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Ultimo aggiornamento venerdì 15 dicembre 2017
Il ritorno del maestro spagnolo Adolfo Arrieta con una versione kitsch e volutamente scombinata della celebre favola, tra Cocteau e l'ultimo Resnais. Nel cast Ingrid Caven, attrice- feticcio di Fassbinder.
CONSIGLIATO SÌ
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Cento anni fa il reame di Kentz è stato colpito da un sortilegio che ha fatto addormentare gli abitanti. Solo baciando la bellissima principessa Rosemunde sarà possibile svegliare lei e il suo popolo. Nel regno che oggi ha inglobato quello di Kentz, il giovane principe Égon trascorre le notti suonando la batteria. Di giorno ha un solo pensiero: trovare la Bella Addormentata nel regno di Kentz e spezzare l'incantesimo. Ma suo padre, il re, non crede nelle fiabe, e si oppone ai sogni di Égon.
Se si leggono le esegesi dell'opera di Adolfo Arrieta si viene informati di essere di fronte all'opera di un regista eclettico che ha saputo trovare estimatori nella cerchia dei cinefili.
Purtroppo questo è il primo film della filmografia di questo artista settantacinquenne che giunge sui nostri schermi e se si deve giudicare da quanto proposto non c'è materia per gridare al capolavoro. C'è chi ha scomodato il Cocteau de La bella e la bestia o l'ultimo Alain Resnais ma lo spessore estetico e simbolico era, in quei casi, di ben altra levatura. Qui nella prima parte siamo di fronte a una rilettura pedissequa della fiaba (e poco cambia il fatto che sia Mathieu Amalric a raccontarcela a bordo di un elicottero invece che davanti a un caminetto acceso).
Poi si utilizza la poco originale idea che vuole che l'oggi (il padre del principe) si rifiuti scientemente di fare appello alla fantasia e che ne neghi l'esercizio al futuro (il figlio appunto). Inizia così da parte del giovane batterista una ricerca del reame di Kentz favorita da una fata archeologa. Purtroppo non resta che rilevare che c'era materia per un mediometraggio e che ci sono dei tempi morti (il ballo a corte, la ricerca del gatto da parte della principessa, l'addentrarsi nella giungla da parte del principe solo per citare i più evidenti) che non hanno nulla di simbolico e si rifugiano nei preziosismi di una fotografia curata così come la regia nel cast di prestigio.
Che differenza c'è tra una fata e un cineasta? Una ha la bacchetta, l'altro la cinepresa, la fata pronuncia sortilegi, l'autore scrive sceneggiature. Entrambi aiutano giovani biondoni a conquistare belle addormentate e sanno come le cose andranno a finire Ma allora, perché agitarsi? Lottare contro il destino corrisponde a cedere all'illusione che basti essere al corrente del fato per scansarlo.
Trasferitosi da tempo in Francia dove il suo talento di «avanguardista» è maggiormente apprezzato, il veterano Adolfo Arrieta è tornato alla fiction dopo una parentesi di dieci anni nel documentario realizzando una fiaba: giusta scelta in quanto si tratta di un genere che gli permette di esprimere liberamente la sua vena immaginifica. Edulcorata dalla Disney che si era rifatta alla versione già imborghesita [...] Vai alla recensione »
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