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Ultimo aggiornamento mercoledì 27 aprile 2016
Yoon incontra quella che sembra la sua anima gemella, ma dovrà affrontare dei difficili cambiamenti.
CONSIGLIATO SÌ
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Yoon vive da solo e trascorre le sue giornate davanti a Photoshop senza quasi dormire. Fare il graphic designer lo rende tanto affascinante davanti a creativi e professionisti del settore, quanto bizzarro agli occhi delle altre persone, per cui non è altro che uno capace di raddrizzare nasi e gonfiare seni per le copertine delle riviste patinate. Je è la persona che lo conosce meglio e anche qualcosa di più: una collega fidata, il contatto con giornali, manager aziendali e burberi direttori marketing che commissionano i lavori ai freelance come Yoon e li esigono pronti, senza imperfezioni, entro scadenze fiscali. È il nesso con il mondo là fuori di un protagonista di solito così concentrato sullo schermo del suo Mac da non guardare neanche lo spiedino di gamberi che si sta infilando in bocca.
Una routine che prosegue lineare fino a quando alcune eruzioni cutanee e un prurito fastidiosissimo lanciano il campanello d'allarme: il corpo di Yoon soffre, ma come intervenire se stare dal medico equivale a sottrarre del tempo al lavoro? Per fortuna l'ospedale ha una connessione wi-fi e specialisti molto interessanti, come la dottoressa Imm. È sull'empatia con lei che, visita dopo visita, si costruisce l'evoluzione di questa storia sospesa tra critica al mondo del lavoro, analisi dei sentimenti e considerazione della morte, perché tutto alla fine si scopre intrinsecamente collegato.
Non è solo la trama a fare di Heart Attack un film intenso e divertente, scritto benissimo, che può contare sullo sguardo fresco e geniale di Nawapol Thamrongrattanarit, uno dei registi più cool della Thailandia che ha vissuto in prima persona la precarietà della vita da freelance, le sue ansie sempre debitamente mascherate. Nel film si respira tutta la "carineria" che chi è uso al mondo della pubblicità e dei creativi conosce bene: l'ipocrisia nascosta dietro a computer minimali appoggiati in bar dalla luce bianca, quasi fredda, dove servono tè e dolcetti. La gentilezza forzata con tutti - freelance, account, PR, manager - perché ottenere un incarico è necessario alla propria sopravvivenza e a mettere fuori gioco l'altro. Un ambiente spietato che il regista critica in modo delicato e intelligente, attraverso attacchi un po' amari un po' sarcastici, mai melodrammatici.
Con le sue t-shirt colorate e la casa sporchissima ma sempre calorosa, Yoon fa da contrappeso a questo mondo, rimanendovi tuttavia così immerso da non percepirne la pericolosità. Dare il massimo in termini di lavoro, fino a compromettere la sua stessa salute, è la norma, mentre ogni altra attività - fare un giro con gli amici, leggere un libro, guardare il mare - solo tempo perso. La dottoressa Imm, camice bianco e i modi controllati di chi vuole avere sempre in mano la situazione, è un personaggio allo stesso tempo simile e complementare a Yoon: oberata di visite e di esami da superare, ha come lui il compito di "aggiustare" le persone. Non sulla schermata di Photoshop, ma toccandole veramente. In questo contesto si gioca la partita tra i due, in un meccanismo di attrazione e repulsione continuo: ognuno può curare una parte dell'altro, ma fino a che punto si è disposti a guarire completamente per venire incontro all'altro?
Con la storia di Yoon e di Imm, il regista ci fa sentire la Thailandia più vicina che mai raccontando la vita di tanti trentenni di tutto il mondo, diventati grandi a forza e non così disposti a rinunciare alla loro infanzia, che rivive nell'attaccamento a piccoli riti come la partita di badminton nel parcheggio o a oggetti come gli evidenziatori fluo.
Anche grazie a una regia molto saggia - un esempio sono i movimenti di macchina che seguono inquieti gli spostamenti dello stralunato Yoon alternati a una fissità neutra, quasi imposta, sulle pose di Imm - Thamrongrattanarit può permettersi addirittura di parlare della morte scegliendo il modo più sensato di tutti, cioè tra scherzo e dura verità: morire è nel corso naturale della vita, bisogna solo decidere se conviene ammazzarsi di lavoro o di cuore.