mura vittoriane e troppo spoglie dell'hotel, ripetendo i medesimi frammenti di dialogo, a parti invertite, tra uomini e donne. Ne viene fuori un'intrigante riflessione sulle dinamiche di genere, in cui il fulcro immutabile di parole già sentite lascia liberi gli spettatori di apprezzarne le enormi differenze irradiate sul tono, sui gesti e sui corpi. Oltre, naturalmente, agli equilibri di potere all'interno della relazione, dal momento che Scarborough, senza mai allontanarsi troppo dall'albergo, mette in scena con stile e passione una guerra amorosa piena di ribaltamenti.

Con la sua sensibilità franco-britannica, il regista Barnaby Southcombe (che ha diretto la madre Charlotte Rampling in I, Anna passato a Berlino nel 2012, in aggiunta alla carriera televisiva) schiva agilmente il pericolo di un adattamento troppo statico e macchinoso. La regia è limpida, e satura ogni inquadratura di un'insopportabile malinconia. Fedele ma non troppo al testo teatrale (la scelta di ingigantire l'ambientazione da un piccolo bed & breakfast all'albergo svilito è decisiva), Southcombe insegue la colpa e il rimorso negli occhi dei suoi attori fino al livello più profondo, e pazienza se, nel farlo, deve assecondare la direzione dell'opera originale: la si vede arrivare con quella certezza inevitabile che accompagna le più rovinose crisi relazionali, superflua eppure fondamentale.

Nel quartetto di attori spicca Jodhi May che, di fronte a una finestra sul mare, guarda il giovane Daz come la sua Alice guardava il fondo di un burrone ne L'ultimo dei Mohicani. Un'altra storia di amori in volo parallelo e tragicamente nascosti l'uno all'altro. 