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L'innocente della porta accanto

Il sospetto come cinema pedagogico.
di Roy Menarini


domenica 25 novembre 2012 - Approfondimenti

Un film come Il sospetto di Thomas Vinterberg, premiato a Cannes per la solida interpretazione di Mads Mikkelsen, riapre i consueti dibattiti sul reale peso cinematografico di opere dai nobili contenuti. Sul fatto che la pellicola, prodotta dalla Zentropa di Lars von Trier, abbia ragione da vendere, non c'è alcun dubbio: la storia drammatica di un uomo accusato del peggiore dei crimini, l'abuso sessuale su bambini in età da scuola materna, non può che commuovere, indignare e soprattutto far riflettere. Come noto, in Italia abbiamo di recente assistito a un episodio di cronaca molto simile, dove un gruppo di insegnanti è stato accusato e poi giudicato incolpevole del medesimo, orribile sopruso. Ed esattamente come nel film di Vinterberg, il giudizio in primo grado non ha distolto in larghi strati dell'opinione pubblica un sospetto difficile da sradicare. L'opera danese, insomma, è talmente aderente alle realtà vissute in molte comunità, nel bene e nel male, che il riconoscimento da parte di noi spettatori è pressoché totale.
Eppure, si diceva, rimane il problema della forma cinematografica da dare al film. In tutta la storia del cinema, e in particolare negli anni Cinquanta dei Cahiers du Cinéma, da una parte è esistita una critica che ha badato alla pregnanza di questi stessi contenuti, lodandoli, e dall'altra una critica che ne ha denunciato i pesanti limiti e la retorica della messa in scena, spesso elementare e didascalica. Il sospetto è un film che il giovane Truffaut e i suoi colleghi polemisti avrebbero certamente stroncato: c'è "poco cinema", si potrebbe dire, in Vinterberg, tutto è guidato da una messa in scena televisiva, sia pure deluxe, da schematismi evidenti, e da una drammaturgia il cui crescendo viene ottenuto attraverso i più tradizionali meccanismi di sceneggiatura.
Tutto vero. Ma siamo sicuri che questi siano ancora gli strumenti adatti con cui giudicare un film? Dove si collocherebbe il "più cinema" che ci vorrebbe per arrivare ai risultati graditi? È la regia la grande colpevole? Non è affatto credibile. Si tratta, anzi, di residui romantici di giudizio dell'opera, quando invece dovrebbe interessarci capire se Il sospetto e pellicole simili sono efficaci nel rapporto tra ambizione prefissata e mezzi utilizzati per raggiungerla, tra il piano della scrittura, dei valori tecnici e i temi affrontati, tra la sensibilità poetica e l'onestà nei confronti del pubblico. Ecco, da questo punto di vista, al Sospetto - più che limiti di regia (a cui in questo film non interessa essere altro che quella che vediamo, semplice e trasparente) - andrebbero forse imputati difetti di scrittura, con personaggi talmente prevedibili e bidimensionali dall'inficiare l'analisi sottotraccia dei riti delle piccole comunità (la metafora della caccia, anch'essa un po' risaputa) e una parabola, quella dell'amicizia tra i due protagonisti, molto interessante. Positiva, invece, la cura e la delicatezza nei confronti del tema, la pedofilia, di cui il cinema non sempre riesce ad assumersi le enormi responsabilità rappresentative, oscillando tra volgari strumentalizzazioni e omissioni rinunciatarie.

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