Titolo internazionale | Tour de Force |
Anno | 2014 |
Genere | Drammatico |
Produzione | Germania |
Durata | 95 minuti |
Regia di | Christian Zubert |
Attori | Florian David Fitz, Julia Koschitz, Jürgen Vogel, Miriam Stein, Volker Bruch Johannes Allmayer, Victoria Mayer, Hannelore Elsner, Halina Reijn, Daniel Roesner, Simon Boer, Lena Dörrie, Ina Geerts, Janina Fautz, Jan Messutat, Tom Van Bauwel, Daniela Holtz, Nora Jokhosha, Carsten Strauch, Sean Fenkl, Karl-Heinz Hedwig, Yvonne Stegmair, Mike Maas, Andy Jürgens, Katrin Jaehne, Sos Petrosyan. |
MYmonetro | 2,75 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento mercoledì 23 luglio 2014
CONSIGLIATO SÌ
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Hannes e Kiki sono una giovane coppia che riesce a raccogliere intorno a sé un gruppetto di amici per una vacanza da passare in sella alle reciproche biciclette. La meta da loro fissata suscita però qualche perplessità negli altri: si tratta del Belgio che viene ritenuto un Paese senza grandi attrattive turistiche. Un motivo però c’è e viene rivelato ai membri del gruppo poco dopo la partenza: Hannes è affetto da SLA e, rimanendogli ancora poco tempo di autonomia, ha deciso di raggiungere una città belga in cui lo attende il suicidio assistito, illegale in Germania.
Christian Zilbert affronta un tema decisamente spinoso quale è quello (decisamente diverso rispetto all’eutanasia) del suicidio assistito. Da noi lo ha fatto Valeria Golino con Miele scegliendo di concentrare l’attenzione su due personaggi: chi dava la morte e chi la cercava. Qui ci si affida invece alla dimensione del viaggio e alla osservazione di differenti soggettività. C’è la coppia ormai usurata dalla routine (in particolare sul piano della sessualità), c’è il non giovanissimo seduttore incallito, c’è il fratello del protagonista che soffre per non essere stato messo al corrente della decisione di Hannes e c’è Kiki che deve affrontare un percorso al termine del quale la attende la perdita del compagno. Proprio questa diversificazione (con l’obbligo conseguente di seguire l’evoluzione dei singoli) indebolisce quello che avrebbe dovuto essere (nelle intenzioni) il focus del film. Il tono da commedia alla Salvatores delle origini (si pensi a Marrakech Express) con incorporata anche un’incursione in un club di scambisti non si fonde con il bisogno (che si avverte comunque come sinceramente sentito) di affrontare un tema che per molti (a torto o a ragione) è ancora un tabù.
Accade così che la commozione che alcune insistenti inquadrature del finale vorrebbero indurre fatichi a scattare e che si resti con l’impressione di un’opera in gran parte simile a molte altre che ha perso sulla strada tra la Germania e il Belgio molto del potenziale che possedeva.